di Luca Caglio
La bellezza, il lusso di un grande scrittore accessibile a tutti, uomo distinto e d’istinto, autore de «Il senso della frase» che ne definisce la cifra stilistica. Mirella Marabese (91 anni): «Tra me e Andrea c’era un rapporto simbiotico, d’amore»
Allo scorso Ambrogino è stato insignito della Medaglia d’oro alla memoria. Gli fosse stata consegnata in vita, l’onorificenza per i cittadini milanesi più illustri, Andrea G. Pinketts sarebbe salito sul palco del teatro Dal Verme improvvisando un discorso lucido e geniale. Perché «G. sta per Genio». Svelando magari di avere scritto molte pagine dei suoi romanzi al bar, tra fumo di sigaro e fiumi di birra, ispirato dalla varia umanità che si confessa al bancone. Poi sarebbe tornato a «Le Trottoir alla Darsena», il locale-studio con sala dedicata, per un giro di brindisi in vista dell’ennesima notte tra artisti, avventori, amici e ammiratrici. Rincasando all’alba a bordo di un taxi. Come Lazzaro Santandrea, l’alter ego letterario fedele al suo stile di vita. Il personaggio con cui ha attraversato e raccontato Milano.
La bellezza, il lusso di un grande scrittore accessibile a tutti, uomo distinto e d’istinto, autore de Il senso della frase che ne definisce la cifra stilistica, capace infine di lavorare al suo ultimo libro (E dopo tanta notte strizzami le occhiaie) da una stanza dell’ospedale Niguarda dove il 20 dicembre 2018 è morto per un carcinoma alla gola.
Nella Milano d’agosto che si svuota per le ferie, il vuoto umano lasciato da Pinketts somiglia a quello di un’opera d’arte trafugata, ma attenuato da una bibliografia noir sempre visitabile: l’omonima associazione culturale ne sta curando l’archivio e la ripubblicazione delle opere con l’aggiunta di contenuti speciali, inediti, grazie allo scrittore Andrea Carlo Cappi ed Elisabetta Friggi, da sempre «il braccio tecnologico» dell’autore. A presiederla c’è la madre di Pinketts, Mirella Marabese (91 anni), che del figlio continua a parlare al presente e che sulla lapide ha fatto scrivere «Senza tempo». Il 12 agosto, il Genio compie 62 anni.
Celebrando l’anniversario della nascita di suo figlio, signora Mirella, lei scrive che il tempo non è un grande medico.
«Il dolore resta immenso. Tra me e Andrea c’era un rapporto simbiotico, d’amore. Mi telefonava più volte al giorno, abitavamo a cento metri di distanza, veniva sempre a mangiare da me. Essergli stata madre, un privilegio. Non gli ho mai detto addio, e viceversa: una forma di rispetto per ripararci dalla sofferenza. Se mi tuffo nei suoi libri torno a vivere. Ne avverto l’essenza spirituale. Forse un’anima non può avere futuro, ma uno scrittore sì. Andrea vivrà».
Come si passa un giorno così?
«Da sola, schiscia schiscia, raccolta in un silenzio assoluto. Ricordando i dolori del parto, l’Andrea bambino. Sono immagini anche dolci. Mi ha telefonato la proprietaria del Trottoir, Michelle Vasseur, per porgere gli auguri a mio figlio. Non sono gesti scontati, la memoria umana è labile, figurarsi per i compleanni dei non parenti, ma lui è rimasto scolpito. Ho ereditato tutti i suoi amici. Andrea, geniale e generoso. È un altro giorno, comunque, a mandarmi in difficoltà».
Quale?
«La festa della mamma. Quando mi portava sempre una gardenia in regalo. Se oggi ne vedo una, la compro, poi la porto sul balcone. Ne sento il profumo. Non è un modo per consolarmi, non esiste consolazione. Mentre esiste l’impegno con l’associazione per divulgare i suoi romanzi, per ingigantire la sua figura. La gente dimentica: quanto si parla oggi di Buzzati? Andrea ha scritto anche poesie, era sensibile e timido».
Timido?
