Pil Italia: il miglior risultato del G7. Ma attenzione a come si distribuiscono gli aiuti

Pil Italia: il miglior risultato del G7. Ma attenzione a come si distribuiscono gli aiuti

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Sarà difficile schivare la recessione in arrivo sull’Europa, ma intanto l’Italia ha messo a segno risultati migliori degli altri Paesi del G7. Grazie all’iniezione di fiducia data ai mercati dall’autorevolezza dei 20 mesi di governo Draghi. E grazie alle tante piccole e medie imprese dove gli imprenditori stanno facendo il loro mestiere, che è quello di reagire alle crisi con le proprie forze inventandosi nuove strade e mobilitando gli utili accumulati nelle fasi di crescita. Lo dobbiamo soprattutto a loro se il Paese resta in piedi.

L’imprenditore che si prende i rischi

La Geiko Taiki-sha è un’azienda famigliare di Cinisello Balsamo, con 250 dipendenti, e produce per le case automobilistiche reparti completi per la verniciatura delle auto. Però da quando la Commissione europea ha annunciato che dal 2035 le auto diesel e a benzina non saranno più immatricolate, l’Europa da molti investitori è considerata troppo rischiosa. Ad aprile scorso il socio giapponese di Geiko (Taiki-sha appunto) decide di uscire dall’Europa. Per un accordo preso in precedenza, il proprietario A. Reza Arabnia avrebbe potuto vendergli la sua quota (il 51%). A quel punto però l’azienda avrebbe chiuso e mandato a casa i dipendenti. La decisione è stata quella di dare fondo alle risorse di famiglia per acquisire le azioni dei giapponesi (che poi sono rimasti soci al 14,5% per avere accesso alle tecnologie Geiko). In soldoni: circa 30 milioni di investimento in piena crisi e, per alleggerire i conti del gruppo, il presidente onorario ha rinunciato al suo compenso (400 mila euro lordi) per cinque anni. Parte di quei soldi (1000 euro netti) sono stati messi nella busta paga di tutti i dipendenti per affrontare il caro-prezzi.

Anche la Masmec di Bari, un’azienda familiare fondata 40 anni fa con un fatturato di 35 milioni di euro e 290 dipendenti, fino a qualche anno fa produceva solo macchine e linee automatiche per l’assemblaggio e il collaudo di componenti delle auto con motore endotermico. Questo filone del business oggi copre solo il 20% del fatturato. Per un altro 60% Masmec lavora per i produttori di auto elettriche, mentre per l’ultimo 20% è entrata nel settore degli apparecchi medicali. Il cambio delle linee produttive ha reso necessaria la creazione di una nuova sede con un investimento di 24 milioni. In parte hanno avuto accesso ai fondi europei, ma il grosso lo hanno messo di tasca loro e, per tenere il passo, ogni anno investono il 15-20% del fatturato in ricerca e sviluppo.

Cavalcare il cambiamento

Prendere rischi e fiutare i mutamenti prima degli altri, inventando nuovi prodotti e servizi: questo fanno gli imprenditori. L’azienda di Roberto Cimberio, la Cimberio spa sul lago D’Orta, ha quasi 100 anni di vita e di dipendenti ne ha 200. Produce valvole. In ottone, ma sempre valvole che di per sé non sono nulla di innovativo. Nel 2015 Cimberio ha deciso di farle dialogare con la tecnologia digitale. «Comandare» le valvole a distanza, e farlo tramite un algoritmo intelligente, vuole dire regolare i flussi di riscaldamento e raffreddamento. In questo modo si possono ridurre i consumi di energia di vecchi edifici, senza bisogno di ristrutturazioni. Siccome le competenze digitali sono indispensabili ha iniziato una stretta collaborazione con una start up, Enersem, incubata al Polihub di Milano Bovisa, con 15 ingegneri. All’inizio la società è partita con un finanziamento europeo da 1,7 milioni, poi la famiglia ne ha messi altri 8,3 di tasca propria. E poi sono arrivati i risultati con le prime commesse importanti. Il Consorzio Tutela Grana Padano utilizza il loro sistema di regolazione per mantenere una temperatura sempre costante nei magazzini adibiti alla stagionatura. E ora li stanno installando anche gli alberghi. «Le notti insonni sono ancora tante – dice Cimberio – ma il traguardo si avvicina, ed è quello di portare questa tecnologia dentro le case».

