di Aldo Grasso
Con ironia ed eleganza rivoluzionò la Rai. Franca Valeri se non era nel cast gli diceva, scherzando: «Vedrai che andrà male». Walter Chiari non sempre si presentava alle prove. «Ma era nato per il palcoscenico»
L e gemelle Kessler? «Nel 1961, appena le vide, Ennio Flaiano disse: “Quattro gambe e una sola testa”. Ma anche Indro Montanelli, Enzo Biagi e Achille Campanile scrissero di loro. Chissà perché le loro gambe lunghissime interessavano tanto gli intellettuali… I rotocalchi riempivano pagine e pagine con le loro fotografie». E Mina? «L’ho scoperta io. Lo rivendico. Mina era timida e insicura quando la conobbi, anni prima. Doveva essere solo un poco incoraggiata, ma superate le prime difficoltà, rompeva ogni argine. Le ho insegnato ad avere fiducia in sé stessa. Liza Minnelli ha rivelato che una volta ha messo su un disco di Mina ed è rimasta senza fiato nell’ascoltarlo; poi ha concluso: “Se facesse un concerto andrei nel backstage a chiederle l’autografo”». E la Biblioteca di Studio uno con il Quartetto Cetra? «La Biblioteca è stata anche un’occasione per riunire, per cosi dire, gli “interessi familiari”, quelli di mio padre e quelli miei, ossia la letteratura e il varietà, un esempio di parodia culturale. Il vero motore di tutto il racconto erano i “centoni”, ossia le famose canzoni celebri sceneggiate, parodiate, mantenendo però la stessa metrica degli originali».
A rispondere alle domande di Enzo Lavagnini è Antonello Falqui, il più grande regista della tv italiana (Io, proprio io: Antonello Falqui, Palombi editore, 2022, volume realizzato con la collaborazione dell’Associazione Antonello Falqui). Figlio del critico letterario Enrico Falqui, Antonello (Roma 1925-2019) è stato il primo regista della Rai. È lui che ha inaugurato i programmi con «Arrivi e partenze», incontri all’aeroporto (in realtà uno studio che sembrava un’agenzia di viaggi) condotto da Mike Bongiorno: «Sandro Pugliese, il direttore dei programmi della Rai di allora, era molto amico di mio padre. Si lamentava: “Ho solo verbosa gente di teatro qui. Teorici e parolai. Non c’è nessuno che curi l’immagine”. Non me lo feci ripetere e corsi a Milano per sperimentare. Firmai da regista la prima trasmissione in assoluto della tv di Stato. Era il 1952, si intitolava “Arrivi e partenze”».
Il primo e, ripeto, il più bravo perché, pur avendo frequentato il corso di regia al Centro Sperimentale, non ha mai creduto che il linguaggio televisivo fosse un surrogato di quello teatrale o cinematografico. Ha avuto la fortuna di attraversare quel momento aurorale in cui si inventano le cose, o in cui le cose accadono per la prima volta, ma ha avuto la bravura di inventarsi un linguaggio nuovo, una grammatica costruita sulla leggerezza, sull’ironia e sull’eleganza. «Odio tutto ciò che è casuale, fortuitamente lasciato agli eventi, fuori dell’orbita del pensiero. Accanto all’esigenza di accontentare il pubblico nei suoi desideri, ci deve essere anche una volontà di stimolo al buon gusto, a un minimo di senso critico». In queste parole si racchiude il senso della tv di Falqui, iniziata con «Arrivi e partenze» e finita con «Un altro varietà» (1986). In mezzo, alcune pietre miliari della tv: «Canzonissima» (1958-59, 1969-70), in particolare l’edizione con il trio Scala-Manfredi-Panelli che resta il paradigma perfetto del varietà televisivo, «Giardino d’inverno» (1961), con le gemelle Kessler e il Quartetto Cetra, «Studio Uno», «Biblioteca di Studio Uno» e «Teatro 10» (1964), «Mille luci» (1974).
Per «Canzonissima 1969» un funzionario della Prima rete (allora si chiamava così) gli scrive una lettera di ringraziamento per la collaborazione e per l’impegno mostrato nel superare numerose difficoltà. Il funzionario gli confessa anche di doversi ricredere: aveva sempre pensato che i successi di Falqui fossero dovuti «a un insieme di circostanze fortunate». Non era così. Angelo Guglielmi, la firma in calce. Il suo capolavoro è stato «Studio uno». Mentre Torino celebrava con «Italia 61» il centenario dell’unità d’Italia, gli italiani scoprivano le gemelle Kessler e il Dadaumpa. Falqui e Guido Sacerdote erano stati negli Usa, avevano visto spettacoli nuovi, volevano proporli in Italia. Piccola parentesi: fondamentale è stato il sodalizio con Sacerdote, suo produttore e complice di tante scoperte. Guido era figlio di un ricco farmacista di Alba: per un po’ proseguì l’attività paterna, ma poi abbandonò tutto, prima per seguire Remigio Paone e poi per entrare nella Rai di Milano come capo ufficio scritture. Insieme, Antonello e Guido, girarono il mondo alla scoperta di «attrazioni» e inventarono il sabato sera della Rai.
