La pagella del Mereghetti:La vita tormentata di Léa per le sofferenze del padre (voto: 6/7)

La pagella del Mereghetti:La vita tormentata di Léa per le sofferenze del padre (voto: 6/7)

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di Paolo Mereghetti

Con Un bel mattino, Mia Hansen-Lve torna a Parigi con la potente storia di una madre single divisa tra il padre segnato dalla malattia e la relazione con un uomo sposato

Tutta la carriera di Mia Hansen-Lve sembra voler giocare tra fiction e autofiction, pronta a leggere la propria vita e quella dei suoi cari dentro un cinema che cerca di stemperare il ruolo del tempo per privilegiare una specie di sospesa continuit quotidiana. Il padre dei miei figli (2009) ricordava da vicino quella del produttore che avrebbe dovuto finanziare il suo primo film, Eden (2014) si ispirava alla figura del fratello dj, Le cose che verranno (2016) alla madre insegnante e Sull’isola di Bergman (2021) risentiva vistosamente della sua storia d’amore con il regista Olivier Assayas (chiusa durante le tormentate riprese del film).

Con questo Un bel mattino, la regista mette al centro del film la figura di un padre (di suo padre) ricollegandosi in qualche modo al suo film d’esordio Tout est pardonn (2007). Georg (Pascal Greggory) un padre segnato da una malattia neurovegetativa (la sindrome di Benson) che gli sta togliendo la vista e insieme l’equilibrio e il senso dell’orientamento: noi lo scopriamo attraverso i comportamenti e la relazione con la figlia Sandra (La Seydoux) che cerca di far convivere i propri impegni di madre sola e di traduttrice e interprete con quelli di figlia. lei il centro del film, l’asse intorno a cui la regia organizza tutto ma non per scavare dentro la sua psicologia quanto per usarla come una specie di magnete, di stella polare intorno a cui si organizzano e ricevono visibilit gli altri personaggi del film.

La progressiva perdita di autonomia di Georg fa cos entrare in scena l’ex moglie Franoise (Nicole Garcia), fin troppo sbrigativa (siamo separati da vent’anni dice a un medico che la vorrebbe pi partecipativa), la nuova compagna Lela (Fejria Deliba) le cui condizioni di salute non le permettono un’assistenza costante, l’altra figlia Elodie (Sarah Le Picard) apparentemente a rimorchio delle iniziative di Sandra: tanti modi diversi di interpretare l’amore coniugale e filiale che la regista racconta e osserva come da lontano, quasi entomologicamente.

Mia Hansen-Lve non nasconde le stanchezze di Sandra (che probabilmente sono state le sue di fronte al lento spegnersi del genitore) e nemmeno i piccoli egoismi della figlia decenne Linn (Camille Leban Martins), il cui nome bergmaniano (si chiama Linn la figlia che il regista svedese ha avuto dalla Ullman) un ulteriore tassello di quella autobiografia cinematografica che la regista ha affidato alle sue opere (il suo ultimo film si svolgeva tutto sull’isola di Far, in Svezia, dentro e fuori la casa Ingmar Bergman). Eppure il film di Hansen-Lve non scava mai dentro le possibili cause di quegli stati d’animo, piuttosto si limita a registrare i comportamenti.

Allo stesso modo l’ingresso nel film di Clment (Melvil Poupaud), l’amico astrochimico che risveglia in Sandra la passione erotica raccontato nel succedersi degli accadimenti che accompagnano una relazione adulterina (lui sposato con un figlio) piuttosto che nell’introspezione o nell’esaltazione dei conflitti passionali. Ci pensa l’interpretazione trattenuta e lontana dal glamour della Seydoux a far capire quello che le si agita dentro, come se Sandra si sentisse in colpa per essersi innamorata proprio mentre il padre si stava spegnendo.

proprio questa specie di dualismo tra la morte di una persona amata e la nascita di un nuovo amore, tra la voglia di raccontare una figura centrale come quella di suo padre (sono del vero genitore le frasi di diario recitate dalla voce off di Greggory mentre Sandra prende il metro; sono sempre sue le scritte tremolanti che vediamo sulle pagine di un quaderno) e la scoperta e l’accettazione del proprio egoismo, proprio questo contrasto tra la morte e la vita a costituire il cuore del film, quello che spiega l’oggettivit dello sguardo e insieme il bisogno di non farsi troppi sensi di colpa, di non chiudersi al possibile amore che potrebbe nascere. Ma insieme ne anche il limite, l’inevitabile freno che la verit della vita (e dell’autofiction) mette all’invenzione del cinema e alle sue possibilit di trasfigurare la realt.

8 gennaio 2023 (modifica il 8 gennaio 2023 | 20:47)

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Pietro Guerra

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