L’avvocato Malinconico, una figura ben riuscita della fiction

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di Aldo Grasso

Non era facile trasporre in immagine la prosa pop di Diego De Silva: bravo Massimiliano Gallo, ma anche regista, sceneggiatori e comprimari

La figura dell’avv. Vincenzo Malinconico è una delle più riuscite della recente produzione della fiction Rai. Non era facile trasporre la prosa pop di Diego De Silva in immagine, con tutte quelle sfumature, quei rimandi, quella carica di amara ironia che ha saputo dare vita a un personaggio precario alle prese con la precarietà della vita: famigliare, professionale, economica, insomma esistenziale.

Bravo Massimiliano Gallo (figlio d’arte, suo padre era il cantante Nunzio), bravi gli sceneggiatori, bravi i comprimari, bravo il regista Alessandro Angelini. Distratto casualmente dai suoi pensieri, dalle sue allucinazioni (ha persino un incontro con Carlo Masserini, Mister Fantasy), dalle sue insicurezze, nella prima puntata della serie «Vincenzo Malinconico, avvocato di insuccesso» (Rai1) viene chiamato d’ufficio a difendere un certo Mimmo ‘O Burzone, squallido macellaio di camorra su cui pende l’accusa di fare a pezzi cadaveri scomodi e smaltirli con radicata nonchalance. In realtà, è Malinconico che deve difendersi dalla sua (dalla nostra) inadeguatezza.

A volte non basta evitare i pericoli, imbellettarli con riflessioni che ci paiono filosofiche, abbandonarsi ai grandi temi pur di sottrarsi a quelli quotidiani, rifugiarsi nell’ironia: «Ho un figlio che ha la fissa della criminologia. Ma va fa’ un c… a me che gli ho fatto conoscere Saviano». L’aspetto più interessante è che la fiction riesce a non disperdere l’artificio retorico del flusso di coscienza, che permette a Malinconico sia di riflettere sulle sue azioni, iscrivendosi fatalmente al club degli indecisi, sia di farsi prendere in giro dalle cose che gli capitano.

Per questo appare sempre fuori posto, soprattutto in tribunale; per questo soffre di un disturbo morfosintattico (quando abbiamo difficoltà a organizzare la struttura della frase e invertiamo le parole); per questo quando si decide a sfidare la sorte trova preferibilmente quella cattiva.

20 ottobre 2022 (modifica il 20 ottobre 2022 | 20:27)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-10-20 18:48:00,

di Aldo Grasso

Non era facile trasporre in immagine la prosa pop di Diego De Silva: bravo Massimiliano Gallo, ma anche regista, sceneggiatori e comprimari

La figura dell’avv. Vincenzo Malinconico è una delle più riuscite della recente produzione della fiction Rai. Non era facile trasporre la prosa pop di Diego De Silva in immagine, con tutte quelle sfumature, quei rimandi, quella carica di amara ironia che ha saputo dare vita a un personaggio precario alle prese con la precarietà della vita: famigliare, professionale, economica, insomma esistenziale.

Bravo Massimiliano Gallo (figlio d’arte, suo padre era il cantante Nunzio), bravi gli sceneggiatori, bravi i comprimari, bravo il regista Alessandro Angelini. Distratto casualmente dai suoi pensieri, dalle sue allucinazioni (ha persino un incontro con Carlo Masserini, Mister Fantasy), dalle sue insicurezze, nella prima puntata della serie «Vincenzo Malinconico, avvocato di insuccesso» (Rai1) viene chiamato d’ufficio a difendere un certo Mimmo ‘O Burzone, squallido macellaio di camorra su cui pende l’accusa di fare a pezzi cadaveri scomodi e smaltirli con radicata nonchalance. In realtà, è Malinconico che deve difendersi dalla sua (dalla nostra) inadeguatezza.

A volte non basta evitare i pericoli, imbellettarli con riflessioni che ci paiono filosofiche, abbandonarsi ai grandi temi pur di sottrarsi a quelli quotidiani, rifugiarsi nell’ironia: «Ho un figlio che ha la fissa della criminologia. Ma va fa’ un c… a me che gli ho fatto conoscere Saviano». L’aspetto più interessante è che la fiction riesce a non disperdere l’artificio retorico del flusso di coscienza, che permette a Malinconico sia di riflettere sulle sue azioni, iscrivendosi fatalmente al club degli indecisi, sia di farsi prendere in giro dalle cose che gli capitano.

Per questo appare sempre fuori posto, soprattutto in tribunale; per questo soffre di un disturbo morfosintattico (quando abbiamo difficoltà a organizzare la struttura della frase e invertiamo le parole); per questo quando si decide a sfidare la sorte trova preferibilmente quella cattiva.

20 ottobre 2022 (modifica il 20 ottobre 2022 | 20:27)

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