Aiutare una collega a falsificare una presenza ha delle conseguenze? Ecco cosa dicono i giudici

Aiutare una collega a falsificare una presenza ha delle conseguenze? Ecco cosa dicono i giudici

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Con sentenza la Corte d’appello ha confermato il pronunciamento del Tribunale che aveva respinto il ricorso di un  personale ATA, avente ad oggetto il licenziamento disciplinare a quest’ultimo intimato. Il provvedimento disciplinare era stato adottato ai sensi dell’art. 55-quater, D. Lgs. 165/2001, e motivato con il fatto  che la ricorrente in alcuni giorni specifici aveva aiutato una collega ad attestare falsamente la propria presenza in ufficio, strisciando il badge di quest’ultima al suo posto. Si pronuncia la Cassazione Civile con Sent. Num. 5194/2023

La questione

In primo luogo, si legge, che la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza di indizi quale il fatto che la ricorrente avesse la disponibilità del badge della collega; in secondo luogo, sarebbe emerso che la condotta, in ogni caso, si poneva in contrasto con i doveri stabiliti in primo luogo dall’art. 92, lett. g), del CCNL del comparto scuola 2006-2009. La Corte territoriale ha escluso il carattere occasionale della condotta, rammentando che la contestazione disciplinare era scaturita da accertamenti eseguiti a seguito di denunce presentate da altri impiegati amministrativi dello stesso plesso scolastico e che in tali denunce venivano segnalati ulteriori episodi di timbratura non regolare da parte della ricorrente, concludendo, quindi, che le condotte specificamente contestate erano da ritenersi naturale continuazione di un comportamento iniziato mesi prima; ha, quindi, negato valenza decisiva sia alla sentenza penale di assoluzione della ricorrente, osservando che la stessa era stata pronunciata senza tenere conto delle denunce e della documentazione versata invece nel giudizio civile, sia alla sentenza della Corte dei Conti che aveva ridimensionato la condanna per danno erariale, osservando che la decisione si era fondata anche sulle condizioni di salute della stessa lavoratrice, cui era stata diagnosticata una grave malattia.

Legittimo il licenziamento di chi attesta falsamente la presenza in servizio, anche se si viene assolti in sede penale

La Cassazione nella sua sentenza qui in commento ricorda di aver più volte affermato il principio per cui, nel pubblico impiego privatizzato, l’art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2009, ha introdotto la regola generale dell’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell’accertamento, restando la P.A. libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente (Cass. Sez. L – Sentenza n. 33979 del 17/11/2022 – Rv. 666026 – 01; Cass. Sez. L – Sentenza n. 8410 del 05/04/2018 – Rv. 647660 – 01).

Correttamente, conclude la Cassazione, quindi, la Corte territoriale ha escluso valenza vincolante all’assoluzione dell’odierna ricorrente  ed ha operato, come già aveva fatto l’Amministrazione, un’autonoma valutazione dei fatti, giustificata, peraltro, dal fatto che la decisione della Corte territoriale si è venuta a fondare su un corredo probatorio più ampio rispetto a quello che era stato rimesso al giudice penale.

Dunque anche se emerge l’assoluzione in sede penale non vi è alcun automatismo nel procedimento disciplinare, stante l’autonomia di quest’ultimo rispetto a quello penale, essendo rimessa alla discrezionalità della P.A valutare le condotte e se queste abbiano o meno compromesso il vincolo fiduciario e violato codici di condotta e determinate regole comportamentali, come sembra essere accaduto nel caso in commento.

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