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Si parla tanto di aumenti degli stipendi dei docenti, ma il dato rimane comunque lo stesso: le retribuzioni dei docenti restano tra le più basse a livello europeo. Nonostante ciò gli insegnanti sembrano soddisfatti del proprio lavoro: questo è quanto riportato dal rapporto annuale del Censis che, come abbiamo scritto, è stato pubblicato oggi. Ecco cosa è emerso dal capitolo relativo alla formazione dello studio.
Scuola lontana dal mondo del lavoro
La scuola è troppo distante dal mondo del lavoro. Lo afferma l’85,9% degli italiani e l’89,1% degli studenti. Si stima un fabbisogno occupazionale tra il 2023 e il 2027 pari a quasi 1,3 milioni di laureati o diplomati Its: in media, circa 253.000 all’anno a fronte dei 244.200 effettivamente previsti. Nei prossimi anni ci sarà dunque un fabbisogno inevaso di almeno 8.700 persone con formazione terziaria ogni anno, per un totale di 43.700 nell’intero periodo considerato, di cui circa l’80% costituito da laureati in discipline Stem, economiche, statistiche, sanitarie e giuridiche. I giovani in Italia sono pochi e in futuro saranno ancora meno. Oggi i 18-34enni sono 10.293.593: negli ultimi vent’anni si sono ridotti di oltre 2,8 milioni. Erano il 23,0% della popolazione nel 2003, sono scesi al 17,5% nel 2023 e tra vent’anni, nel 2043, si ridurranno al 16,4% del totale. Tuttavia, nel nostro Paese persistono sacche endemiche di dissipazione del capitale umano giovanile: i Neet 15-29enni, che non studiano e non lavorano, sono il 19,0% del totale, a fronte di una media europea dell’11,7% (siamo secondi solo alla Romania). Il 26,8% dei 18-24enni (oltre un milione) ha al più la licenza media e di questi l’11,5% (oltre 460.000) è classificabile come early school leaver, avendo lasciato precocemente gli studi.
Insegnanti sottopagati, ma ancora motivati. Al di là degli stipendi contrattuali degli insegnanti, che sono tra i più bassi in Europa a qualunque stadio della carriera, la retribuzione lorda media effettiva dei docenti italiani, comprensiva di eventuali bonus e indennità, espressi in dollari a parità di potere d’acquisto, oscilla dai 39.569 dollari nella scuola dell’infanzia ai 44.843 dollari dei docenti dei licei (un valore inferiore alla media Ue: 51 633 dollari). Tra il 2010 e il 2022 gli stipendi dei docenti italiani della scuola secondaria di secondo grado sono diminuiti del 10,7% in termini reali, mentre il valore medio europeo solo del 2,8%. Un docente della scuola secondaria superiore guadagna il 26% in meno di un lavoratore a tempo pieno con istruzione terziaria (nella media Ue solo il 6% in meno): l’Italia si colloca al penultimo posto, davanti solo all’Ungheria. Eppure, la motivazione rimane alta: il 95,9% dei docenti si dice soddisfatto del proprio lavoro.
Orientamento e percorsi Stem
Università: Dad, new normal e studenti a distanza. Nell’anno accademico 2021-2022 gli iscritti “a distanza” negli atenei tradizionali erano 3.055, l’1,9% del totale. Il 98,0% (161.709 studenti) erano iscritti alle 11 università telematiche riconosciute dal Mur presenti nel nostro Paese con oltre 400 sedi e un’offerta formativa di 149 corsi di studio (+113% rispetto a dieci anni fa). Gli studenti a distanza rappresentano il 9% degli studenti universitari (+266,3% rispetto al 2010). Il 47% proviene dal percorso liceale e il 35,5% da quello tecnico. Si tratta in maggioranza di uomini (51%), diversamente dalla composizione degli iscritti totali, dove il sesso femminile è prevalente (56,5%). Gli stranieri sono il 2,9% (di cui il 57,8% europei). Tra i corsi di laurea scelti sono maggioritari quelli appartenenti all’area disciplinare economica, giuridica e sociale (54,9%), seguiti dall’area disciplinare artistica, letteraria e educazione (17,7%), discipline Stem (17,3%) e area sanitaria e agro-veterinaria (10,2%). La scelta dello studio a distanza è propria di classi di età più avanzate della media. Solo il 29,2% ha meno di 25 anni, rispetto al 69,8% riferito al totale degli iscritti.
