Quando il docente inveisce, offende, umilia e insulta gli alunni: è reato di maltrattamenti
Sul portale laleggepertutti.it viene commentata un’interessante sentenza della III Sezione Penale della Suprema Corte.
La pronuncia merita di essere commentata per comprendere fin dove si può spingere il potere punitivo e coercitivo di un docente su cui – è bene comunque ricordarlo – grava la responsabilità della sicurezza dei ragazzi e della loro educazione.
Nel caso di specie, la Corte ha decretato due anni e dieci mesi di reclusione nei confronti di una donna che, nel corso di due anni scolastici, aveva fatto ricorso non solo alle punizioni corporali su alcuni alunni, ma aveva anche vessato psicologicamente l’intera classe. Immediata la condanna per i reati di violenza privata e maltrattamenti.
Ma cosa si intende con violenza psicologica a scuola da parte di un professore? Bisognerebbe leggere gli atti del procedimento penale per comprendere quali sono state le azioni poste in essere dalla persona condannata. Tuttavia, è possibile farsi un’idea leggendo la pronuncia della Suprema Corte (riportata nel box qui sotto per esteso). Se è facile identificare cosa possa essere una violenza fisica, non altrettanto facile è quando si parla di violenza psicologica, essendo questa influenzata anche dalla sensibilità dell’alunno.
Si tratta, in generale, di comportamenti che generano sofferenze. Ai fini del reato di maltrattamenti – ammonisce la Corte – non bisogna tenere in considerazione soltanto le condotte espressive di violenza fisica nei confronti degli alunni, ma assume rilevanza ogni comportamento prevaricatore e vessatorio, quali possono anche essere ad esempio:
- la grave ingiuria: offese, parolacce, espressioni volgari;
- l’umiliazione dinanzi agli altri compagni di classe o al corpo docente;
- la minaccia;
- le manifestazioni d’irosa aggressività verbale.
E merita di essere tenuta in conto anche la cosiddetta ‘violenza assistita’, «la cui incidenza ai fini dell’instaurazione di un diffuso e persistente clima di prevaricazione e di conseguenti sofferenza, prostrazione, malessere nei destinatari delle condotte è particolarmente rilevante, laddove questi ultimi siano dei bambini in età prescolare e sussista, perciò, un’evidente ed enorme asimmetria relazionale» rispetto alla figura dell’insegnante.
Nel momento in cui tali comportamenti generano malesseri psico-fisici nei bambini significa che hanno superato la soglia di quella tollerabilità che si consente a un prof per impartire l’educazione che fa parte del suo compito e che si vale anche del richiamo verbale.
Nel caso di specie deciso dai giudici supremi, a pesare di più è stato il fatto che il contegno del docente era stato reiterato e non occasionale.
Per quanto concerne poi l’obiezione difensiva centrata sul fatto che le condotte in discussione «avrebbero riguardato soltanto alcuni bambini e non la generalità della classe», i magistrati tengono a rilevare innanzitutto che «la norma incriminatrice, pur quando si tratti di condotte poste in essere nei confronti non di familiare ma di persona affidata all’agente per ragioni di educazione od istruzione, non richiede necessariamente la pluralità dei soggetti passivi».
A rendere ancora meno difendibile la posizione della maestra è, infine, la constatazione delle «specifiche e non episodiche manifestazioni di disagio psicologico in alcuni dei bambini, connesse ai comportamenti tenuti nei loro confronti dalla maestra e sufficientemente dimostrative dell’avvenuta instaurazione di un clima di perdurante vessazione e correlata afflizione» che «certamente ha riguardato alcuni bambini» ma in sostanza ha coinvolto l’intera classe.
Respinta, quindi, la visione difensiva secondo cui sarebbe stato più logico sanzionare la maestra per semplice «abuso dei mezzi di correzione o di disciplina».
Per i giudici della Cassazione «se si volesse seguire il ragionamento della difesa, dovrebbe ritenersi che condotte a componente violenta, fisica o psicologica, quantunque minima, rientrerebbero tra i mezzi di correzione o di disciplina consentiti, e che, soltanto qualora sia superato il tetto di aggressività permesso, la condotta» sarebbe punibile a livello penale. Ma questa impostazione è sbagliata poiché, tengono a sottolineare i magistrati, «nessuna forma di violenza può farsi rientrare tra i mezzi correttivi legittimi». Pertanto «non è possibile sostenere che l’impiego di violenza – fisica e psicologica –, seppur in forma blanda, sia annoverabile tra gli strumenti educativi o correttivi di cui l’insegnante od altre figure analoghe possano legittimamente avvalersi, incorrendo essi nella sanzione penale soltanto laddove ne facciano abuso».