Cina, Xi Jinping come Mao: i pieni poteri e gli errori che condizionano il mondo

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Nei decenni scorsi, si era affermata l’idea che i politici e i burocrati cinesi fossero straordinariamente bravi. Se l’economia andava male, la rimettevano in carreggiata; se c’erano proteste popolari – e ce n’erano a migliaia ogni anno – le risolvevano con bastone e carota; se servivano case per l’urbanizzazione, le costruivano; gli ospedali per affrontare la pandemia sorgevano in una settimana. E nel mondo Pechino si presentava come una potenza responsabile e un centro di stabilità. Oggi è cambiato tutto.

Nessun limite di mandato

Il 16 ottobre, si aprirà a Pechino il XX Congresso del Pcc, il più rilevante da 40 anni. Durante l’assise, 2.300 delegati dovranno discutere e decidere molte cose ma, soprattutto, se il compagno Xi potrà rimanere leader del Partito per il terzo mandato quinquennale consecutivo. Sarebbe la prima volta dalla fine degli anni 70 che il segretario può continuare a guidare il Partito, e automaticamente lo Stato, dopo un decennio al comando. Fino al 2018, la Costituzione cinese lo vietava: due mandati, non uno di più. Ma quell’anno Xi l’ha fatta emendare e ora non ci sono più limiti costituzionali, quindi potrebbe rimanere al potere a vita. In teoria. In pratica, ogni cinque anni Xi deve convincere l’establishment comunista a riconfermargli il mandato. Le probabilità che venga rinominato sono quasi una certezza.

Epurati tutti gli avversari

Nei dieci anni di leadership – segretario del Partito, presidente della Repubblica Popolare Cinese, capo dell’Esercito di Liberazione Popolare – Xi Jinping ha immensamente rafforzato il proprio potere personale. Attraverso migliaia di epurazioni condotte dietro la politica di lotta alla corruzione, ha eliminato gli avversari più temibili. Già prima di essere eletto, nel 2012, il suo rivale diretto, Bo Xilai, è stato arrestato accusato di corruzione e altri crimini, il che gli ha spianato la strada verso il potere. Subito dopo la nomina alla guida della Cina, Xi ha lanciato una serie di campagne di «pulizia» che hanno portato in prigione o all’espulsione dal Pcc migliaia di membri, in alcuni casi avversari per il potere, in altri funzionari di alto livello, in altri ancora semplici iscritti (il Partito ha circa 97 milioni di militanti). Un modo per assicurarsi, attraverso punizioni e promozioni, la lealtà a ogni livello della gerarchia. Nella sola prima metà di quest’anno, sono stati puniti 21 quadri di partito di livello ministeriale nelle province, e 1.237 a livello di distretto e di dipartimento. Punizioni intese a rafforzare la sua posizione in vista del Congresso. In settembre, il viceministro per la Sicurezza Sun Lijun è stato condannato a morte (pena sospesa) perché «sleale» a Xi. L’ex ministro della Giustizia Fu Zhenghua ha seguito la stessa sorte. E’ lo stesso Fu Zhenghua che nel 2014 ebbe un ruolo centrale nell’epurazione dell’ex ministro della Sicurezza Zhou Yongkang.

Xi arriva dunque al Congresso con una concentrazione di potere nelle sue mani senza precedenti negli scorsi 40 anni. Sul piano dei risultati, però, arriva al Congresso con ben poco da mostrare, a partire dalla disastrosa gestione della pandemia

All’inizio, fra dicembre 2019 e i primi giorni del 2020, ha cercato di spazzare sotto al tappeto il problema e ha fatto silenziare chi avvertiva del pericolo, ritardando la risposta da dare, in Cina e nel resto del mondo. Poi, con la politica dello zero Covid (cioè soppressione con ogni mezzo di qualsiasi focolaio) ha imposto lockdown che continuano tuttora anche quando si presentano pochi casi di coronavirus. In settembre, forme di restrizione hanno colpito decine di città – a cominciare da Chengdu, 21 milioni di abitanti – le quali, messe assieme, producono un terzo del Pil cinese. In estate, era stata messa in lockdown Shanghai a diverse riprese. Gli esperti gli hanno consigliato di abbandonare questa politica in quanto irrealizzabile, ma «l’imperatore» non può ammettere di aver sbagliato. Così, mentre il resto del mondo cerca una normalità, la Cina resta chiusa e l’economia rallenta.

