Assunzioni: i posti ci sono, ma molti precari preferiscono optare per le supplenze; per ora, però, non si intravedono soluzioni

Assunzioni: i posti ci sono, ma molti precari preferiscono optare per le supplenze; per ora, però, non si intravedono soluzioni

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Le convocazioni per le assunzioni in ruolo non stanno andando esattamente come al ministero speravano: le rinunce, soprattutto in alcune province del nord, sono ormai all’ordine del giorno; molti precari preferiscono infatti optare per un incarico a tempo determinato ma nella propria regione.
E’ molto probabile che questo “trend” continui anche nelle prossime settimane con le conseguenze che si possono facilmente immaginare.
D’altronde non da oggi i posti che restano vacanti al termine delle convocazioni si contano nell’ordine delle decine di migliaia.
A leggere le cronache sembra che una delle ragioni di questa situazione sia legata ai costi molto elevati che i docenti fuori sede devono sostenere.

Qualche settimana fa il ministro aveva annunciato di voler stringere accordi con le regioni per mettere a disposizione dei docenti fuori sede alloggi a prezzi calmierati, ma per il momento non si è visto nulla in questa direzione.
C’è chi parla di “bonus” da riconoscere a chi lavora fuori dalla propria regione, ma non è per nulla chiaro come questo potrebbe realizzarsi.
La soluzione apparentemente più semplice sembrerebbe quella di prevedere vere e proprie indennità aggiuntive allo stipendio base legate al costo della vita registrato a livello regionale.
Ma, un’ipotesi del genere viene vista dai sindacati come una forma di reintroduzione delle cosiddette “gabbie salariali”.
I sindacati della scuola, al contrario, sostengono che il problema è che gli stipendi del comparto sono bassi, indipendentemente dalla città o dalla regione in cui si lavora.
Il problema è che un aumento significativo degli stipendi della scuola potrebbe provocare una vera e propria “rincorsa salariale” da parte del restante pubblico impiego, rincorsa che potrebbe significare una maggiore spesa di 12-15 miliardi all’anno che le finanze pubbliche non sarebbero in grado di sostenere.
La soluzione insomma appare per il momento non solo difficile, ma addirittura impossibile.
La situazione, forse, non è ancora arrivata ad un punto di rottura definitivo e quindi nessuno, per il momento, sembra avere l’interesse (o il coraggio) di “fare la prima mossa”.
E’ molto probabile, quindi che bisognerà aspettare ancora qualche tempo per “costringere” politica e sindacati a individuare qualche soluzione almeno parziale ad un problema che sta diventando sempre più drammatico.

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