di Marco Bonarrigo
La psichiatra e psicoterapeuta che segue tanti atleti fra i quali Sofia Goggia: «Servono specialisti esterni per combattere l’ignoranza della cultura emotiva dello sport»
Bisognerà aspettare il 17 novembre perché i procuratori della Federazione ginnastica interroghino (dopo aver sentito tutte le atlete della ritmica che hanno denunciato abusi) Emanuela Maccarani, direttrice commissariata dell’Accademia di Desio e ct azzurra, e le altre coach federali. La Fgi ha completato intanto il suo Safeguarding Office: nel board due avvocati (Pierluigi Matera e Marco Naddeo) e uno psicologo (Mauro Gatti) già collaboratori federali a vario titolo e due ex atlete, Silvia Salis e Novella Calligaris. Vista la specificità delle denunce, chi si aspettava dei medici, magari esterni al cerchio della federazione, è rimasto sorpreso. Non Romana Caruso, psichiatra e psicoterapeuta che si occupa di tanti atleti tra cui l’olimpionica dello sci Sofia Goggia.
Perché non è sorpresa, dottoressa Caruso?
«Perché chi detiene il potere nello sport italiano, come in tutte le strutture chiuse, teme il confronto con competenze complesse e privilegia chi ritiene alleato».
Che competenze servirebbero?
«Quelle di chi analizzi con professionalità clinica gli sconvolgenti racconti delle Farfalle, vittime di pressioni enormi sul tema del cibo e del peso, oggi espressione prevalente del disagio emotivo tra i giovani».
Si riferisce alla «pesatura pubblica» raccontata dalle ragazze?
«Un rito criminale: in un momento cruciale in cui il tuo corpo cambia per diventare adulto, la vita non può passare attraverso l’ago della bilancia e i commenti grossolani di un’allenatrice».
La ginnastica è disciplina severa, il peso è importante, ribattono i tecnici.
«Gli eventuali problemi vanno trattati con enorme empatia perché è facile far sconfinare delle preadolescenti nella patologia: vomito, abuso di lassativi, bulimia, amenorree che ti porti dietro tutta vita».
Nelle federazioni abbondano gli psicologi dello sport. Non bastano?
«Loro si occupano quasi sempre della performance. Ma quando gestisci una ginnasta che ha una routine severissima devi avere una grossa esperienza clinica per non prendere abbagli pericolosi».
Atlete ragazzine allenate da ex atlete che sconfinano in campi medici come la dietologia. Non è pericoloso?
«Sì. Ma non solo per il rischio, che pure esiste, di imporre alle allieve ciò che hai subito da adolescente, per una sorta di vendetta. Ma perché anche la mamma più amorevole del mondo, quando dice “non vorrei mai fare a mia figlia quello che mi ha fatto mia madre”, rischia inconsciamente di imporre lo stesso vissuto, che lei non ha elaborato».
Come se ne viene fuori?
«Combattendo l’ignoranza della cultura emotiva del nostro sport. Aiutando psicologicamente le allenatrici e integrando il loro operato con equipe multidisciplinari. Per mediare tra ragazzine, istruttori e genitori con pretese devastanti servono figure mediche (psichiatri e fisiologi) con esperienza clinica anche non sportiva, senza collusioni sia pure involontarie col potere. La regola base è semplice».
Quale?
«Nello sport agonistico solo chi sta bene mentalmente ottiene buoni risultati. Il disagio crea disastri. L’idea che la mancanza del ciclo mestruale, ad esempio, debba essere quasi fisiologica in una ginnasta di alto livello è una bestialità».
9 novembre 2022 (modifica il 9 novembre 2022 | 07:50)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, 2022-11-09 07:25:00, La psichiatra e psicoterapeuta che segue tanti atleti fra i quali Sofia Goggia: «Servono specialisti esterni per combattere l’ignoranza della cultura emotiva dello sport», Marco Bonarrigo