Oggi, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il Colosseo a Roma alle 18,00 sarà illuminato di rosso. Un segnale per promuovere la consapevolezza e la lotta contro la violenza di genere e favorire valori di inclusività e dignità per tutte le donne, in Italia e nel mondo.
Ma molte saranno le iniziative che in tutta Italia, proprio oggi, sono state organizzate, mentre il rosso si conferma il simbolo di impegno e resistenza per debellare un fenomeno ancora troppo spesso al centro delle cronache. Le luci rosse dunque come desiderio e monito di cambiamento culturale profondo.
Tuttavia perché è stato scelto proprio il 25 novembre come “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sule donne”? E perché è stato scelto il rosso a simboleggiare la giornata?
Il 25 novembre del 1960, tre sorelle Patria, Maria Teresa e Minerva Mirabal, soprannominate “mariposas”, ovvero farfalle, stavano andando a far visita ai loro mariti, detenuti politici, oppositori di Trujillo, dittatore delle Repubblica Dominicana, ma furono bloccate e rapite sulla strada da agenti di quel regime fascista. Portate in un luogo appartato furono stuprate, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente. Le tre donne avevano anche la colpa di essersi impegnate nell’attivismo politico denunciando orrori e crimini.
In ogni caso nessuno credette all’incidente, mentre si creò un moto di orrore che fece porre l’attenzione su quell’evento soprattutto all’estero e su quel regime della Repubblica Dominicana che non tollerava di riconoscere alle donne dignità pubblica e politica. Pochi mesi dopo il loro assassinio, Trujillo fu ucciso e il suo regime cadde.
In ricordo di Patria, Maria Teresa e Minerva ogni 25 novembre si inaugura un periodo di 16 giorni dedicato all’attivismo contro la violenza di genere, che si conclude il 10 dicembre con la Giornata Internazionale dei diritti Umani.
La ricorrenza del 25 novembre fu voluta dalle Nazioni Unite che l’ha istituzionalizzata il 17 dicembre 1999 con una risoluzione, la 54/134, dove si definisce questa violenza “una delle violazioni dei diritti umani più diffuse, persistenti e devastanti che, ad oggi, non viene denunciata, a causa dell’impunità, del silenzio, della stigmatizzazione e della vergogna che la caratterizzano”.
Secondo l’Articolo 1 della Dichiarazione sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne, emanata dall’Assemblea Generale nel 1993, la violenza contro le donne è “Qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata”.
E nella stessa dichiarazione si riconosce la matrice storica, sociale e culturale della violenza di genere.
Il colore rosso da anni simboleggia la violenza sulle donne e in modo particolare le scarpe rosse che rappresentano la battaglia contro i maltrattamenti e femminicid. Questa scelta nasce in Messico, a Ciudad Juárez, dove si sono verificati numerosissimi femminicidi, fra cui l’uccisione da parte del marito della sorella dell’artista messicana, Elina Chauvet che, per ricordare anche le altre donne vittime di violenza, nel 2009 posizionò in una piazza della città 33 paia di scarpe femminili, tutte rosse.
In seguito, quel colore si ampliò e passò pure sulle panchine, luogo simbolico attorno al quale raccogliersi per riflettere e opporsi alla violenza e nello specifico alla violenza domestica; per sottolineare come la violenza sulle donne avvenga anche in contesti comunitari e familiari. Il progetto “La Panchina rossa” è stato lanciato dagli Stati Generali delle Donne ed è partito per la prima volta il 18 settembre 2016 per iniziativa del Comune di Lomello. Sulla panchina è di solito posta una targa che ne spiega la finalità e pure il numero antiviolenza 1522. In altre sono stati aggiunti i nomi delle donne uccise in quel territorio.
Intanto è nata la Convenzione di Istambul che vincola i 47 paesi che lo hanno ratificato dieci anni fa, nel 2011, sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. La convenzione di Istanbul è “Un trattato rivoluzionario”: così lo definì Amnesty International, mentre un elemento importante della Convenzione è l’obbligo per gli Stati “di attuare le sue disposizioni senza alcuna discriminazione. Le donne lesbiche, bisessuali, transessuali e intersessuali che affrontano pregiudizi e ostilità radicati profondamente in tutta Europa hanno, quindi, diritto alla protezione e al risarcimento ai sensi di questo trattato, così come chiunque sia sottoposto a violenza domestica”.
Da notare l’uscita successiva della Turchia, il primo Paese che ha firmato la Convenzione, mentre la Bulgaria, la Slovacchia e la Polonia hanno rigettato la Convenzione perché la giudicano incostituzionale.
Un prossimo passo nella prevenzione e lotta ai crimini di genere potrebbe essere quello di riconoscere all’interno della Ue la violenza contro donne e ragazze, ma anche contro le persone LGBTIQ+. Si attende pure una legge comunitaria anche contro il traffico di esseri umani, di droga e di armi, il crimine informatico e il terrorismo.
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