Il dibattito pedagogico sulla scuola e intorno alla scuola, ormai da decenni, è incentrato sull’importanza del voto molto più di quanto non si parli effettivamente della valutazione. È possibile fare a meno dei voti nella valutazione in itinere? È possibile usare la valutazione come mezzo di miglioramento dell’insegnamento e dell’apprendimento? Come organizzare l’attività didattica usando i riscontri descrittivi al posto dei voti?
Scrive Cristiano Corsini “diversamente dalla valutazione diseducativa, che è un processo semplice e sin troppo praticato, la valutazione educativa è una faccenda complessa e metterla in atto non è affatto scontato. Il master, interamente a distanza con alternanza di attività sincrone e asincrone, nasce sulla base dell’emergente richiesta di supporto da parte di chi si confronta con la necessità di dotarsi di strumenti utili a contrastare iniquità, esclusione sociale e dispersione scolastica. La valutazione educativa è concepita come processo che genera una conoscenza da impiegare nel miglioramento degli apprendimenti e dell’insegnamento”.
Supporto migliore e maggiormente definito alla progettazione e alla realizzazione dei processi valutativi
Serve nella società e nella scuola di oggi supporto migliore e maggiormente definito alla progettazione e alla realizzazione dei processi valutativi necessari allo sviluppo di attività didattiche efficaci ed eque, con particolare riferimento all’uso di riscontri descrittivi.
Ne parliamo con Cristiano Corsini, professore ordinario di Pedagogia sperimentale all’Università Roma Tre e direttore del “Master a distanza di I livello in Valutazione Educativa e Formativa per il miglioramento dei processi di insegnamento e apprendimento”.
Scrive Cristiano Corsini “Sento dirigenti e docenti dalla primaria alle secondarie nonché colleghe e colleghi dell’università affermare “Meglio i voti numerici, i voti numerici sono precisi” e mi chiedo quali altre categorie professionali siano in grado di tollerare un simile grado d’ignoranza rispetto ai fondamenti del proprio lavoro”. Corsini ci invita a rileggere un passaggio di Ferdinando Montuschi in “Scuola senza voti” addirittura del 1977 che scrive “Quei voti così sicuri e così rifiniti di meno, di più e di mezzi punti da sembrare usciti da una bilancia da farmacista, alla prova dei fatti ed alla prima sommaria verifica di oggettività ritornano deformati, incomprensibili, sconfitti. Sono gli stessi colleghi a non trovarsi d’accordo, a smentirsi a vicenda”.
Gli errori che inquinano il ragionamento sulla valutazione
Se il voto continua a esercitare una deleteria egemonia nella valutazione in itinere lo dobbiamo a quattro madornali errori che inquinano il ragionamento sulla valutazione. Il primo errore è la tendenza a considerare voto e valutazione sinonimi (per questo, a chi in itinere non assegna voti ma fornisce riscontri descrittivi viene rivolta l’accusa di non valutare). Il secondo errore consiste nel confondere voto (numerico) e misurazione, quando in realtà ogni voto (numerico o meno che sia) è la sintesi di diversi atti valutativi. Il terzo errore è legato alla contrapposizione tra voto numerico e giudizi sintetici (buono, intermedio, ecc.), contrapposizione che nasce dall’ignorare il fatto che si tratta comunque di voti, ovvero di sintesi ordinali che di per sé non forniscono indicazioni utili a migliorare gli apprendimenti. L’errore più rilevante è probabilmente il quarto, ampiamente debitore dei primi tre, consistente nella scelta di attribuire al voto (numerico o meno che sia) una valenza formativa, vera pietra miliare della valutazione in campo educativo. Si occupa, in maniera specifica, di indagini nazionali e internazionali sull’efficacia e sull’equità di scuole e sistemi d’istruzione. Progetta e realizza interventi formativi sulla valutazione educativa rivolti a docenti della scuola primaria, della scuola secondaria e dell’università. Ha pubblicato “La valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto” (2023) , “Evaluating educational quality” (2021, con C. Tienken e M. Tomarchio ), “Differenze di genere nell’editoria scolastica. Indagine empirica sui sussidiari dei linguaggi per la scuola primaria” (2016, con Irene Scierri), “Valutare scuole e docenti” (2015), “Il valore aggiunto in educazione” (2009).
Lei scrive che “il tempo dedicato alla valutazione cessa di essere tempo sottratto all’insegnamento e diventa realmente tempo di insegnamento e apprendimento”. Come operare e come convincere la classe docente che è giunto il momento di dedicarsi, fattivamente alla valutazione?
«La valutazione diventa una strategia didattica, non un momento burocratico estraneo ad apprendimento e insegnamento. A me pare che un buon metodo per convincere la classe docente sia quello di condividere le esperienze di insegnanti che usano questo modo per valutare, magari ricordando anche che è una scelta valutativa perfettamente coerente con la normativa e che in quanto tale non può essere ostacolata da decisioni di nessun dirigente e docente».
1, 2, 3 e 4… “impreparato” a iosa. Ma di cosa stiamo parlando?
«Il voto per legge è obbligatorio sulla scheda di fine periodo (valutazione periodica) e di fine anno (valutazione finale). Troppo spesso il voto che tiranneggia la valutazione in itinere è un capriccio dell’adulto. Si tratta di un espediente puerile più o meno consapevole del docente che non è in grado di descrivere l’attività svolta usando la valutazione come strumento per migliorarla. Troppo spesso è una scelta che impedisce al docente di assumere con consapevolezza la responsabilità di questa sua lacuna. È un ostacolo allo sviluppo professionale. D’altra parte, come abbiamo visto, non investiamo a sufficienza sulla formazione e sulla remunerazione della classe docente, per cui la scelta di incentrare sul voto la valutazione in itinere è anche il frutto di un compromesso al ribasso. È come se la nostra società dicesse al docente: “non ti ho formato né ti pago come dovrei, allora tu incentra sul voto la valutazione in itinere, da te non posso pretendere una valutazione realmente educativa”. Insomma, un compromesso al ribasso sulla pelle di studentesse e studenti.»
Come combattere lo stress degli studenti tra i banchi di scuola valutando, senza voti, le loro competenze e come disegnare la scuola per l’oggi dei nostri alunni? A cosa rinunciare e su cosa scommettere?
«La scuola spesso riflette l’ansia di controllo e lo spirito di competizione che nella società stanno divorando gli individui. Disancorare la routine scolastica dal voto non solo è possibile ma doveroso. In tal modo saranno studentesse e studenti ad assumersi responsabilità fondamentali e impareranno a gestirsi. Ci sono scuole che hanno rivisto le proprie attività didattiche, scuole che hanno modificato sostanzialmente i registri elettronici eliminando l’obbligo di assegnare voti per ogni valutazione (un obbligo illegale, che non può essere imposto a nessun docente). Ci sono docenti che hanno condiviso con la classe il proprio potere valutativo e hanno scoperto che così facendo studentesse e studenti si assumono la responsabilità di usare con rigore la valutazione come mezzo di regolazione del proprio apprendimento. Hanno anche scoperto che questa scelta rende molto più piacevole non solo l’apprendimento, ma anche l’insegnamento. Bisogna che le vecchie generazioni divengano mature e rinuncino a un capriccio per garantire alle nuove generazioni un diritto come quello all’istruzione».
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Autore dell’articolo Antonio Fundarò