L’azienda-comunità

Chi ha le spalle meno larghe ha bisogno anche dell’aiuto dei dipendenti per rispondere alla crisi. Soprattutto nelle attività energivore, dove spesso vanno riorganizzati i turni per concentrare la produzione sfruttando al massimo gli impianti. Alla Argo di Baranzate, alle porte di Milano, si producono guarnizioni in gomma. I 50 dipendenti hanno sempre lavorato su due turni, ma da settembre per fronteggiare i prezzi dell’energia hanno introdotto anche il turno di notte in modo da non spegnere gli impianti. Siccome non c’erano abbastanza commesse da saturare tutti i giorni della settimana, restavano fermi il venerdì e i dipendenti hanno accettato di conteggiarlo come ferie andando così incontro alle difficoltà dell’azienda. In questo modo le bollette si sono stabilizzate. Ora con la diminuzione del prezzo del gas contano di tornare alla normalità e di avere utili da redistribuire alla fine dell’anno.

Dividere gli utili con i dipendenti

Certo, se si stringe la cinghia tutti insieme poi l’azienda deve essere disponibile a redistribuire di più quando le cose vanno bene. Per esempio, l’edilizia sta navigando a gonfie vele, grazie anche alla spinta dell’ecobonus. Alla Genesio Setten di Oderzo, in provincia di Treviso, avrebbero potuto semplicemente dare un bonus, come fanno in molti. Invece la società ha deciso di redistribuire ogni anno ai dipendenti il 20% degli utili ai 140 dipendenti. Il nuovo sistema partirà nel 2023 sulla base degli utili del 2022. Le valutazioni degli uffici tecnici vengono poi riviste insieme con i rappresentanti di operai e impiegati. In relazione al merito di ciascuno il premio può andare da un minimo di 100 euro fino a superare i mille. I parametri considerati sono quantitativi ma anche qualitativi: capacità di collaborare, correttezza, affidabilità.

L’Italia resiliente

Si potrebbe pensare che quelli elencati fino a qui siano casi eccezionali, che non rispecchiano lo stato di salute del nostro sistema produttivo. Ma non è così. I dati mostrano che l’Italia arriva all’appuntamento con il rischio recessione più preparata di molti altri Paesi. L’economista Marco Fortis della fondazione Edison lo ha evidenziato a più riprese: la nostra manifattura è diventata più produttiva di quella tedesca.

Il turismo, poi, quest’anno ha messo a segno risultati straordinari, soprattutto da luglio in poi, grazie a una stagione allungata dal bel tempo: il tasso di occupazione delle nostre strutture è superiore a quello di Francia, Spagna e Grecia. Solo per il ponte dei Santi Federalberghi stima un giro d’affari di oltre tre miliardi.

Ben diversa la situazione sul fronte della finanza pubblica: abbiamo ad oggi un debito tra i più alti d’Europa, pari al 150% del Pil. Vuol dire che non possiamo permetterci di aumentare la spesa pubblica. A preoccupare c’è l’inflazione, spinta dai prezzi del gas che ora si attestano intorno ai 100 euro al megawattora: ad agosto hanno toccato punte di 300 euro, ma sono ben lontani dai 20-30 euro del periodo pre-crisi. Inoltre il gas, alla fine, potrebbe non bastare e non si escludono scenari di razionamento. In questo quadro il governo si appresta a definire la legge di Bilancio. Dalle categorie produttive si moltiplicano le richieste di aiuto. Ma tra le fila di chi ha davvero bisogno si insinuano anche settori e imprese che potrebbero farcela da soli, come è già successo durante l’emergenza Covid quando sono state sostenute con aiuti pubblici anche farmaceutica e grande distribuzione. E anche oggi si prospetta il rimborso a tutte le imprese energivore a prescindere dalla solidità finanziaria.

Aiuti incrociando i dati

Scegliere con rigore le imprese da sostenere è cruciale. Per due motivi. Il primo: i mercati potrebbero prendere male la nuova spesa finanziata in deficit per elargire aiuti a pioggia a chi non ne ha bisogno (la recente esperienza del Regno Unito insegna). Il secondo: elargire aiuti pubblici per non far sentire troppo l’aumento dei prezzi dell’energia anche alle imprese che potrebbero farcela con le loro gambe non le spinge a fare davvero tutto il possibile per ridurre i consumi. Vale anche per le famiglie. In conclusione: per aiutare davvero e con equità chi non è in grado di affrontare la crisi è necessario assumersi la responsabilità di incrociare tutte le banche dati con le bollette di cui si chiede il ristoro.