«Se mi sentisse, mi sgriderebbe. Non lo avrebbe ammesso. Si presentava in modo roboante, poteva vestirsi da saltimbanco, ma si trattava di una maschera esibita in pubblico. La sua parte esteriore. E quando parlava, come se fosse a teatro, tutti ascoltavano in silenzio. Anche il bere, l’alzare il gomito, gli serviva per smorzare una fragilità definita dall’animo sensibile. Delicato. C’era inoltre un tentativo di emulare scrittori a lui cari come Hemingway e Bukowski, con il vizio dell’alcol. Ma anche Vittorio Gassman era sempre ubriaco».
Che rapporto aveva con il denaro?
«Pessimo, nel senso che non gli interessava. Lo regalava, a volte lo smarriva: davanti a una persona povera apriva il portafoglio. A un certo punto gli ho fatto un po’ da amministratrice. Sa, però, cosa lo colpiva in assoluto? I ragazzi handicappati. Quando ne vedeva uno, i suoi occhi diventavano liquidi».
Lo stile Pinketts è una dichiarazione d’intenti.
«Un libro di Pinketts si riconosce dalle prime righe. C’è l’ironia, la profondità, la sorpresa. Sono scritti impegnativi. Aveva la mania delle parole, non vacillava, le sceglieva con sicurezza. Anch’io ho scritto un libro durante il lockdown, s’intitola Quando mi punge vaghezza. E leggo ancora molto, fino alle 2 di notte».
Andrea e le donne. Una debolezza?
«Non direi. La letteratura era una debolezza. Le donne gli davano la caccia, ma non ha mai avuto un grande amore, semmai un harem di devote. Era narcisista come tutti i grandi uomini. Ha visto quanto era bello? Una statua greca. E poi aveva una cultura enciclopedica, poteva parlare di tutto eccetto che di sport».
E tutti potevano parlare con lui.
«Aiutava i colleghi meno fortunati, si spendeva con gli editori, risparmiava le critiche. Arrivo a dire che Andrea formava gli artisti. Era anche un animo ingenuo, più scoperto alle brutture della vita, ma non mi ha mai parlato dei grandi drammi. Era come se volesse dare una giustificazione a chiunque. Noi due, insieme, non ci siamo mai annoiati».
Il pensiero di Mirella Marabese per l’amato figlio Andrea G. Pinketts
«È il dodici di agosto. La tua Milano, la nostra Milano, è avvolta in un silenzio irreale. Sembra immersa in una nuvola. Non ti piaceva il silenzio, Andrea. Dove sei ora, credo che il silenzio non esista. È animato da un trionfo di ricordi, dalle presenze, dalle mille voci che danno vita all’etere e lo rendono palpitante come un cuore che pulsa. Sei tu, Andrea, con tutti gli affetti, gli amori, che hanno dato spazio alla tua vita? Lo scintillio delle stelle. Non si spengono queste stelle, bambino mio. La loro voce è abbacinata come i ricordi di chi ti ha amato, come il rimpianto di chi è rimasto, come la nostalgia che fa male al cuore. Non passa, sai, la nostalgia. Io credevo, come è facile credere e illudersi, che quella mancanza lascerà il posto a un tranquillo dolore senza spine. Non esiste, è un luogo comune che il tempo sia un grande medico, una mano presa come una carezza leggera rendendo i suoi spazi accettabili, come sopiti. Vedi, invero, il tempo invece acuisce le distanze, affila i suoi aculei penetrando nelle ferite lacerandole senza pietà e senza la possibilità di essere rimarginate. Lo sgomento nel quale ci hai lasciati, la perdita della tua vitalità vivifica, l’eco trionfante della tua voce, delle tue risate, come amavi ridere! Nella tua filosofia di vita, come tu la volevi, come l’hai vissuta. Oggi, dodici agosto, la nostalgia ha prevalso sullo sgomento, sulla mancanza. È un pozzo senza fondo. Perdonami. Che il cielo ti doni, della mamma i sospiri, della tua quiete la nostra quiete».
12 agosto 2022 (modifica il 12 agosto 2022 | 22:50)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, 2022-08-12 20:50:00, La bellezza, il lusso di un grande scrittore accessibile a tutti, uomo distinto e d’istinto, autore de «Il senso della frase» che ne definisce la cifra stilistica. Mirella Marabese (91 anni): «Tra me e Andrea c’era un rapporto simbiotico, d’amore» , Luca Caglio