Andrea Orlando: «Il Pd non parli solo di nomi, serve identità per evitare rotture. Bonaccini? Difende l’esistente»

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di Roberto GressiL’ex ministro dem: «Ora una svolta sociale. Ascolterò Elly Schlein senza pregiudizi» Andrea Orlando, esponente di spicco della sinistra dem, è profondamente insoddisfatto del percorso congressuale: la Costituente si riduce a una sfida tra candidati. Quale dovrebbe essere la nuova identità del Pd? «Dovremmo diventare sempre di più un partito socialista e ecologista, che fa della sostenibilità sociale e ambientale e della partecipazione la sua ragione d’essere. L’Europa ha spazzato via il liberismo sotto lo choc della pandemia e dell’economia. Lo stesso sta avvenendo negli Usa. Ma l’intervento pubblico deve servire a tenere ciò che c’è o a renderlo più sostenibile? Questo è il punto. Dico sì alla proposta di Lepore sul cambio del nome: Partito Democratico del Lavoro. Facciamo un referendum». La accusano di voler prendere tempo, perché la sinistra Pd non ha candidati. «Critica infondata. Avevo anche proposto di fare subito le primarie e dare al nuovo leader un mandato costituente. Se poi pensano invece che la Costituente sia una perdita di tempo e basta cambiare segretario, abbiano almeno il coraggio di dirlo». Le primarie non sono più uno strumento valido? Meglio le correnti? «Intanto le correnti attuali nascono quasi tutte dalle primarie. L’Assemblea nazionale si forma sulle liste dei candidati. Per superare le degenerazioni delle correnti bisogna rafforzare il partito, servono idee e struttura. E un po’ di disciplina: si sceglie di fare una manifestazione sull’Ucraina e una parte dei dirigenti va invece a un’altra manifestazione. Confesso, però, che mi preoccupa un po’ chi dice via le correnti tout court: sembra insofferenza per il pluralismo anche perché viene da persone che hanno sempre sostenuto il candidato vincente. Non ho nostalgia per il centralismo democratico». E le alleanze? Dove deve guardare il Pd? A Calenda? Ai Cinque Stelle di Conte? «Io ho insistito per il dialogo con i 5 Stelle. Ma le alleanze non sono un tema di oggi. Se non ci rimettiamo in piedi le altre opposizioni si rivolgeranno a noi solo per lanciare un’opa ostile. Vale per tutti, tanto più per Azione e Italia viva che puntano a fare la ruota di scorta della maggioranza». Dieci segretari in 15 anni. Continua la tendenza cannibale? «Insisto, il nodo è l’Identità. Siamo passati come un pendolo da Veltroni a Bersani, da Renzi a Zingaretti. Persone molto diverse tra loro, ma non si è mai superata l’indeterminatezza su questioni oggi cruciali. Insieme spesso su politica estera, ambiente, diritti civili, ma sull’economia e sulla società è rimasto un non detto che non s’è mai risolto». È perché l’unità tra le anime del Pd è una finzione, tenuta insieme dal cemento del potere? «Non credo che sia così. In tutto il mondo molte forze progressiste sono nate dall’incontro di culture politiche diverse che però hanno fatto i conti con questa diversità senza rimuoverla. È sul modello di sviluppo che dobbiamo fare chiarezza». Le scissioni nessuno le vuole, ma poi si moltiplicano. «Per evitarle non basta demonizzarle. Parlo di identità non per ragioni accademiche, ma proprio per evitare rotture. Guardiamo alle scissioni precedenti. È proprio lo scontro personalizzato che porta al rischio di rotture». Che cosa c’è che non va in Stefano Bonaccini? È una candidatura robusta. «Indubbiamente. A Campogalliano ha parlato di Pd prevalentemente. Aspettiamo di capire le sue idee sul Paese per dare un giudizio. L’impressione però è che si pensi che basti difendere ciò che c’è. Quello che mi ha colpito nelle sue prime uscite è che non c’è stato nemmeno un ripensamento rispetto alla stagione dell’apologia di ciò che c’è. Non basta la parola d’ordine del buon governo. Anche dove c’è il buon governo sono cresciute le diseguaglianze». Elly Schlein può essere la persona adatta? «Apprezzo nei suoi ragionamenti lo spirito costituente. La ascolteremo senza pregiudizi. Inoltre, una donna alla guida del Pd sarebbe una novità politica importante. Certo, da sola non basterebbe». E la sinistra Pd? Lei davvero non si candida? «Fare una battaglia per la Costituente e dire che è sbagliato puntare tutto sui nomi e poi candidarsi sarebbe una contraddizione. E non lo faccio. C’è un interesse nel Paese per il nostro congresso, mi preoccupo che chi vuole possa partecipare, e non semplicemente intrupparsi». Intanto rischiate di perdere in Lombardia e nel Lazio. «Abbiamo candidati competitivi, che possono affermarsi. Convergere sulla Moratti sarebbe stato un errore e non avrebbe portato alla vittoria. E anche solo pensare che l’elettorato di sinistra avrebbe seguito la dirigenza su quella scelta vuol dire non aver capito la lezione delle elezioni». Che giudizio dà sulla manovra? «Non è solo contro i poveri e bugiarda rispetto alle promesse, con le pensioni più vicine al modello Fornero di prima. Ma c’è soprattutto un’idea della competizione drammatica: bassi salari, infedeltà fiscale, più precarietà con i voucher. Nel mondo si accorciano le filiere, si fa ricerca, robotizzazione. E noi diciamo: fate un po’ di nero». Renzi dice che Nordio è meglio di lei alla Giustizia, e che lei con la faccia contrita fa sempre il ministro. «Non sono mai sceso sul terreno delle polemiche personali, figurarsi sulla fisiognomica. Tre anni fa mi fece elogi sul mio lavoro a via Arenula da imbarazzarmi, ora forse ha la necessità di compiacere Nordio. Per il bene del Paese mi auguro però che abbia ragione». 2 dicembre 2022 (modifica il 2 dicembre 2022 | 21:52) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-12-02 20:53:00, L’ex ministro dem: «Ora una svolta sociale. Ascolterò Elly Schlein senza pregiudizi», Roberto Gressi

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