7 novembre 2022 | 06:47

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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, 2022-11-07 07:26:00,

Sarà difficile schivare la recessione in arrivo sull’Europa, ma intanto l’Italia ha messo a segno risultati migliori degli altri Paesi del G7. Grazie all’iniezione di fiducia data ai mercati dall’autorevolezza dei 20 mesi di governo Draghi. E grazie alle tante piccole e medie imprese dove gli imprenditori stanno facendo il loro mestiere, che è quello di reagire alle crisi con le proprie forze inventandosi nuove strade e mobilitando gli utili accumulati nelle fasi di crescita. Lo dobbiamo soprattutto a loro se il Paese resta in piedi.

L’imprenditore che si prende i rischi

La Geiko Taiki-sha è un’azienda famigliare di Cinisello Balsamo, con 250 dipendenti, e produce per le case automobilistiche reparti completi per la verniciatura delle auto. Però da quando la Commissione europea ha annunciato che dal 2035 le auto diesel e a benzina non saranno più immatricolate, l’Europa da molti investitori è considerata troppo rischiosa. Ad aprile scorso il socio giapponese di Geiko (Taiki-sha appunto) decide di uscire dall’Europa. Per un accordo preso in precedenza, il proprietario A. Reza Arabnia avrebbe potuto vendergli la sua quota (il 51%). A quel punto però l’azienda avrebbe chiuso e mandato a casa i dipendenti. La decisione è stata quella di dare fondo alle risorse di famiglia per acquisire le azioni dei giapponesi (che poi sono rimasti soci al 14,5% per avere accesso alle tecnologie Geiko). In soldoni: circa 30 milioni di investimento in piena crisi e, per alleggerire i conti del gruppo, il presidente onorario ha rinunciato al suo compenso (400 mila euro lordi) per cinque anni. Parte di quei soldi (1000 euro netti) sono stati messi nella busta paga di tutti i dipendenti per affrontare il caro-prezzi.

Anche la Masmec di Bari, un’azienda familiare fondata 40 anni fa con un fatturato di 35 milioni di euro e 290 dipendenti, fino a qualche anno fa produceva solo macchine e linee automatiche per l’assemblaggio e il collaudo di componenti delle auto con motore endotermico. Questo filone del business oggi copre solo il 20% del fatturato. Per un altro 60% Masmec lavora per i produttori di auto elettriche, mentre per l’ultimo 20% è entrata nel settore degli apparecchi medicali. Il cambio delle linee produttive ha reso necessaria la creazione di una nuova sede con un investimento di 24 milioni. In parte hanno avuto accesso ai fondi europei, ma il grosso lo hanno messo di tasca loro e, per tenere il passo, ogni anno investono il 15-20% del fatturato in ricerca e sviluppo.

Cavalcare il cambiamento

Prendere rischi e fiutare i mutamenti prima degli altri, inventando nuovi prodotti e servizi: questo fanno gli imprenditori. L’azienda di Roberto Cimberio, la Cimberio spa sul lago D’Orta, ha quasi 100 anni di vita e di dipendenti ne ha 200. Produce valvole. In ottone, ma sempre valvole che di per sé non sono nulla di innovativo. Nel 2015 Cimberio ha deciso di farle dialogare con la tecnologia digitale. «Comandare» le valvole a distanza, e farlo tramite un algoritmo intelligente, vuole dire regolare i flussi di riscaldamento e raffreddamento. In questo modo si possono ridurre i consumi di energia di vecchi edifici, senza bisogno di ristrutturazioni. Siccome le competenze digitali sono indispensabili ha iniziato una stretta collaborazione con una start up, Enersem, incubata al Polihub di Milano Bovisa, con 15 ingegneri. All’inizio la società è partita con un finanziamento europeo da 1,7 milioni, poi la famiglia ne ha messi altri 8,3 di tasca propria. E poi sono arrivati i risultati con le prime commesse importanti. Il Consorzio Tutela Grana Padano utilizza il loro sistema di regolazione per mantenere una temperatura sempre costante nei magazzini adibiti alla stagionatura. E ora li stanno installando anche gli alberghi. «Le notti insonni sono ancora tante – dice Cimberio – ma il traguardo si avvicina, ed è quello di portare questa tecnologia dentro le case».

