editoriale Mezzogiorno, 29 settembre 2022 – 08:00 di Francesco Marone Dopo le elezioni del 2018, la macchia gialla dei collegi vinti dal Movimento 5 Stelle coincideva quasi perfettamente con i confini del Regno delle due Sicilie. Si trattava di un successo dovuto in buona parte alla promessa del reddito di cittadinanza. Al disagio delle popolazioni meridionali i grillini promettevano di rispondere con nuovo assistenzialismo e questo li premiò. Nelle consultazioni di domenica scorsa, la destra ha vinto quasi ovunque, tranne in qualche collegio del Sud, dove la promessa di difendere il reddito di cittadinanza ha consentito al Movimento di recuperare un po’ di quel consenso che sembrava irrimediabilmente in caduta. Non è voto di scambio, come qualcuno ha detto in campagna elettorale. Il voto di scambio è un reato, le politiche assistenziali no. Questo, però, non vuol dire che siano sufficienti a definire un indirizzo politico. Nella sorprendente affermazione grillina del 2018 c’era, tuttavia, qualcosa in più della sola promessa di nuove prebende pubbliche. C’era un elemento positivo nella grande macchia gialla di quelle elezioni: sembrò essere, forse per la prima volta da decenni, un voto d’opinione, slegato da ogni clientela e da ogni calcolo. Un voto disperato, ma libero. Da questo punto di vista, il M5S è passato come un aratro sul terreno arido e duro della politica meridionale e questo avrebbe potuto rappresentare una grande occasione per rinnovare profondamente la cultura politica del Mezzogiorno. L’economia del Sud è stata per lunghi anni drogata da una spesa pubblica senza controllo e questo ha alimentato un circuito perverso in cui un notabilato politico, immutabile e asfissiante, ha scambiato sopravvivenza per consenso. La fine della stagione della spesa pubblica senza controllo ha messo in crisi quel modello e la società meridionale, in assenza di modelli alternativi, ha avviato una stagione di declino che non sembra fermarsi. Nel 2018 la speranza del ritorno al «mondo di ieri» fece sì che il Movimento 5 Stelle arrivasse al 50% dei voti nel Sud. A quel voto disperato doveva, però, seguire un nuovo disegno politico ed economico per il Mezzogiorno d’Italia. Il reddito è una misura di sostegno alla povertà, utile e necessaria a garantire i cittadini nei momenti di difficoltà, ma non può essere interpretato come una politica strutturale, l’unica pensata per il Mezzogiorno. Era necessario ripensare il modello sociale ed economico del Sud Italia, per traghettarlo finalmente in dinamiche di mercato sane. Immaginare, insomma, di che cosa dovesse vivere un terzo della popolazione italiana. Purtroppo non è successo e alle elezioni del 2022 il primo partito del Mezzogiorno è l’astensione. È vero che i 5S hanno retto, ma rispetto alle previsioni catastrofiche di qualche settimana fa. Il dato oggettivo è che i loro voti sono comunque la metà di quelli delle precedenti elezioni. E quei voti non hanno nemmeno seguito l’onda dilagante della destra; semplicemente, il popolo del Sud Italia ha smesso di andare a votare, non credendo evidentemente più a niente e a nessuno. La legislatura che si sta aprendo è probabilmente l’ultima occasione di ricucire un minimo di patto sociale tra i cittadini meridionali e lo Stato. E non con ulteriore assistenzialismo, ma con un progetto serio di sviluppo delle aree meridionali, dove la disoccupazione arriva a riguardare, in alcune zone, anche un cittadino su due. L’astensione altrimenti aumenterà, ma l’astensione e la democrazia non sono compatibili oltre un certo livello. La democrazia è partecipazione. 29 settembre 2022 | 08:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-09-29 06:01:00, editoriale Mezzogiorno, 29 settembre 2022 – 08:00 di Francesco Marone Dopo le elezioni del 2018, la macchia gialla dei collegi vinti dal Movimento 5 Stelle coincideva quasi perfettamente con i confini del Regno delle due Sicilie. Si trattava di un successo dovuto in buona parte alla promessa del reddito di cittadinanza. Al disagio delle popolazioni meridionali i grillini promettevano di rispondere con nuovo assistenzialismo e questo li premiò. Nelle consultazioni di domenica scorsa, la destra ha vinto quasi ovunque, tranne in qualche collegio del Sud, dove la promessa di difendere il reddito di cittadinanza ha consentito al Movimento di recuperare un po’ di quel consenso che sembrava irrimediabilmente in caduta. Non è voto di scambio, come qualcuno ha detto in campagna elettorale. Il voto di scambio è un reato, le politiche assistenziali no. Questo, però, non vuol dire che siano sufficienti a definire un indirizzo politico. Nella sorprendente affermazione grillina del 2018 c’era, tuttavia, qualcosa in più della sola promessa di nuove prebende pubbliche. C’era un elemento positivo nella grande macchia gialla di quelle elezioni: sembrò essere, forse per la prima volta da decenni, un voto d’opinione, slegato da ogni clientela e da ogni calcolo. Un voto disperato, ma libero. Da questo punto di vista, il M5S è passato come un aratro sul terreno arido e duro della politica meridionale e questo avrebbe potuto rappresentare una grande occasione per rinnovare profondamente la cultura politica del Mezzogiorno. L’economia del Sud è stata per lunghi anni drogata da una spesa pubblica senza controllo e questo ha alimentato un circuito perverso in cui un notabilato politico, immutabile e asfissiante, ha scambiato sopravvivenza per consenso. La fine della stagione della spesa pubblica senza controllo ha messo in crisi quel modello e la società meridionale, in assenza di modelli alternativi, ha avviato una stagione di declino che non sembra fermarsi. Nel 2018 la speranza del ritorno al «mondo di ieri» fece sì che il Movimento 5 Stelle arrivasse al 50% dei voti nel Sud. A quel voto disperato doveva, però, seguire un nuovo disegno politico ed economico per il Mezzogiorno d’Italia. Il reddito è una misura di sostegno alla povertà, utile e necessaria a garantire i cittadini nei momenti di difficoltà, ma non può essere interpretato come una politica strutturale, l’unica pensata per il Mezzogiorno. Era necessario ripensare il modello sociale ed economico del Sud Italia, per traghettarlo finalmente in dinamiche di mercato sane. Immaginare, insomma, di che cosa dovesse vivere un terzo della popolazione italiana. Purtroppo non è successo e alle elezioni del 2022 il primo partito del Mezzogiorno è l’astensione. È vero che i 5S hanno retto, ma rispetto alle previsioni catastrofiche di qualche settimana fa. Il dato oggettivo è che i loro voti sono comunque la metà di quelli delle precedenti elezioni. E quei voti non hanno nemmeno seguito l’onda dilagante della destra; semplicemente, il popolo del Sud Italia ha smesso di andare a votare, non credendo evidentemente più a niente e a nessuno. La legislatura che si sta aprendo è probabilmente l’ultima occasione di ricucire un minimo di patto sociale tra i cittadini meridionali e lo Stato. E non con ulteriore assistenzialismo, ma con un progetto serio di sviluppo delle aree meridionali, dove la disoccupazione arriva a riguardare, in alcune zone, anche un cittadino su due. L’astensione altrimenti aumenterà, ma l’astensione e la democrazia non sono compatibili oltre un certo livello. La democrazia è partecipazione. 29 settembre 2022 | 08:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,