di Andrea Nicastro
Pace lontana: russi e ucraini fermi sulle rispettive rivendicazioni. Decisive le mosse di Washington. Nuovo tentativo di mediazione affidato a Nehammer: il cancelliere austriaco incontra Putin
DAL NOSTRO INVIATO
DNIPRO Non c’è pace in vista. La Russia prepara la battaglia del Donbass e ordina 220/250 raid aerei al giorno. Non proprio un segno di buona volontà. Dal lato ucraino, il capo negoziatore Mykhailo Podolyak è altrettanto bellicoso: «Dopo aver vinto potremo dettare le nostre condizioni». Per il momento, dunque, a parlare sono soprattutto le armi. Entrambi i contendenti cercano di imporsi sul terreno. In questo quadro tremendo, perché significa che ci saranno altri morti e distruzione, aleggiano una serie di variabili. Vediamone alcune.
Le richieste russe
Mosca ha scatenato l’invasione su tre parole d’ordine: «denazificare, demilitarizzare e difendere i russi dell’Ucraina» che tradotto significava instaurare un governo fantoccio, impedire infiltrazioni Nato e prendersi oltre alla Crimea (almeno) il Donbass. Ora pare che si accontenterebbe di stroncare i «nazisti» del Battaglione Azov a Mariupol, avere garanzie anti-Nato e prendersi (almeno) il Donbass. Pare: solo Putin lo sa.
Le richieste ucraine
L’Ucraina continua a rivendicare l’integrità territoriale. Ufficialmente vorrebbe indietro anche la Crimea persa nel 2014. Però si è detta disposta a togliere dalla Costituzione l’aspirazione ad entrare nella Nato e a confermare la rinuncia alle armi nucleari (anche ospitate). Il problema di Kiev è: chi ci difenderà da un’altra invasione quando avremo «smilitarizzato»? Si sono detti disponibili al ruolo di garanti Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Turchia, Polonia, Israele, Canada e Italia. Ma garanti di cosa? Della difesa armata? Per Mosca accettarlo significherebbe far rientrare la Nato dalla finestra dopo averla cacciata dalla porta.
I mediatori
Il bielorusso Lukashenko ha offerto il primo tavolo. Inutile. Poi hanno fallito al telefono il francese Macron, il tedesco Scholz e l’ungherese Orban. Maggior successo ha avuto il turco Erdogan, perché ad Istanbul è stata annunciata la «drastica diminuzione dell’attività militare a Nord». Ora ci prova il cancelliere austriaco Karl Nehammer. Oggi sarà (primo leader occidentale) a Mosca da Putin. Sabato ha incontrato Zelensky. Ma la sensazione è che nessuno sarà determinante fino a che Washington non entrerà nella partita della pace oltre che in quella della fornitura di armi. Sono gli Usa gli unici «garanti» di cui Kiev si può fidare.
La verticale del potere
Proprio al tavolo di Istanbul il ministro degli Esteri russo Lavrov si sarebbe lasciato scappare un’espressione per dire che era inutile discutere, «tanto decide Putin». La verticale del potere è diventata autoritarismo imperscrutabile. Può essere un vantaggio. Putin vedendosi in pericolo può ordinare il ritiro. A Kiev, invece, Zelensky deve rendere conto a una coralità di personaggi politici, imprenditoriali, militari e ora anche alleati internazionali. Se pure l’ex attore decidesse di offrire la resa, molti si opporrebbero. Da una parte decide uno, dall’altra devono essere convinti quasi tutti.
Il fondo cassa
Le guerre non si vincono solo sparando, ma anche tenendo vivo il Paese. La Russia sarebbe a un passo dal default tecnico. Molti personaggi di vertice non possono viaggiare e hanno i conti bloccati. Le sanzioni occidentali punzecchiano, ma le risorse del Paese sono integre. L’Ucraina invece è alla paralisi. Quasi nessuno lavora, le tasse sono sospese, il Paese vive a credito. L’Unione europea ha fornito un miliardo in aiuti. Usa, Gb e qualcun altro almeno 2 miliardi in armi. Il problema è che nello stesso periodo la Russia ha incassato 34 miliardi di idrocarburi. Per questo Kiev implora «rinunciate al gas».
11 aprile 2022 (modifica il 11 aprile 2022 | 07:15)
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, 2022-04-11 06:37:00, Pace lontana: russi e ucraini fermi sulle rispettive rivendicazioni. Decisive le mosse di Washington. Nuovo tentativo di mediazione affidato a Nehammer: il cancelliere austriaco incontra Putin , Andrea Nicastro