di Valerio Cappelli
I film in gara sono sedici. Due anime: una cinefila e una popolare. Molti attori italiani e autori indipendenti. Tra le star, Jennifer Lawrence e Margot Robbie. S apre con Il colibrì. Nuovo tandem con il presidente Gian Luca Farinelli e la direttrice Paola Malanga
Dietrofront. Più Festival che Festa. Continuità ma soprattutto discontinuità. Ci si riallinea alle altre rassegne, ma in punta di piedi, senza dichiarare guerra sulla scelta dei film. La 17ª edizione della Festa del cinema di Roma (13-23 ottobre) ha un nuovo tandem, strettamente cinefilo.
Il presidente Gian Luca Farinelli viene dalla Cineteca di Bologna («abbiamo avuto cinque mesi, è stata una bella impresa») e la direttrice artistica Paola Malanga, stesso ruolo ma come vice a Rai Cinema. Prendono il posto di Antonio Monda, mai menzionato, e Laura Delli Colli ricordata e applaudita. La rassegna ha cercato negli anni una sua identità, ora ne ha due: al carattere popolare che fotografa la Capitale (anche) del cinema, enfatizzato con premi alla vituperata commedia assegnati da Verdone, si aggiunge il ritorno al concorso.
E’ denominato Progressive cinema, rigorosamente indipendente, e avvolto nel sudario della nicchia. Malanga: «La gara, di cui si è sentita la mancanza, ha la funzione di mettere in rilievo film che rischierebbero di non avere attenzione, sennò diventa un catalogo di offerte che viene anche a noia. Non ho litigato con nessuno per avere un film». Farinelli (vestito con i colori dell’Ucraina): «Un festival deve cercare le novità e farle emergere, è il cinema come arte del presente e del futuro». L’accento viene messo lì, sull’idea di laboratorio, infatti la seconda sezione che ruba il tempo, Freestyle, comprende video arte, video clip e ha uno stile libero. Però le anime sono due, è sia Festival che Festa: l’essai e la multisala.
Non c’è il totem delle anteprime mondiali; non c’è rivalita «con i festival super top, Cannes, Venezia, Berlino».
Molte opere prime, elementi autobiografici, documentari, musica e molto cinema italiano che, per Farinelli, «ha uno stato di salute ottimo». Apre Il Colibrì di Francesca Archibugi, dal romanzo di Sandro Veronesi, cast di peso con Favino, Smutniak, Bejo, Morante e un ruolo per Nanni Moretti. Tra i 16 film in gara (sette le registe donne), gli italiani sono: La cura di Francesco Patierno con Alessandro Preziosi (Napoli in pieno lockdown, una troupe gira un film su La Peste di Camus), e I morti rimangono con la bocca aperta di Fabrizio Ferraro (quattro partigiani nel ’44 inseguiti sull’Appennino). In Freestyle scendiamo nei Bassifondi di Francesco Pividoti in arte Trash secco, videomaker per Achille Lauro e Marracash, un film visionario su due senzatetto sotto un ponte scritto dai fratelli D’Innocenzo. Il ramo «popolare» è un altro mondo: Gianni Di Gregorio pensionato sfrattato che senza volerlo in Stefania Sandrelli trova l’amore; Edoardo Leo nel surreale War dove una rissa tra ragazzi sfocia nella dichiarazione di guerra a Francia e Spagna; L’ombra di Caravaggio di Michele Placido con Riccardo Scamarcio e la sua «amante» Isabelle Huppert (la diva francese in un secondo film, a rischio vilipendio, fa la domestica); Il principe di Roma con Marco Giallini; il comico rivelazione Lillo; la seconda serie di Romulus; la regina Elisabetta vista da Paola Calvetti e Fabrizio Ferri, e Pio La Tore da Walter Veltroni; per i romanisti Er gol de Turone era bono; Roberto Andò con Toni Servillo nei panni di Pirandello affiancato a sorpresa da Ficarra e Picone; Renato De Maria con Pietro Castellitto e Matilda De Angelis sull’oro del duce….
Non si darebbe merito al nuovo corso senza il tocco internazionale: il glamour c’è nel super cast del noir Anni ’30 Amsterdam, con Margot Robbie, Christian Bale e Robert De Niro. E poi il western con il discontinuo Nicolas Cage, Stephen Frears sui resti di Riccardo III, la black comedy The Menu con Ralph Fiennes e Anya Taylor-Joy. Si punta su Bros di Nicholas Stoller «su una comunità gay, era tanto che non ridevamo così».
Quanto alla gara, due rintocchi glam da Jennifer Lawrence soldatessa reduce dalla guerra in Afghanistane e da Ethan Hawke con Ewan McGregor fratellastri con un padre non amato. Per il resto è un zigzagare su rivendicazioni palestinesi, suore richiamate in famiglia, ballerine algerine menomate, gli effetti della pandemia in Cina,Berlino Est pre Muro, un’operaia coreana di mezz’età vittima di bullismo…Premio alla carriera a James Ivory. Budget a 6 milioni 373 mila (segna più 690 mila); la Berlinale ne ha 24. «Abbiamo 28 schermi, non sono i 60 di Berlino, ma vanno bene per i nostri 130 film», dice Farinelli che ha un bel guizzo ironico: «Abbiamo il restauro di Il ladro di bambini di Amelio, ero bambino quando fu cominciato».