Non basta l’orientamento per ridurre il divario di genere nella scelta dei percorsi Stem. Nell’anno accademico 2021-2022 gli iscritti alle lauree Stem erano 494.193 (il 3,1% in più rispetto a due anni prima), pari al 27,1% del totale degli studenti universitari. Di questi, il 37% erano donne (182.960 studentesse). Sebbene ancora minoritaria (il 39,4% delle immatricolazioni), la componente femminile cresce nello stesso periodo a un ritmo superiore: +4,7%. Tra i top performer in matematica ai test Invalsi nell’ultimo anno delle superiori, nell’anno 2019-2020 solo il 45,8% si è iscritto poi a un corso di laurea Stem, ma con una forte differenza di genere: il 56,6% dei maschi e il 33,7% delle femmine.
Le differenze di genere
Studiare a lungo conviene, ma i divari di genere sono ancora profondi. Tra i giovani 25-34enni i tassi di occupazione sono particolarmente bassi, collocando il nostro Paese all’ultimo posto in Europa: il 66,1% il 79,0% medio. Ma confermano il vantaggio competitivo associato al conseguimento di titoli di studio più elevati. Nel 2022 il tasso di occupazione dei 25-34enni con la licenza media è del 53,9%, sale al 67,6% tra chi è in possesso del diploma e arriva al 72,8% tra i laureati. Studiare più a lungo in Italia avvantaggia soprattutto le donne. Tra le 25-34enni il possesso di un titolo di scuola secondaria di secondo grado o post-secondario sviluppa un differenziale, rispetto a chi si ferma a titoli di studio inferiori, di ben 23,5 punti percentuali. Un ulteriore incremento, di 15,3 punti percentuali, rispetto a chi possiede titoli di secondaria di secondo grado o post-secondaria si ottiene con il possesso di un titolo di studio terziario. Se si restringe l’analisi ai soli 30-34enni, il vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma tra le donne diventa ancora più marcato, salendo a 23,5 punti percentuali, mentre quello degli uomini si ferma ad appena 3,2 punti percentuali di differenza. Ma il divario di genere investe le retribuzioni. Fatto 100 il salario di un uomo 25-34enne, il salario di una donna della stessa età è pari a 90 tra chi possiede al massimo il titolo secondario di primo grado, a 85 con diploma di scuola secondaria di secondo grado, a 89 con l’istruzione terziaria.
Aumento stipendi docenti dicembre 2023, quanto arriverà in busta paga?
Come abbiamo scritto, tra pochi giorni i docenti e il personale Ata della scuola pubblica riceveranno degli stipendi maggiorati: con la mensilità di dicembre e la tredicesima arriverà anche l’una tantum che varia tra gli 800 euro e i 1.500 euro lordi per i docenti e i Dsga, a seconda dell’anzianità di carriera, un po’ meno per gli amministrativi, i tecnici e i collaboratori scolastici. In pratica, è una quota cumulativa per il mancato rinnovo contrattuale degli anni 2022 e 2023. Poi, da gennaio, si passerà per tutto il 2024 all’anticipazione mensile di 6,7 volte l’ammontare dell’indennità annuale, pari a 40-50 euro netti.
Ma c’è da essere contenti oppure si tratta di somme dovute ma inadeguate poiché nel frattempo il costo della vita è aumentato in modo esponenziale?
Per il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara il “bicchiere” è decisamente mezzo pieno: il numero uno del dicastero bianco sostiene che “con lo stanziamento complessivo di 5 miliardi in legge di Bilancio per il rinnovo degli statali” il Governo ha posto “le premesse per far arrivare un aumento ancora più significativo nel 2024” quando potrebbe arrivare il rinnovo del Ccnl dell’ultimo triennio.
Il sondaggio della Tecnica della Scuola
Per il 50 per cento degli insegnanti gli aumenti previsti in busta paga da gennaio 2024 non sono sufficienti: per molti l’inflazione rimane comunque alta, e i 200 euro in più (derivanti da saldi e anticipi contrattuali, più dagli sgravi fiscali), vengono accolti con scetticismo, perchè non farebbero la differenza né colmerebbero il gap rispetto agli altri Paesi. I dirigenti scolastici, invece, credono che si tratti di una notizia positiva. Le indicazioni arrivano da un sondaggio nazionale realizzato dalla testata giornalistica specializzata La Tecnica della Scuola, che ha coinvolto oltre mille lettori.
Ricordiamo che tra dicembre 2023 e gennaio 2024 i dipendenti scolastici dovrebbero percepire circa 200 euro in più al mese, derivanti dal residuo del rinnovo contrattuale 2019/21 (quasi 20 euro lordi medi), dal taglio ulteriore del cuneo fiscale (almeno 60-70 euro a testa), confermato nella manovra di bilancio 2024 per chi riceve stipendi bassi (una costante nella scuola), dall’accorpamento delle prime due aliquote Irpef, sino al via libera per un’indennità di vacanza contrattuale maggiorata, per combattere l’inflazione pari a circa altri 100 euro medi, da applicare sino a quando non si arriverà alla definizione del Ccnl 2022/24.
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