Alzheimer, Parkinson, demenza: l’aiuto alla ricerca arriva dal mare

Alzheimer, Parkinson, demenza: l’aiuto alla ricerca arriva dal mare

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di Paola D’Amico

In un piccolo invertebrato che vive in colonie, il meccanismo di invecchiamento del cervello è molto simile a quello umano. La scoperta di un team di ricercatori delle Università di Padova, Stanford e San Francisco

C’è un organismo vivente, il botrillo, che vive in colonie nel mare e sta destando molto interesse nella comunità scientifica. Infatti, i meccanismi di degenerazione delle cellule cerebrali risultano essere molto simili a quelli umani. Con l’avanzare dell’età nel Botryllus schlosseri, questo il suo nome scientifico, si osserva una riduzione del numero di neuroni e delle abilità comportamentali. Proprio come nell’uomo. Ma c’è di più: il cervello di questo che è un invertebrato marino molto comune nei nostri mari (gli invertebrati sono i parenti più stretti dei vertebrati) manifesta geni la cui espressione caratterizza malattie neurodegenerative umane quali l’Alzheimer e il Parkinson. A raccontarci tutto questo è uno studio appena pubblicato sulla rivista internazionale Pnas, condotto da un pool internazionale di ricercatori delle Università di Stanford, Padova e Cham Zuckerberg Biohub di San Francisco.

Le caratteristiche dell’invertebrato

Il Botrillo e le specie affini, chiamate dagli zoologi con il termine collettivo di «ascidie», condividono un antenato comune, vissuto probabilmente intorno ai 500 milioni di anni fa, con i vertebrati. Il botrillo vive in piccole colonie in cui gli individui adulti si dispongono come i petali di un fiore. Nella colonia, che può essere formata anche da centinaia di fiori, ciascun individuo adulto presenta ai lati del corpo uno o più piccoli individui in crescita (le sue gemme), derivate per riproduzione asessuata. Gli adulti vengono settimanalmente riassorbiti e sostituiti dalle loro gemme nel frattempo maturate. Un processo di sostituzione ciclico e, poiché ogni «genitore» produce più di una gemma, la colonia cresce di dimensioni in maniera veloce e continua. Tuttavia, se gli adulti hanno vita breve e sono continuamente sostituiti da nuovi individui, la colonia non vive in eterno: nella Laguna veneta muoiono tipicamente dopo 1-2 anni, mentre in laboratorio si possono mantenere in vita anche per periodi molto più lunghi.

La degenerazione dei neuroni

Questi animali semplici, i botrilli, presentano una degenerazione del cervello simile a quella umana. Perciò capire quali siano i processi che portano al decadimento del loro sistema nervoso, anche da un punto di vista evolutivo, può esser d’aiuto nel comprendere neuropatologie, spesso invalidanti, che coinvolgono un numero crescente di persone. Il botrillo ci offre la straordinaria possibilità di studiare la degenerazione del cervello sia nel breve periodo, ovvero nel processo ciclico (settimanale) di riassorbimento degli individui adulti che comporta di fatto un loro rapido invecchiamento, sia nel lungo periodo, ovvero nel processo di invecchiamento dell’intera colonia, che vede nel tempo diminuire la sua capacità di produrre nuovi individui ed espandersi. La ricerca – coordinata da Chiara Anselmi, dottorata all’Ateneo patavino e ora post-doc all’Università di Stanford, Lucia Manni del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, Ayelet Voskoboynik e Irv Weissman dell’Università di Stanford – ha utilizzato colonie prelevate nella Laguna Veneta e allevate alla Stazione Idrobiologica di Chioggia e al Dipartimento di Biologia dell’Ateneo patavino oltre a quelle prese dalla Hopkins Marine Station, nella baia di Monterey in California. Dalle analisi fatte emerge che la degenerazione del cervello del botrillo ha fortissime analogie con il decadimento del cervello umano: sia nella neurodegenerazione breve (settimanale) che in quella lunga (relativo all’invecchiamento della colonia). In entrambi i processi, nell’animale si osserva una riduzione del numero di neuroni e una diminuzione delle abilità comportamentali.