Il controllo del Partito sulle imprese

L’obiettivo che Pechino si era posta per il 2022, era una crescita del Pil del 5,5%, già molto bassa per gli standard storici del Paese. E’ ora opinione condivisa dagli esperti che non sarà raggiunto. In generale, nell’era Xi l’economia cinese ha continuato a crescere, ma ogni anno a un tasso inferiore, esclusi una stabilità nel 2017 e poi il 2021, quando c’è stato un rimbalzo dell’8,11% rispetto al pessimo 2020 di piena pandemia (+2,24%). Che un’economia emergente riduca il tasso di crescita via via che il suo Pil aumenta è abbastanza normale. Di certo, le politiche di Xi e del vertice del Partito Comunista hanno rafforzato la tendenza al rallentamento, e non solo per la politica dello Zero-Covid. Via via che concentrava più potere nelle sue mani, Xi ha dato l’indicazione di limitare il settore privato e di riportare il controllo dell’economia sempre più sotto il controllo dello Stato (cioè del Partito). Questo ridimensionamento va sotto la politica della «prosperità comune», che sarà centrale nel Congresso.

Le critiche costano care

Le riforme di mercato introdotte da Deng dalla fine degli Anni Settanta hanno permesso a milioni di cinesi di uscire dalla povertà. Xi ha invece reintrodotto elementi di economia pianificata sullo stile dell’era maoista, ha privilegiato le imprese di Stato rispetto a quelle private e in queste ultime, anche straniere, sta infiltrando cellule del Partito a scopo di controllo e di indirizzo. Alcune imprese dinamiche, come il gruppo assicurativo Anbang e la conglomerata Hna, hanno dovuto cedere il controllo dei loro business allo Stato. Gruppi fortissimi come Alibaba e Tencent sono stati ridimensionati, multati e sottoposti a nuove regole. Il fondatore di Alibaba, Jack Ma, che ha criticato la gestione finanziaria del Paese è stato emarginato. Mentre Sun Dawu, del Dawu Group, un colosso dell’agricoltura, che ha osato dare del clown a Xi per la sua gestione della pandemia, ora è in carcere con una condanna a 18 anni. Anche Cai Xia è stata espulsa dal Pcc e privata della pensione per aver criticato la politica di Xi. Cai è una professoressa che ha insegnato alla strategica Scuola Centrale di Partito dal 1998 al 2012, dove ha formato decine di funzionari e politici. Dal 2020 è in esilio negli Stati Uniti.

Migliaia di cantieri congelati

Nel frattempo, è scoppiata la bolla immobiliare, ed è un domino di fallimenti e default. Il più importante è quello di Evergrande, un gruppo immobiliare con passività nell’ordine dei 300 miliardi di dollari, considerato oggi il maggior debitore mondiale nel suo campo. La crisi che ha colpito il settore delle costruzioni e degli immobili, che realizza quasi il 30% del Pil cinese, ha provocato il congelamento dell’attività, migliaia di palazzi non finiti rimangono tali. I cittadini che hanno versato anticipi per una nuova casa in 320 progetti sparsi per il Paese ora si rifiutano di pagare le rate per un appartamento che non avranno: Standard & Poor’s calcola che i prestiti al momento boicottati raggiungano almeno i 145 miliardi di dollari. Nell’agosto 2021 sono stati distrutti con l’esplosivo 15 grattacieli non finti nella capitale dello Yunnan, Kunming. Il violento rallentamento delle costruzioni causa a sua volta una riduzione dei servizi sociali, perché le autorità locali non riuscendo più a vendere terreni e diritti di costruzione alle imprese, sono a corto di soldi.

Sale il rischio Cina

In questa cornice di problemi economici crescenti, la capacità di attrazione dell’economia cinese ne risente. Il Paese rimane centrale nelle catene globali di creazione del valore. Ma alcune grandi multinazionali hanno iniziato a spostare le produzioni fuori dalla Cina. Apple produce orologi, AirPod e iPad in Vietnam e sposterà lì anche parte della produzione del nuovo iPhone. Sempre in Vietnam, Microsoft realizza le Xbox che prima faceva in Cina. In Vietnam anche Google ricollocherà parte della produzione dello smartphone Pixel. Amazon produce i dispositivi Fire Tv in India. Secondo le Camere di Commercio Ue e usa in Cina le incertezze dell’economia, il costo del lavoro che negli anni è cresciuto, e le tensioni geopolitiche hanno fatto salire il rischio Cina per investitori e multinazionali. Il risultato è che le aspettative legate all’economia cinese si deteriorano. Il Japan Center for Economic Research di Tokyo aveva previsto che il Pil cinese avrebbe superato quello americano nel 2029, ora ha spostato la data al 2033.

