Non una parola che usiamo tutti i giorni per una di quelle che riemergono periodicamente nel linguaggio giornalistico e nelle nostre arrabbiature. Le accise sono la tassa che uno stato che impone su un determinato prodotto, una percentuale che va ad aggiungersi al costo commerciale e va a formare il prezzo finale che il consumatore paga.
Invisibile ma pesante. Insomma, una tassa che non ha una visibilit particolare ma pesa, eccome, sulle nostre tasche. La storia di questa parola comprende numerosi capitomboli che divertente riepilogare. Il primo il suo arrivo abbastanza tardivo nella lingua italiana, il dizionario di Tullio De Mauro la attesta intorno al 1678, e attraverso il francese accise. Ma innegabile l’origine latina e in particolare dal verbo accidere, tagliare.
Per tutti, su tutto. Quindi se la vogliamo trattare sbrigativamente l’accisa un taglio che taglia i nostri soldi. E lo fa infischiandosene di quanti ne abbiamo, infatti una imposta indiretta che viene applicata sul prodotto indipendentemente da chi lo acquista: un milionario e un disoccupato, quando vanno a fare benzina, pagano esattamente nello stesso modo e se acquistano la stessa quantit di benzina, pagano esattamente la stessa imposta. Diverso il caso delle imposte che definiamo dirette e che invece vengono calcolate in base al reddito del contribuente con una percentuale che in base alla Costituzione (articolo 53) deve essere progressiva. Chi pi ha dovrebbe pagare di pi, almeno secondo i costituenti.
La mamma latina con molti figli. Abbiamo visto che l’origine latina delle accise proviene dal verbo accidere, composto dal prefisso ad (verso) e dal verbo caedere (tagliare, uccidere, colpire). Ed proprio quest’ultimo verbo che dilaga nella nostra lingua in una infinit di significati taglienti: da uccidere a recidere, da decidere (anche per scegliere bisogna sempre tagliare qualcosa) a incidere e perfino coincidere (avere un taglio simile).
Un’imposta, tanti prodotti e mille motivi. Le accise sono una tassa, ormai l’abbiamo visto. Ma hanno una caratteristica che le rende diverse dalle tasse generali che paghiamo sul nostro reddito. Quelle servono a garantire il funzionamento dello Stato e in particolare i servizi che questo offre ai cittadini. Per intenderci le tasse servono a pagare la sanit che nel nostro paese gratuita e garantita a tutti i cittadini, cosa che non cos comune nel mondo. Le accise invece sono poste sulla vendita di prodotti di consumo in qualche caso perfino per scoraggiarne o quantomeno renderne pi costoso l’acquisto. il caso delle accise sulle bevande alcoliche o sui tabacchi. In altri casi le accise rispondono all’esigenza dello Stato di racimolare rapidamente fondi per fare fronte a situazioni di emergenza o spese inaspettate. Si possono definire imposte motivate per cui, almeno nel momento in cui vengono adottate, si conosce perfettamente a cosa sono destinate.
Ha cominciato Mussolini per una guerra. La prima di queste imposte sulla benzina stata imposta dal fascismo nel 1935 ed servita per finanziare la guerra di Etiopia per lire 1,90; poi c’ stata quella di 14 lire per la crisi di Suez nel 1956; 10 lire per il disastro del Vajont nel 1963; ancora 10 lire per far fronte all’ alluvione di Firenze nel 1966 e sempre 10 lire per il terremoto nel Belice nel 1968, per proseguire con le 99 lire per il terremoto del Friuli nel 1976 e via via con le 75 lire per il terremoto in Irpinia nel 1980, le 205 lire per la missione in Libano nel 1982 e le 22 lire per la missione in Bosnia nel 1996. Ma troviamo un’imposta anche nel 2004 per trovare i fondi necessari al rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri, circa 0,02 euro, una per acquistare autobus ecologici (0,005 euro nel 2005), la ricostruzione dopo il terremoto dell’Aquila (0,0051 euro nel 2009) e del terremoto in Emilia (0,0024 euro nel 2012) e l’alluvione in Toscana e Liguria (0,0089 euro nel 2011), e non sono mancate accise per finanziare la cultura (2011), per il decreto Salva Italia (2011) e il decreto Fare (2014), un Bonus gestori (2014) e perfino un intervento per la crisi migratoria libica (2011).
Facciamo due conti. Il legislatore si reso conto che era impossibile mantenere questo spezzatino e nel 1995 le accise sui carburanti sono state inglobate in un’unica imposta indifferenziata che nel 2021 ha finanziato il bilancio statale con quasi 24 miliardi di euro. Il risultato, oggi, che paghiamo (tra accise e Iva) pi di 1 euro di tasse per ogni litro di carburante acquistato.
Quindi per capirci. Quando si invoca un taglio delle accise (promessa che quasi tutte le forze politiche, in un momento o in un altro, hanno fatto), stanno proponendo un taglio di un taglio. Ma soprattutto non parlano di come recuperare nel bilancio dello Stato i soldi che verrebbero a mancare (24 miliardi di euro non sono proprio spiccioli). Resta per quello che , una imposta, che proprio quello che leggiamo, il participio passato del verbo imporre. Se quando l’hanno adottata avessero voluto lasciare aperta la discussione avrebbero usato un condizionale, io imporrei, noi imporremmo. Invece queste accise ce le siamo ritrovate proprio imposte.
17 gennaio 2023 (modifica il 17 gennaio 2023 | 23:55)
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