di Stefania Auci
La prova raccontata dalla scrittrice: «Quell’esame e quel tema di maturità mi diedero le soddisfazioni che gli anni di liceo non mi avevano dato, e poco importa il voto: compresi che potevo farcela, che avevo le forze per affrontare l’università»
Nel 1993, noi alunni della III C del liceo classico Ximenes avremmo dovuto affrontare l’esame di maturità ed eravamo in una pessima situazione. La nostra professoressa di italiano (che già di suo non brillava per competenza) a ottobre aveva scoperto di essere incinta. Bellissima notizia, per carità, visto anche che la signora aveva abbondantemente superato i quaranta anni: ma questo aveva determinato una vorticosa girandola di supplenti con gravi danni per la nostra preparazione, già incerta.
Io e i miei amici più stretti passammo i giorni prima degli esami a commentare le ipotesi delle tracce di italiano che arrivavano da più parti. Vivemmo in un parossismo di ansia che causò più di una crisi isterica e diversi dimagrimenti improvvisi, oltre a un paio di minacce di fuga. In un’epoca in cui ancora non esisteva internet, le ipotesi più strampalate correvano sul filo del telefono e si diffondevano seminando il panico, facendo passare la notte in bianco per realizzare cartuccere degne di un pistolero di un western: fasce con tasche piccolissime, piene di temi scritti fittamente a mano e arrotolati strettamente. Così mi ritrovai in quel mattino di giugno del 1993 con i miei compagni davanti al liceo classico a Trapani. Indossavo una maglietta larga, una Naj Oleari, che nascondeva la mia riserva segreta di temi e di tracce svolte.
Bisognava aspettare che arrivasse il fax secretato dal ministero. Ecco. Mi ricordo benissimo il momento in cui ebbi quel foglio tra le mani, il cuore in gola e il sudore freddo che mi scivolava tra le scapole. Pavese e Vittorini per la letteratura, la Repubblica di Weimar per la storia. Brandelli di sapere che giacevano intonsi nei nostri libri. Rimaneva solo una scelta: il tema di attualità. «Ogni individuo porta con sé dalla nascita un diritto uguale e intangibile a vivere indipendentemente dai suoi simili in tutto ciò che lo riguarda personalmente e a regolare da sé il proprio destino» (A. de Tocqueville). Così iniziava la mia traccia. Era uno di quei testi «salvagente»: il classico tema che permette di scrivere moltissimo, visto che vi erano espliciti richiami sia alla Costituzione Italiana che alla Dichiarazione fondamentale dei diritti dell’uomo. Così, passati i capogiri da panico, mi misi al lavoro. Fu un buon tema.
La commissione lo apprezzò. Mi dissero che dimostrava personalità, ricchezza di lessico, maturità personale e anche l’uso di una parola in dialetto, «Camurria», intraducibile in italiano, aveva il suo perché nel ragionamento che avevo imbastito. Ecco, quell’esame e quel tema di maturità mi diedero le soddisfazioni che gli anni di liceo non mi avevano dato, e poco importa il voto: compresi che potevo farcela, che avevo le forze per affrontare l’università. Ed è quello che auguro oggi ai maturandi, comprese le «picciridde» della mia classe che oggi faranno il loro tema e che, mentre sto scrivendo, mi mandano messaggi in chat in cui mi scrivono dei timori e della loro ansia. Non abbiate paura: avete forza di carattere, fantasia, coraggio e intelligenza. Riuscirete a farcela.
21 giugno 2022 (modifica il 21 giugno 2022 | 23:11)
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