di Francesco Verderami Nella contesa tra Meloni e Letta non è in gioco solo Palazzo Chigi. Il voto di un Paese fondatore dell’Europa avrà infatti un peso rilevante sugli equilibri politici nell’Unione. Nella contesa tra Meloni e Letta non è in gioco solo Palazzo Chigi. Il voto di un Paese fondatore dell’Europa avrà infatti un peso rilevante sugli equilibri politici nell’Unione. E la preoccupazione che si avverte in questi giorni dentro e fuori i confini nazionali è di veder trasformato l’appuntamento elettorale italiano in una data spartiacque anche per il Vecchio Continente. Il timore è che in prospettiva salti la «dottrina Merkel», quello schema di potere che a Bruxelles ha retto per vent’anni e in base al quale il Ppe ha sempre avuto nel Pse il suo tradizionale avversario ma anche il suo interlocutore privilegiato, con cui all’occorrenza stringere accordi. Senza mai far cadere il muro a destra. Ma il quadro sta mutando. Nella Repubblica Ceca il governo è guidato dai Conservatori insieme a due forze popolari. In Svezia la prossima maggioranza sarà targata Ppe-Ecr. E «in Spagna — sostiene un autorevole esponente di FdI — si preannuncia una maggioranza simile». Ovviamente l’Italia ha un peso specifico diverso e se le urne garantissero la nascita di un gabinetto Meloni, il processo di cambiamento acquisirebbe un’accelerazione nell’Ue. E la «dottrina Merkel» — come riconoscono nel Pd — sarebbe messa seriamente a repentaglio. Così si capisce perché il socialista olandese Timmermans — incurante del suo ruolo di vicepresidente della Commissione — si era scagliato contro l’ipotesi di un esecutivo di centrodestra a Roma. E si capiscono le ragioni che hanno indotto all’attacco (scomposto) della Spd verso «i postfascisti». Ma si capisce anche la sortita della leader di Fratelli d’Italia su Vox, che ha provocato la reazione del Pd e di Azione. Se è vero che «siamo in una politica sempre più intrecciata e sovranazionale», come dice il ministro democratico Orlando per giustificare il viaggio a Berlino del suo segretario, era ovvio che la parte finale della campagna elettorale piegasse su questi temi. E c’è un motivo se Calenda e Renzi hanno criticato la visita di Letta a Scholz: non è solo perché «certi endorsement sono controproducenti», o perché «se gli italiani decideranno non sarà il cancelliere a cambiarne i giudizi». Oltre al problema dell’«ingerenza» tedesca, il punto è che la Germania è vista dall’opinione pubblica nazionale come il Paese che oggi frena sul tetto europeo al prezzo del gas, mentre lo acquista dalla Russia a un terzo del costo per l’Italia. Tutte questioni che diventano armi propagandistiche per Meloni. L’approccio del commissario alla Giustizia Reynders — «lasciamo gli elettori liberi di scegliere tanto poi saranno gli atti di governo a contare» — è un modo per togliere Bruxelles dalla disputa ma anche una mossa astuta in attesa di vedere alla prova il centrodestra. Che alla vigilia del voto continua a mostrare crepe. La candidata a Palazzo Chigi derubrica le divergenze a «fisiologici distinguo» per la conquista del consenso, e non c’è dubbio che Lega e Forza Italia stiano cercando di uscire dal cono d’ombra per non essere cannibalizzate da FdI. Ma si avverte una divergenza di visione. Quando Berlusconi richiama la «signora Meloni» a un atteggiamento più europeista, e quando Salvini batte il tasto sulle sanzioni che «stanno arricchendo qualcuno e impoverendo noi», emergono contraddizioni proprio sulla linea di politica internazionale con l’alleata. E sono il preludio a un chiarimento che — secondo la presidente di FdI — il risultato delle urne potrà risolvere. Fino a un certo punto, però. Sicuramente c’entra il futuro assetto dell’esecutivo. Tajani che sottolinea come FI sarà «garante del prossimo governo e porrà l’Ue al centro dell’azione politica» sembra candidarsi alla Farnesina. Il segretario della Lega, che affida agli elettori «il compito di stabilire cosa farò», lascia capire che non ha smesso di pensare al Viminale e che non gradirà «tecnici» né agli Interni né all’Economia. Ma il problema politico è soprattutto legato alle differenze tra Meloni e Berlusconi sull’approccio con l’Unione e alla divergenze tra Meloni e Salvini sul conflitto ucraino. I loro avversari — dentro e fuori i confini — attendono di capire se il centrodestra italiano sarà in grado di dare un colpo di piccone a equilibri di potere che resistono da molto tempo in Europa. Il Corriere ha una newsletter dedicata alle elezioni: si intitola Diario Politico, è gratuita, e ci si iscrive qui 20 settembre 2022 (modifica il 20 settembre 2022 | 23:32) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-09-20 21:39:00, Nella contesa tra Meloni e Letta non è in gioco solo Palazzo Chigi. Il voto di un Paese fondatore dell’Europa avrà infatti un peso rilevante sugli equilibri politici nell’Unione., Francesco Verderami