Il traguardo più prestigioso

L’altro lato della politica del leader di Pechino riguarda gli affari internazionali, dove l’obiettivo dichiarato è portare il Paese al centro degli equilibri mondiali. Anche qui, però, Xi arriva al Congresso con poco da vendere. Il suo progetto distintivo e prestigioso, la Nuova Via della Seta, lanciata nel 2013, trova sempre più difficoltà a progredire, dopo che in alcuni Paesi che vi hanno aderito (Sri Lanka, in Malaysia, in Pakistan) si sono visti i cattivi effetti dell’indebitamento con la Cina per finanziare progetti infrastrutturali maestosi. L’iniziativa, dopo una partenza a razzo, ha visto declinare gli investimenti che quest’anno (dati a fine agosto) sono stati solo di una dozzina di miliardi di dollari. Insomma, la rete di strade, ferrovie, elettricità, porti, aeroporti, ponti, centri di scambio commerciale con al centro la Cina avanza lentamente, e con il crescente scetticismo dei Paesi che Pechino vuole collegare nel network.

L’amico Putin e l’isola ribelle

La decisione che Xi Jinping porterà come un peso nel Congresso, è quella della «amicizia senza limiti» con Vladimir Putin, dichiarata il 4 febbraio 2022, venti giorni prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Quasi un via libera. Ma non condiviso da una parte consistente dei vertici del Pcc.Una decisione che ha gettato un’ombra sulla reputazione globale della Cina, che per decenni si è presentata al mondo come forza di pace e di stabilità e ora, sotto la guida di Xi, appoggia di fatto un’invasione in piena Europa. Ha militarizzato le isole artificiali nel Mare Cinese Meridionale, e minaccia di prendere con la forza militare o con un blocco aereo e navale Taiwan, isola che considera una provincia ribelle. Infine per zittire ogni critica internazionale a Pechino, Xi ha scatenato i cosiddetti Wolf Warriors della diplomazia.

Il peso degli errori

Nel Congresso, si confrontano una fazione marxista ortodossa alla quale si può iscrivere Xi; una di centro della quale fa parte il primo ministro Li Keqiang che vorrebbe più libertà in economia; e una di destra, la più debole, liberale in economia e aperta a riforme parzialmente democratiche. L’esito è scontato: gli errori del decennio difficilmente verranno corretti dal Congresso, mentre le decisioni della Cina condizioneranno il precario equilibrio internazionale.

10 ottobre 2022 | 07:13

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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, 2022-10-10 05:16:00,

Nei decenni scorsi, si era affermata l’idea che i politici e i burocrati cinesi fossero straordinariamente bravi. Se l’economia andava male, la rimettevano in carreggiata; se c’erano proteste popolari – e ce n’erano a migliaia ogni anno – le risolvevano con bastone e carota; se servivano case per l’urbanizzazione, le costruivano; gli ospedali per affrontare la pandemia sorgevano in una settimana. E nel mondo Pechino si presentava come una potenza responsabile e un centro di stabilità. Oggi è cambiato tutto.

Nessun limite di mandato

Il 16 ottobre, si aprirà a Pechino il XX Congresso del Pcc, il più rilevante da 40 anni. Durante l’assise, 2.300 delegati dovranno discutere e decidere molte cose ma, soprattutto, se il compagno Xi potrà rimanere leader del Partito per il terzo mandato quinquennale consecutivo. Sarebbe la prima volta dalla fine degli anni 70 che il segretario può continuare a guidare il Partito, e automaticamente lo Stato, dopo un decennio al comando. Fino al 2018, la Costituzione cinese lo vietava: due mandati, non uno di più. Ma quell’anno Xi l’ha fatta emendare e ora non ci sono più limiti costituzionali, quindi potrebbe rimanere al potere a vita. In teoria. In pratica, ogni cinque anni Xi deve convincere l’establishment comunista a riconfermargli il mandato. Le probabilità che venga rinominato sono quasi una certezza.