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22 settembre 2022 (modifica il 22 settembre 2022 | 20:26)
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, 2022-09-22 18:27:00,
di Valerio Cappelli
I film in gara sono sedici. Due anime: una cinefila e una popolare. Molti attori italiani e autori indipendenti. Tra le star, Jennifer Lawrence e Margot Robbie. S apre con Il colibrì. Nuovo tandem con il presidente Gian Luca Farinelli e la direttrice Paola Malanga
Dietrofront. Più Festival che Festa. Continuità ma soprattutto discontinuità. Ci si riallinea alle altre rassegne, ma in punta di piedi, senza dichiarare guerra sulla scelta dei film. La 17ª edizione della Festa del cinema di Roma (13-23 ottobre) ha un nuovo tandem, strettamente cinefilo.
Il presidente Gian Luca Farinelli viene dalla Cineteca di Bologna («abbiamo avuto cinque mesi, è stata una bella impresa») e la direttrice artistica Paola Malanga, stesso ruolo ma come vice a Rai Cinema. Prendono il posto di Antonio Monda, mai menzionato, e Laura Delli Colli ricordata e applaudita. La rassegna ha cercato negli anni una sua identità, ora ne ha due: al carattere popolare che fotografa la Capitale (anche) del cinema, enfatizzato con premi alla vituperata commedia assegnati da Verdone, si aggiunge il ritorno al concorso.
E’ denominato Progressive cinema, rigorosamente indipendente, e avvolto nel sudario della nicchia. Malanga: «La gara, di cui si è sentita la mancanza, ha la funzione di mettere in rilievo film che rischierebbero di non avere attenzione, sennò diventa un catalogo di offerte che viene anche a noia. Non ho litigato con nessuno per avere un film». Farinelli (vestito con i colori dell’Ucraina): «Un festival deve cercare le novità e farle emergere, è il cinema come arte del presente e del futuro». L’accento viene messo lì, sull’idea di laboratorio, infatti la seconda sezione che ruba il tempo, Freestyle, comprende video arte, video clip e ha uno stile libero. Però le anime sono due, è sia Festival che Festa: l’essai e la multisala.
Non c’è il totem delle anteprime mondiali; non c’è rivalita «con i festival super top, Cannes, Venezia, Berlino».
Molte opere prime, elementi autobiografici, documentari, musica e molto cinema italiano che, per Farinelli, «ha uno stato di salute ottimo». Apre Il Colibrì di Francesca Archibugi, dal romanzo di Sandro Veronesi, cast di peso con Favino, Smutniak, Bejo, Morante e un ruolo per Nanni Moretti. Tra i 16 film in gara (sette le registe donne), gli italiani sono: La cura di Francesco Patierno con Alessandro Preziosi (Napoli in pieno lockdown, una troupe gira un film su La Peste di Camus), e I morti rimangono con la bocca aperta di Fabrizio Ferraro (quattro partigiani nel ’44 inseguiti sull’Appennino). In Freestyle scendiamo nei Bassifondi di Francesco Pividoti in arte Trash secco, videomaker per Achille Lauro e Marracash, un film visionario su due senzatetto sotto un ponte scritto dai fratelli D’Innocenzo. Il ramo «popolare» è un altro mondo: Gianni Di Gregorio pensionato sfrattato che senza volerlo in Stefania Sandrelli trova l’amore; Edoardo Leo nel surreale War dove una rissa tra ragazzi sfocia nella dichiarazione di guerra a Francia e Spagna; L’ombra di Caravaggio di Michele Placido con Riccardo Scamarcio e la sua «amante» Isabelle Huppert (la diva francese in un secondo film, a rischio vilipendio, fa la domestica); Il principe di Roma con Marco Giallini; il comico rivelazione Lillo; la seconda serie di Romulus; la regina Elisabetta vista da Paola Calvetti e Fabrizio Ferri, e Pio La Tore da Walter Veltroni; per i romanisti Er gol de Turone era bono; Roberto Andò con Toni Servillo nei panni di Pirandello affiancato a sorpresa da Ficarra e Picone; Renato De Maria con Pietro Castellitto e Matilda De Angelis sull’oro del duce….
Non si darebbe merito al nuovo corso senza il tocco internazionale: il glamour c’è nel super cast del noir Anni ’30 Amsterdam, con Margot Robbie, Christian Bale e Robert De Niro. E poi il western con il discontinuo Nicolas Cage, Stephen Frears sui resti di Riccardo III, la black comedy The Menu con Ralph Fiennes e Anya Taylor-Joy. Si punta su Bros di Nicholas Stoller «su una comunità gay, era tanto che non ridevamo così».
Quanto alla gara, due rintocchi glam da Jennifer Lawrence soldatessa reduce dalla guerra in Afghanistane e da Ethan Hawke con Ewan McGregor fratellastri con un padre non amato. Per il resto è un zigzagare su rivendicazioni palestinesi, suore richiamate in famiglia, ballerine algerine menomate, gli effetti della pandemia in Cina,Berlino Est pre Muro, un’operaia coreana di mezz’età vittima di bullismo…Premio alla carriera a James Ivory. Budget a 6 milioni 373 mila (segna più 690 mila); la Berlinale ne ha 24. «Abbiamo 28 schermi, non sono i 60 di Berlino, ma vanno bene per i nostri 130 film», dice Farinelli che ha un bel guizzo ironico: «Abbiamo il restauro di Il ladro di bambini di Amelio, ero bambino quando fu cominciato».
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22 settembre 2022 (modifica il 22 settembre 2022 | 20:26)
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