di Viviana Mazza L’ufficiale che lavorò all’ambasciata Usa a Mosca e testimone chiave dell’impeachment di Trump crede che l’invasione sia stata incoraggiata «dalla sua corruzione e dagli elogi rivolti a Putin». Biden? «I suoi consiglieri sbagliano a Kiev come a Kabul» Il tenente colonnello Alexander Vindman capì prestando servizio all’ambasciata Usa di Mosca tra il 2012 e il 2015 che lo scontro con Putin era solo questione di tempo: il leader russo era incoraggiato dalla percezione di debolezza americana, che si accentuò enormemente con Trump. «I preparativi per la guerra in Ucraina iniziarono pochi giorni dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021». Nato 46 anni fa in Ucraina, giunto in America come rifugiato a 4 (ricorda con affetto il passaggio da Roma), Vindman era il direttore degli Affari europei nel Consiglio di sicurezza nazionale di Trump: assistette alla telefonata del 2019 in cui l’allora presidente americano chiese a Zelensky di investigare su Joe Biden e fu un testimone chiave nell’impeachment . Ora è tra gli esperti che chiedono a Biden aiuti militari decisivi per Kiev. «Denunciai quella telefonata perché temevo che si stessero scatenando le condizioni per la guerra. È scoppiata per via della corruzione della presidenza Trump, dell’impeachment, dei suoi elogi a Putin». Perché l’impeachment? «È stato un altro segnale a Putin che l’Ucraina non godeva di appoggio bipartisan e l’establishment repubblicano non l’avrebbe difesa. A volte mi chiedo: e se fossi stato zitto? Probabilmente Trump avrebbe ottenuto l’indagine su Biden, il quale avrebbe corso nelle elezioni con una macchia che forse avrebbe permesso a Trump di vincere: sarebbe al secondo mandato, continuerebbe a minare la democrazia Usa, avrebbe probabilmente posto fine all’alleanza con la Nato e dato il benvenuto all’aggressione russa in Ucraina. Sarebbe peggio». Lei propone un programma Lend-Lease (Affitto e prestito) come durante la Seconda guerra mondiale, per fornire subito a Kiev grandi quantità di aiuti bellici, inclusi aerei dai Paesi vicini. Ha trovato consensi? «C’è un consenso crescente tra la popolazione per l’invio di armi e ho incontrato decine di deputati e senatori, la maggior parte del Congresso è favorevole, ma con l’avvicinarsi delle elezioni di midtem sono riluttanti a criticare l’Amministrazione. Da sostenitore di Biden io credo sia meglio criticare in modo costruttivo per cambiare traiettoria: un fallimento ora avrebbe un impatto catastrofico sulle elezioni. Stiamo andando nella direzione giusta: dall’iniziale offerta simbolica di droni kamikaze siamo passati a blindati, tank… ma temo che avvenga troppo lentamente rispetto al campo di battaglia: le prossime 4 settimane sono critiche. Se Putin si assicura l’Est e Mariupol, la guerra non finirà lì: continuerà a spingere verso Ovest. L’unico modo in cui può finire è se nelle prossime 4-5 settimane la Russia viene sconfitta sistematicamente, battaglia dopo battaglia. A quel punto può diventare un conflitto congelato o più ridotto, non questa guerra ampia e catastrofica. Finora Usa e Nato sono rimasti ai margini. Il problema è che anche gli ucraini hanno subito perdite. Non illudiamoci che bastino Javelin, Stinger e difese antiaeree. L’inazione di Usa e Nato crea le condizioni per il protrarsi della guerra». Ma Putin usa la minaccia nucleare. «I politici sulle due sponde dell’Atlantico credono che il rischio sia uno scontro diretto con la Russia ma il vero rischio è di una lunga guerra. Nella storia del XX° secolo sono le lunghe guerre che alla fine coinvolgono l’America e ampie parti dell’Europa». Si arriverà a inviare i jet? «Sono una patata bollente, la questione è stata politicizzata. L’Amministrazione era così contraria che sembrerebbe una marcia indietro…». I consiglieri di Biden lo stanno orientando male? «Esatto. I vertici del Consiglio di sicurezza nazionale, le stesse persone che hanno gestito male l’Afghanistan, ora non si stanno rivelando all’altezza di evitare che la guerra fredda diventi guerra calda». C’è chi crede che Kiev debba fare alcune concessioni. «Anche alla Casa Bianca ci sono persone che accetterebbero che Mosca prendesse zone più ampie dell’Ucraina a Sud-Est e indebolirebbero Kiev abbastanza da spingerla a negoziare. Pensano che Putin si fermerà, ma non è così: prolungherà solo la guerra». La Casa Bianca ascolta anche opinioni diverse? «Sì, le hanno espresse esperti consultati regolarmente, e io stesso, anche se non li abbiamo convinti. Alla Casa Bianca e nei dipartimenti questo dibattito continua». Prima ancora di parlare di genocidio, Biden aveva detto «Putin se ne deve andare». «Penso che il presidente sia avanti rispetto al suo staff e che abbiano sbagliato a fare marcia indietro. Il problema è che molti di loro sono con il presidente da tanto, sono considerati fedelissimi e lui è leale verso di loro, ma è la ricetta per un disastro, se non sono pronti a consigliarlo in modo critico quando serve, anziché cercare di proteggerlo finendo col danneggiarlo». Nel 2024 Trump vincerà? «La sua forza è esaurita, può essere il candidato repubblicano ma non vincerà. Temo una sua versione più intelligente: Ron DeSantis, Josh Hawley, Tom Cotton…». Ma lascerebbero la Nato? «Sarà diverso. Trump non capisce la Nato e la sua importanza, loro sono più sofisticati. Ma anche populisti, quindi dipende da quel che promettono in campagna elettorale. Forse quel rischio è minore, ma il rischio per la democrazia americana è maggiore». 13 aprile 2022 (modifica il 13 aprile 2022 | 23:36) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-04-13 21:37:00, L’ufficiale che lavorò all’ambasciata Usa a Mosca e testimone chiave dell’impeachment di Trump crede che l’invasione sia stata incoraggiata «dalla sua corruzione e dagli elogi rivolti a Putin». Biden? «I suoi consiglieri sbagliano a Kiev come a Kabul», Viviana Mazza