Epurati tutti gli avversari

Nei dieci anni di leadership – segretario del Partito, presidente della Repubblica Popolare Cinese, capo dell’Esercito di Liberazione Popolare – Xi Jinping ha immensamente rafforzato il proprio potere personale. Attraverso migliaia di epurazioni condotte dietro la politica di lotta alla corruzione, ha eliminato gli avversari più temibili. Già prima di essere eletto, nel 2012, il suo rivale diretto, Bo Xilai, è stato arrestato accusato di corruzione e altri crimini, il che gli ha spianato la strada verso il potere. Subito dopo la nomina alla guida della Cina, Xi ha lanciato una serie di campagne di «pulizia» che hanno portato in prigione o all’espulsione dal Pcc migliaia di membri, in alcuni casi avversari per il potere, in altri funzionari di alto livello, in altri ancora semplici iscritti (il Partito ha circa 97 milioni di militanti). Un modo per assicurarsi, attraverso punizioni e promozioni, la lealtà a ogni livello della gerarchia. Nella sola prima metà di quest’anno, sono stati puniti 21 quadri di partito di livello ministeriale nelle province, e 1.237 a livello di distretto e di dipartimento. Punizioni intese a rafforzare la sua posizione in vista del Congresso. In settembre, il viceministro per la Sicurezza Sun Lijun è stato condannato a morte (pena sospesa) perché «sleale» a Xi. L’ex ministro della Giustizia Fu Zhenghua ha seguito la stessa sorte. E’ lo stesso Fu Zhenghua che nel 2014 ebbe un ruolo centrale nell’epurazione dell’ex ministro della Sicurezza Zhou Yongkang.

Xi arriva dunque al Congresso con una concentrazione di potere nelle sue mani senza precedenti negli scorsi 40 anni. Sul piano dei risultati, però, arriva al Congresso con ben poco da mostrare, a partire dalla disastrosa gestione della pandemia

All’inizio, fra dicembre 2019 e i primi giorni del 2020, ha cercato di spazzare sotto al tappeto il problema e ha fatto silenziare chi avvertiva del pericolo, ritardando la risposta da dare, in Cina e nel resto del mondo. Poi, con la politica dello zero Covid (cioè soppressione con ogni mezzo di qualsiasi focolaio) ha imposto lockdown che continuano tuttora anche quando si presentano pochi casi di coronavirus. In settembre, forme di restrizione hanno colpito decine di città – a cominciare da Chengdu, 21 milioni di abitanti – le quali, messe assieme, producono un terzo del Pil cinese. In estate, era stata messa in lockdown Shanghai a diverse riprese. Gli esperti gli hanno consigliato di abbandonare questa politica in quanto irrealizzabile, ma «l’imperatore» non può ammettere di aver sbagliato. Così, mentre il resto del mondo cerca una normalità, la Cina resta chiusa e l’economia rallenta.

Il controllo del Partito sulle imprese

L’obiettivo che Pechino si era posta per il 2022, era una crescita del Pil del 5,5%, già molto bassa per gli standard storici del Paese. E’ ora opinione condivisa dagli esperti che non sarà raggiunto. In generale, nell’era Xi l’economia cinese ha continuato a crescere, ma ogni anno a un tasso inferiore, esclusi una stabilità nel 2017 e poi il 2021, quando c’è stato un rimbalzo dell’8,11% rispetto al pessimo 2020 di piena pandemia (+2,24%). Che un’economia emergente riduca il tasso di crescita via via che il suo Pil aumenta è abbastanza normale. Di certo, le politiche di Xi e del vertice del Partito Comunista hanno rafforzato la tendenza al rallentamento, e non solo per la politica dello Zero-Covid. Via via che concentrava più potere nelle sue mani, Xi ha dato l’indicazione di limitare il settore privato e di riportare il controllo dell’economia sempre più sotto il controllo dello Stato (cioè del Partito). Questo ridimensionamento va sotto la politica della «prosperità comune», che sarà centrale nel Congresso.

Le critiche costano care

Le riforme di mercato introdotte da Deng dalla fine degli Anni Settanta hanno permesso a milioni di cinesi di uscire dalla povertà. Xi ha invece reintrodotto elementi di economia pianificata sullo stile dell’era maoista, ha privilegiato le imprese di Stato rispetto a quelle private e in queste ultime, anche straniere, sta infiltrando cellule del Partito a scopo di controllo e di indirizzo. Alcune imprese dinamiche, come il gruppo assicurativo Anbang e la conglomerata Hna, hanno dovuto cedere il controllo dei loro business allo Stato. Gruppi fortissimi come Alibaba e Tencent sono stati ridimensionati, multati e sottoposti a nuove regole. Il fondatore di Alibaba, Jack Ma, che ha criticato la gestione finanziaria del Paese è stato emarginato. Mentre Sun Dawu, del Dawu Group, un colosso dell’agricoltura, che ha osato dare del clown a Xi per la sua gestione della pandemia, ora è in carcere con una condanna a 18 anni. Anche Cai Xia è stata espulsa dal Pcc e privata della pensione per aver criticato la politica di Xi. Cai è una professoressa che ha insegnato alla strategica Scuola Centrale di Partito dal 1998 al 2012, dove ha formato decine di funzionari e politici. Dal 2020 è in esilio negli Stati Uniti.