Le malattie di Parkinson, Hungtington, Alzheimer e demenza

«È stato davvero sorprendente per noi vedere che nella degenerazione breve degli individui adulti il cervello cominciava a diminuire di volume qualche giorno prima del loro riassorbimento completo ovvero della loro morte. Dopo tre giorni di vita – dice Lucia Manni – il numero di neuroni nel cervello cominciava a diminuire, così come la loro capacità di rispondere a stimoli come il tocco della loro bocca, il sifone, attraverso cui l’acqua entra per la nutrizione e la respirazione. Questi stessi segni di invecchiamento erano poi presenti anche in individui di colonie neoformate rispetto a quelli presenti in colonie di soli 6 mesi. Eravamo quindi in presenza di due processi di neurodegenerazione la cui presenza non era mai stata sospettata, uno veloce e uno lento, nello stesso organismo». Ma ciò che è ancor più interessante è che durante entrambi i processi degenerativi il cervello dell’animale manifesta geni la cui espressione caratterizza malattie neurodegenerative umane come l’Alzheimer e il Parkinson. «Ancor più incredibile è stato poi verificare che entrambi i processi di neurodegenerazione erano associati all’aumento di espressione di geni che caratterizzano le malattie neurodegenerative nell’uomo come l’Alzheimer, il Parkinson, la malattia di Huntington, la demenza frontotemporale e altre ancora – sottolinea Chiara Anselmi dell’Università di Stanford –. Molti di questi geni erano espressi in entrambi i processi neurodegenerativi, mentre una piccola parte li differenziava».

Il botrillo e l’immortalità

Ed è questo a dirci che il piccolo invertebrato può rappresentare una risorsa per comprendere come l’evoluzione abbia forgiato i processi neurodegenerativi e quali siano le relazioni tra invecchiamento e perdita della funzionalità neuronale». «Approfondire ora lo studio dell’invecchiamento e della neurodegenerazione in questo animale ci porterà a capire come il botrillo riesca a controllare e coordinare la neurodegenerazione ciclica rispetto a quella associata all’invecchiamento – concludono gli autori –. Questo potrebbe svelarci qualcosa di inaspettato rispetto alla nostra possibilità di governare i processi neurodegenerativi nell’uomo». Scriveva Loriano Ballarin, docente di Biologia animale alla Università degli Studi di Padova, in un articolo del 2012 intitolato «Il botrillo e l’immortalità»: «È sorprendente notare come organismi semplici, apparentemente insignificanti e privi di una qualsiasi utilità pratica per l’uomo, come il Botrillo, possano risultare utili non solo per meglio comprendere le nostre radici evolutive ma siano in grado anche e suggerire linee di ricerca impensate e quanto mai attuali relative a problemi di somma importanza in campo biomedico».

Qualche numero

Infine qualche numero: in Italia si stima che più di 1 milione di persone abbiano una forma di demenza di Alzheimer che colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni. L’inizio in genere è subdolo: le persone cominciano a dimenticare alcune cose, per arrivare al punto in cui non riescono più a riconoscere nemmeno i familiari e hanno bisogno di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici. Quanto al morbo di Parkinson colpisce circa il 3 per mille della popolazione generale e circa 1% di quella sopra i 65 anni. Si calcola che in Italia ci siano circa 400 mila persone colpite, e a differenza di quanto si crede comunemente la malattia non è legata all’età avanzata.

13 luglio 2022 (modifica il 14 luglio 2022 | 14:41)

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, 2022-07-14 12:42:00, In un piccolo invertebrato che vive in colonie, il meccanismo di invecchiamento del cervello è molto simile a quello umano. La scoperta di un team di ricercatori delle Università di Padova, Stanford e San Francisco, Paola D’Amico

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