di Marta Serafini
Il racconto dell’assedio di Mariupol e la fuga dalla città per mettere in salvo la propria famiglia. «Ora stanno torturando i miei fratelli»
DALLA NOSTRA INVIATA
Zaporizhzhia – «Lui ora lo stanno torturando e gli stanno strappando le unghie. Lui invece è morto. Lui è tornato come me. Di lui invece ne ho perso traccia da un mese. A lui invece hanno sparato cinque proiettili nella gamba». Robert K. ha meno di trent’anni. E’ un militare del battaglione d’Azov. Apre il telefono, mostra un’immagine. Un gruppo di sei ragazzi in divisa. Sono i suoi compagni. Erano i suoi compagni. «È l’ultima foto che ci siamo fatti tutti insieme».
Robert ha gli occhi azzurri, i capelli ricci, meno di 30 anni. «Dopo aver combattuto in Donbass ho lasciato la mia città, facevo sicurezza privata. Poi a febbraio sono tornato con il battaglione». Seduto in un bar di Zaporizhzhia racconta la sua storia. Ma prima di iniziare chiede: «Sono ancora in servizio, quindi non pubblicate il mio nome per intero».
Quando ha lasciato Mariupol?
«E’ stato il 15 di marzo. Il comandante ci ha detto: avete due opzioni, o restate e combattete fino alla fine. O andatevene vestiti da civili, se volete salvarvi. Io avevo la mia famiglia dentro. Erano chiusi in uno scantinato da settimane senz’acqua e senza cibo. Dovevo metterli in salvo. E dovevo salvare me stesso».
Cosa era successo nelle settimane precedenti?
« I russi hanno mandato in avanti gli ucraini che erano riusciti ad arruolare. Li hanno usati per individuare le nostre posizioni, come carne da macello. Poi hanno iniziato a bombardare. Artiglieria e aerei. Ogni mezz’ora. Colpivano di tutto, obiettivi civili, militari, non importava».
Quale era il vostro compito?
«Avevamo l’ordine di proteggere la popolazione. E evacuare il più alto numero di civili possibile. Erano tutti terrorizzati. Dalle bombe ma anche dalla voce che in città stessero arrivando gli uomini di Kadyrov. Inoltre c’erano tre navi russe piazzate nella baia. Dal 10 marzo sono iniziati i corridoi ma i russi bombardavano anche quelli».
Quando avete capito che le cose si stavano mettendo davvero male?
«Quando i russi sono entrati dentro il distretto 17. Ci siamo asserragliati dentro l’ospedale numero 2 per proteggere i civili. I chirurghi operavano sotto i bombardamenti. C’erano anche dei giornalisti e dei fotografi che abbiamo aiutato a scappare. Un deputato ucraino della città anziano è venuto da noi. Lo mandavano i russi. “Arrendetevi”, ci ha detto”. Poi hanno fatto irruzione nell’ospedale e hanno sparato ai militari feriti nei loro letti»
Quando ha deciso che era il momento di lasciare?
«Mentre eravamo diretti alla base, i russi con i droni hanno individuato il punto esatto e l’hanno bombardata. Solo per un caso non c’era dentro nessuno. Ma hanno distrutto tutti i nostri rifornimenti, non avevamo più niente. Armi, cibo. Poi hanno bombardato l’obitorio. Era pieno di cadaveri fino al soffitto. Te lo immagini? Fino al soffitto. I pezzi dei corpi sono finiti ovunque. Mariupol, la mia città, era diventato l’inferno».
Come ha fatto a mettere in salvo la sua famiglia?
«Quando il comando ci ha lasciato liberi di scegliere sono corso da loro. Erano stravolti, non dormivano da giorni. Ho detto: abbiamo un’ora di tempo. Mi sono tolto la divisa e siamo partiti con un convoglio di auto. Lungo la strada verso Zaporizhzhia abbiamo passato 14 checkpoint russi. Ci hanno fermato 20 volte».
Non aveva paura di essere riconosciuto?
«Sì, è stata solo fortuna. Controllavano i tatuaggi. Ne ho uno sulla spalla destra. Ma non l’hanno visto perché guardavano solo il petto e le braccia. Una volta mi hanno portato fuori dalla macchina e mi hanno messo con la faccia al muro. Pensavo fosse finita. Invece no, mi hanno preso il telefono, ma avevo tolto tutto. Foto, numeri di telefono».
Dove si trova ora la sua famiglia?
«Prima siamo stati a Leopoli ospiti di un amico. Ora loro sono all’estero. Ma io sono tornato per combattere due settimane fa».
Cosa prova di fronte alle immagini dei suoi compagni che si sono arresi ai russi dopo l’assedio dell’Azovstal? Pensa che torneranno indietro?
«Ho parlato con molti di loro fino a cinque giorni fa. Alcuni, per me, sono come fratelli. Hanno vissuto l’inferno e ora è anche peggio probabilmente. Ma sono sicuro che torneranno indietro. Il bene deve vincere sul male.
Robert distoglie lo sguardo. Un suo compagno si avvicina al tavolo. E’ ora di andare.
Si è pentito di aver lasciato Mariupol?
«No, perché ho messo in salvo i miei cari. E ora posso tornare a combattere e vendicare i miei compagni».
21 maggio 2022 (modifica il 21 maggio 2022 | 23:20)
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, 2022-05-21 21:51:00, Il racconto dell’assedio di Mariupol e la fuga dalla città per mettere in salvo la propria famiglia. «Ora stanno torturando i miei fratelli», Marta Serafini