Non c’era più bisogno di scenografie sfarzose, gli artisti si muovevano su fondali fatti di grandi spazi bianchi. La telecamera poteva così far risaltare meglio i corpi delle ballerine, degli ospiti, dei conduttori; si cominciava in questo modo a ragionare in termini di linguaggio televisivo. E poi la cosa più moderna, sconvolgente: si vedevano in campo gli strumenti con cui si riprende lo spettacolo: telecamere, microfoni, giraffe, luci… Sull’Espresso, persino Sergio Saviane ebbe parole di elogio: «Il merito di Sacerdote e Falqui non è solo d’aver allestito un varietà televisivo divertente, vivo, con molte idee e che promette di migliorare nelle prossime settimane, ma d’aver sconvolto le acque del rattrappito mondo della canzone, mettendo al bando i cantanti e le loro pietose interpretazioni».
«Studio Uno» elimina i grigi, conosce solo il bianco e il nero. Ma non basta: di fronte a tanta accuratezza e tanta misura scenografica è possibile giocare sulla ridondanza. Nell’apparente asetticità dello studio c’è bisogno dell’enfasi delle gambe (le gemelle Kessler), dell’enfasi della voce (Mina), dell’enfasi della parola (Walter Chiari): «Mina e Walter Chiari sono state le persone con le quali ho lavorato meglio . Anche se ho lavorato bene anche con Rita Pavone, con Paolo Panelli e Franca Valeri . Franca Valeri quando non era prevista nel cast dei miei programmi minacciava, scherzosamente: “Vedrai che non andrà bene, perché io non ci sono…”». Ma lavorare con Chiari era una scommessa, non sempre si presentava alle prove, anche le più impegnative: «Una buona stella ci aiutò… Incredibilmente Walter fece tutta la trasmissione senza nemmeno un errore, e questo senza aver provato nulla. Parliamo della puntata finale di una “Canzonissima”, una cosa complicatissima, con le giurie in tutto il mondo, Walter Chiari la fece tutta in diretta, senza uno sbaglio: un fenomeno! Era assolutamente speciale. Un artista come pochi; ci ho lavorato un sacco di volte insieme. Era nato per il palcoscenico».
Grazie a Falqui, l’allora direttore generale, il cattolicissimo Ettore Bernabei, poteva vantarsi di aver tolto la gonna alle gemelle Kessler: «Le proponemmo con il tutù e la calzamaglia nera, senza gonna. Avevano bellissime gambe, ed erano statuarie come la Venere di Milo… E non si muovevano in maniera ammiccante e invitante: facevano vedere come si presenta, con eleganza e signorilità, una bella donna; sicché anche gli uomini presi da desideri umani le guardavano come ideali di bellezza e si contentavano delle loro mogli magari con un po’ di cellulite». In un’intervista rilasciata a Malcom Pagani, Falqui aveva confessato: «Non volevo alfabetizzare il Paese come il maestro Manzi, ma solo intrattenerlo con grazia ed eleganza. Così provai a trasformare la tv e spostai in quel contenitore il teatro di rivista, già declinante all’inizio degli anni ‘50. L’avanspettacolo lo conoscevo bene. Facevo sega a scuola per andare a vedere Rascel al Bernini». A differenza di Enzo Trapani (Roma 1922-89), l’altro grande regista di varietà che amava le telecamere in continuo movimento, i montaggi audaci e nervosi, l’assenza della classica figura del conduttore, Falqui ha rappresentato l’espressione più alta del varietà televisivo classico. Così la pulizia formale, gli ampi e maestosi movimenti di macchina, le scenografie moderne costituiscono ancora oggi il timbro inconfondibile delle sue regie.
22 luglio 2022 (modifica il 22 luglio 2022 | 00:07)
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, 2022-07-22 05:38:00, Con ironia ed eleganza rivoluzionò la Rai. Franca Valeri se non era nel cast gli diceva, scherzando: «Vedrai che andrà male». Walter Chiari non sempre si presentava alle prove. «Ma era nato per il palcoscenico», Aldo Grasso