Migliaia di cantieri congelati

Nel frattempo, è scoppiata la bolla immobiliare, ed è un domino di fallimenti e default. Il più importante è quello di Evergrande, un gruppo immobiliare con passività nell’ordine dei 300 miliardi di dollari, considerato oggi il maggior debitore mondiale nel suo campo. La crisi che ha colpito il settore delle costruzioni e degli immobili, che realizza quasi il 30% del Pil cinese, ha provocato il congelamento dell’attività, migliaia di palazzi non finiti rimangono tali. I cittadini che hanno versato anticipi per una nuova casa in 320 progetti sparsi per il Paese ora si rifiutano di pagare le rate per un appartamento che non avranno: Standard & Poor’s calcola che i prestiti al momento boicottati raggiungano almeno i 145 miliardi di dollari. Nell’agosto 2021 sono stati distrutti con l’esplosivo 15 grattacieli non finti nella capitale dello Yunnan, Kunming. Il violento rallentamento delle costruzioni causa a sua volta una riduzione dei servizi sociali, perché le autorità locali non riuscendo più a vendere terreni e diritti di costruzione alle imprese, sono a corto di soldi.

Sale il rischio Cina

In questa cornice di problemi economici crescenti, la capacità di attrazione dell’economia cinese ne risente. Il Paese rimane centrale nelle catene globali di creazione del valore. Ma alcune grandi multinazionali hanno iniziato a spostare le produzioni fuori dalla Cina. Apple produce orologi, AirPod e iPad in Vietnam e sposterà lì anche parte della produzione del nuovo iPhone. Sempre in Vietnam, Microsoft realizza le Xbox che prima faceva in Cina. In Vietnam anche Google ricollocherà parte della produzione dello smartphone Pixel. Amazon produce i dispositivi Fire Tv in India. Secondo le Camere di Commercio Ue e usa in Cina le incertezze dell’economia, il costo del lavoro che negli anni è cresciuto, e le tensioni geopolitiche hanno fatto salire il rischio Cina per investitori e multinazionali. Il risultato è che le aspettative legate all’economia cinese si deteriorano. Il Japan Center for Economic Research di Tokyo aveva previsto che il Pil cinese avrebbe superato quello americano nel 2029, ora ha spostato la data al 2033.

Il traguardo più prestigioso

L’altro lato della politica del leader di Pechino riguarda gli affari internazionali, dove l’obiettivo dichiarato è portare il Paese al centro degli equilibri mondiali. Anche qui, però, Xi arriva al Congresso con poco da vendere. Il suo progetto distintivo e prestigioso, la Nuova Via della Seta, lanciata nel 2013, trova sempre più difficoltà a progredire, dopo che in alcuni Paesi che vi hanno aderito (Sri Lanka, in Malaysia, in Pakistan) si sono visti i cattivi effetti dell’indebitamento con la Cina per finanziare progetti infrastrutturali maestosi. L’iniziativa, dopo una partenza a razzo, ha visto declinare gli investimenti che quest’anno (dati a fine agosto) sono stati solo di una dozzina di miliardi di dollari. Insomma, la rete di strade, ferrovie, elettricità, porti, aeroporti, ponti, centri di scambio commerciale con al centro la Cina avanza lentamente, e con il crescente scetticismo dei Paesi che Pechino vuole collegare nel network.

L’amico Putin e l’isola ribelle

La decisione che Xi Jinping porterà come un peso nel Congresso, è quella della «amicizia senza limiti» con Vladimir Putin, dichiarata il 4 febbraio 2022, venti giorni prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Quasi un via libera. Ma non condiviso da una parte consistente dei vertici del Pcc.Una decisione che ha gettato un’ombra sulla reputazione globale della Cina, che per decenni si è presentata al mondo come forza di pace e di stabilità e ora, sotto la guida di Xi, appoggia di fatto un’invasione in piena Europa. Ha militarizzato le isole artificiali nel Mare Cinese Meridionale, e minaccia di prendere con la forza militare o con un blocco aereo e navale Taiwan, isola che considera una provincia ribelle. Infine per zittire ogni critica internazionale a Pechino, Xi ha scatenato i cosiddetti Wolf Warriors della diplomazia.

Il peso degli errori

Nel Congresso, si confrontano una fazione marxista ortodossa alla quale si può iscrivere Xi; una di centro della quale fa parte il primo ministro Li Keqiang che vorrebbe più libertà in economia; e una di destra, la più debole, liberale in economia e aperta a riforme parzialmente democratiche. L’esito è scontato: gli errori del decennio difficilmente verranno corretti dal Congresso, mentre le decisioni della Cina condizioneranno il precario equilibrio internazionale.

10 ottobre 2022 | 07:13

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