di Paolo Giordano
A livello personale, posso dire di aver attraversato negli ultimi mesi una condizione prolungata di insufficienza emotiva. Troppo grandi gli eventi, troppo concreti
Anticipare quale sar il giudizio storico sul 2022 difficile, quindi non ci provo nemmeno. A livello personale, per, posso dire di aver attraversato negli ultimi mesi, e come mai prima, una condizione prolungata di insufficienza emotiva. Troppo grandi gli eventi, troppo concreti. Dal 24 febbraio in poi ho cozzato pi volte contro il fondo duro, metallico del mio sentire. Al punto che arrivato a settembre, quando iniziata la rivoluzione in Iran con i suoi tratti feroci e insieme galvanizzanti, ero a corto di energie vitali da investire. Mi sono trovato ad assistere al martirio di ragazzi e ragazze neanche maggiorenni con un’impressione colpevole di estraneit.
Duro, metallico, livido: il 2022 che termina chiama a s aggettivi di quel campo semantico, ha i colori dell’acciaieria Azovstal. Venivamo da anni quasi immateriali, anni di contagio trasparente, di connessioni virtuali e fantasie astratte di metaverso, anni di leggerezza, non nel senso spensierato ovviamente, semmai il contrario, durante i quali avevamo sviluppato perfino una qualche nostalgia dell’universo fisico. D’un tratto siamo stati precipitati a terra, riconvocati severamente dalla materia, dall’imperativo cupo della forza di gravit. Da mesi cerchiamo, con successi alterni, di mediare fra questi due opposti. La pesantezza dei cingoli dei carri armati che entrano in territorio ucraino e la leggerezza delle nostre parole contro ogni guerra.
La pesantezza dei blocchi di cemento schiantati al suolo dalle bombe e la leggerezza delle teorie geopolitiche nei talk show, a cui affidiamo il compito di far evaporare quella sostanza cos densa, per poterla tollerare. La leggerezza del gas russo e la pesantezza del fango ucraino. La leggerezza eterea di Starlink, che dal cielo garantisce la connessione al popolo aggredito, e la pesantezza dei missili che piovono da quello stesso cielo, che sventrano le abitazioni civili e non sembrano lanciati solo da un altro territorio ma anche da un altro secolo. La pesantezza delle fosse comuni di Bucha e la leggerezza avvilente delle organizzazioni sovranazionali, che richiamano, che ammoniscono, che invitano: avevamo affidato loro la tutela della nostra pace, ma d’un tratto le scopriamo deboli, ricattate. La leggerezza oscena dei droni iraniani, gli Shahed-136, appena duecento chili l’uno, che uniscono simbolicamente due Paesi diversamente deragliati come la Russia e l’Iran.
E anche l, in Iran: la leggerezza della chioma di Mahsa Amini, di tutte le ciocche tagliate per solidariet, dei ragazzi e delle ragazze che per strada fanno saltare i turbanti degli anziani ultraconservatori e dei nostri hashtag per ripostare quei video, contro la pesantezza del corpo di Majidreza Rahnavard, ventitr anni, impiccato a una gru.
Leggerezza e pesantezza: gi mentre la formulavo mi suonava come un’opposizione non originale, non mia. Milan Kundera l’ha riconosciuta molto prima, in un contesto di invasione e carri armati non cos diverso dal presente, e ne ha parlato come della pi misteriosa e pi ambigua fra tutte le opposizioni. Strana coincidenza: quel libro, che da ragazzo ho schivato perch mi sembrava troppo di moda, sul mio comodino dallo scorso gennaio, l’unico rimasto l per tutto l’anno senza una ragione apparente, a meno di non credere che i libri abbiamo la capacit di farsi trovare e talvolta anche di rimanere dove servono.
La mia amica Kateryna, poetessa e scrittrice per l’infanzia ucraina, stata nei giorni scorsi a visitare le aree del sud liberate nella controffensiva. Mykolav, Kherson. Quando la connessione funzionava e non c’erano allarmi aerei mi mandava fotografie di ci che aveva visto durante il giorno. Carcasse di auto accatastate, un muro crivellato di proiettili, filo spinato, edifici mutilati dai missili. Mai una figura umana, tanto meno un ritratto di s da cui trasparissero emozioni: solo oggetti muti. Spesso non sapevo come rispondere a quelle immagini, perci non rispondevo. Ammutolito anch’io dal silenzio che intuivo in quei paesaggi. D’altra parte, erano le ore in cui mi affannavo tra i negozi per finire i regali. Interpretando il mio silenzio, Kateryna ha scritto: Dimmi se preferisci che smetta, non voglio rovinarti il Natale. Allora mi ha preso un moto di insofferenza, perch sapevo che era vero il contrario: forse non voleva rovinarmi il Natale ma di certo voleva appesantirlo con tutta quella realt. Non ne avevo avuto abbastanza? Non ne abbiamo avuto tutti abbastanza a questo punto, di realt, di materia, di gravit? A distanza di qualche giorno, per, gliene sono grato. Ecco una frase di Kundera che non avrei capito davvero se avessi letto il libro quando era cos di moda e io ancora cos giovane, ma che capisco al termine di un anno come questo: Se l’eterno ritorno il fardello pi pesante, allora le nostre vite su questo sfondo possono apparire in tutta la loro meravigliosa leggerezza.
31 dicembre 2022 (modifica il 31 dicembre 2022 | 07:26)
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