di Martino Spadari, inviato a Medyka, in Polonia al confine con l’Ucraina
Arrivano a piedi e si ammassano verso il punto della dogana dove, piano piano, passano i controlli per poi raggiungere l’altra parte, la Polonia, e tirare un respiro di sollievo
Il confine tra l’Ucraina e la Polonia è come una clessidra: una moltitudine di donne e bambini che scappano dalle bombe (ieri sono arrivate a colpire per la prima volta anche non lontano da Leopoli). Arrivano a piedi e si ammassano verso il punto della dogana dove, piano piano, passano i controlli per poi raggiungere l’altra parte, la Polonia, e tirare un respiro di sollievo. Siamo a Medyka, piccolo centro sulla linea che divide i due Paesi, uno in guerra l’altro in pace. Appena oltrepassano la dogana ad attenderle c’è’ Alex che consegna a tutte una sim per collegarsi alla rete telefonica polacca e rassicurare i parenti a casa. Poi in lingua ucraina spiega loro che ora si trovano al sicuro, sono in Europa e che subito riceveranno una bevanda calda, biscotti e caramelle per i bambini.
Alcune donne, piene di borse e valige, riescono a fare un sorriso e una di loro ha addirittura la forza di mandare un bacio al volo ad Alex che ringrazia. Ad aspettare questa lunga fila di persone in fuga ci sono bus, furgoni auto che li caricano e li portano a pochi chilometri di distanza dove ci sono due hub, un centro commerciale e una palestra, allestiti con brandine e coperte: li potranno fermarsi per qualche giorno prima di ripartire per Germania, Austria, Italia, Olanda e lasciare il posto ai nuovi rifugiati in arrivo. Sono le 4 di pomeriggio e siamo arrivati a Medyka partendo da Milano con 500 kit di sopravvivenza da recapitare all’ospedale di Leopoli. E’ una delle missioni umanitarie organizzate dalla onlus HOPE sotto diretta richiesta dell’ambasciata ucraina a Roma e del consolato a Milano (il piano di HOPE è di dare vita a un recapito settimanale dall’Italia).
Gianluca, Fabio, Andrea, Sauro e Mauro sono tutti professionisti affermati: hanno risposto all’appello e hanno deciso di lasciare i loro uffici per mettersi alla guida di furgoni della onlus e portare questo aiuto concreto fino qui. I kit ora verranno presi in consegna da un addetto dell’ospedale e recapitati a 500 famiglie ucraine rimaste senza casa. E mentre si organizza la consegna di questi scatoloni la colonna dei profughi dall’Ucraina non si ferma: centinaia di mamme con uno o due figli ma anche tante donne anziane, molte in carrozzina, aiutate dai tanti volontari arrivati qui da tutto il continente.
«Medyka e’ la parte migliore dell’Europa» si sente dire in inglese tra le persone che ricevono una tazza di brodo per scaldarsi (qui fa davvero molto freddo e tira un’aria che raggela). “Siamo qui per garantire un primo aiuto – spiega Elena Fazzini, fondatrice di HOPE – ma soprattuto per organizzare i prossimi invii che saranno di apparecchiature mediche e medicinali. La situazione in Ucraina sta peggiorando di ora in ora. Per questo con noi c’è’ Giacomo Grasselli, responsabile rianimazione del Policlinico di Milano». «Si – chiarisce il dirigente sanitario – siamo qui per capire di cosa hanno bisogno. L’ospedale di Leopoli, sopratutto il reparto pediatrico, e’ comprensibilmente in crisi e va aiutato. Lo stesso succede a Kiev e in altri ospedali del Paese. Manca tutto, dagli antibiotici al disinfettante».
Intanto la dogana dove consentito il transito delle auto viene chiusa dalle guardie polacche: «Di la’ c’e’ pericolo – dice un poliziotto – ci sono state esplosioni vicino a Leopoli». E per tre ore nessun veicolo, nemmeno quelli degli aiuti umanitari, possono passare il confine. Tutto bloccato. Ma non la fila a piedi delle donne ucraine che continuano ad arrivare senza sosta: per loro le porte della speranza in terra polacca restano aperte. Cala il buio e a Medyka la temperatura crolla a -6 gradi. Solo a questo punto Il flusso dei profughi rallenta: “«Di la’ ho lasciato i miei genitori – racconta Marina 21 anni di Dnipro -. Ora andrò’ nella Repubblica Ceca e spero di trovare una sistemazione, anche se li non conosco nessuno. Io studio medicina e vorrei un giorno tornare a casa ma adesso non so…». Saluta e sale sul mezzo che la porta all’hub. Dietro di lei ancora donne che stringono al petto bambini infreddoliti: il bus e’ pieno e parte. Almeno questa notte avranno un posto al caldo dove mangiare e dormire senza sentirsi addosso i pericoli della guerra.
12 marzo 2022 (modifica il 12 marzo 2022 | 09:12)
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