L’azienda-comunità

Chi ha le spalle meno larghe ha bisogno anche dell’aiuto dei dipendenti per rispondere alla crisi. Soprattutto nelle attività energivore, dove spesso vanno riorganizzati i turni per concentrare la produzione sfruttando al massimo gli impianti. Alla Argo di Baranzate, alle porte di Milano, si producono guarnizioni in gomma. I 50 dipendenti hanno sempre lavorato su due turni, ma da settembre per fronteggiare i prezzi dell’energia hanno introdotto anche il turno di notte in modo da non spegnere gli impianti. Siccome non c’erano abbastanza commesse da saturare tutti i giorni della settimana, restavano fermi il venerdì e i dipendenti hanno accettato di conteggiarlo come ferie andando così incontro alle difficoltà dell’azienda. In questo modo le bollette si sono stabilizzate. Ora con la diminuzione del prezzo del gas contano di tornare alla normalità e di avere utili da redistribuire alla fine dell’anno.

Dividere gli utili con i dipendenti

Certo, se si stringe la cinghia tutti insieme poi l’azienda deve essere disponibile a redistribuire di più quando le cose vanno bene. Per esempio, l’edilizia sta navigando a gonfie vele, grazie anche alla spinta dell’ecobonus. Alla Genesio Setten di Oderzo, in provincia di Treviso, avrebbero potuto semplicemente dare un bonus, come fanno in molti. Invece la società ha deciso di redistribuire ogni anno ai dipendenti il 20% degli utili ai 140 dipendenti. Il nuovo sistema partirà nel 2023 sulla base degli utili del 2022. Le valutazioni degli uffici tecnici vengono poi riviste insieme con i rappresentanti di operai e impiegati. In relazione al merito di ciascuno il premio può andare da un minimo di 100 euro fino a superare i mille. I parametri considerati sono quantitativi ma anche qualitativi: capacità di collaborare, correttezza, affidabilità.

L’Italia resiliente

Si potrebbe pensare che quelli elencati fino a qui siano casi eccezionali, che non rispecchiano lo stato di salute del nostro sistema produttivo. Ma non è così. I dati mostrano che l’Italia arriva all’appuntamento con il rischio recessione più preparata di molti altri Paesi. L’economista Marco Fortis della fondazione Edison lo ha evidenziato a più riprese: la nostra manifattura è diventata più produttiva di quella tedesca.

Il turismo, poi, quest’anno ha messo a segno risultati straordinari, soprattutto da luglio in poi, grazie a una stagione allungata dal bel tempo: il tasso di occupazione delle nostre strutture è superiore a quello di Francia, Spagna e Grecia. Solo per il ponte dei Santi Federalberghi stima un giro d’affari di oltre tre miliardi.

Ben diversa la situazione sul fronte della finanza pubblica: abbiamo ad oggi un debito tra i più alti d’Europa, pari al 150% del Pil. Vuol dire che non possiamo permetterci di aumentare la spesa pubblica. A preoccupare c’è l’inflazione, spinta dai prezzi del gas che ora si attestano intorno ai 100 euro al megawattora: ad agosto hanno toccato punte di 300 euro, ma sono ben lontani dai 20-30 euro del periodo pre-crisi. Inoltre il gas, alla fine, potrebbe non bastare e non si escludono scenari di razionamento. In questo quadro il governo si appresta a definire la legge di Bilancio. Dalle categorie produttive si moltiplicano le richieste di aiuto. Ma tra le fila di chi ha davvero bisogno si insinuano anche settori e imprese che potrebbero farcela da soli, come è già successo durante l’emergenza Covid quando sono state sostenute con aiuti pubblici anche farmaceutica e grande distribuzione. E anche oggi si prospetta il rimborso a tutte le imprese energivore a prescindere dalla solidità finanziaria.

Aiuti incrociando i dati

Scegliere con rigore le imprese da sostenere è cruciale. Per due motivi. Il primo: i mercati potrebbero prendere male la nuova spesa finanziata in deficit per elargire aiuti a pioggia a chi non ne ha bisogno (la recente esperienza del Regno Unito insegna). Il secondo: elargire aiuti pubblici per non far sentire troppo l’aumento dei prezzi dell’energia anche alle imprese che potrebbero farcela con le loro gambe non le spinge a fare davvero tutto il possibile per ridurre i consumi. Vale anche per le famiglie. In conclusione: per aiutare davvero e con equità chi non è in grado di affrontare la crisi è necessario assumersi la responsabilità di incrociare tutte le banche dati con le bollette di cui si chiede il ristoro.

7 novembre 2022 | 06:47

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