Prima la pandemia covid e poi la guerra. Sono i motivi che hanno portato alunni e studenti della scuola italiana ad affrontare depressione, ansia e autolesionismo. Un momento critica della nostra società che sta avendo ripercussioni pesanti su bambini e ragazzi.
“A scuola seguo da vicino gli alunni della materna, delle elementari e delle medie. Ma seguo anche quelli più grandi, fuori da scuola, e posso dire che vivono stati di ansia generalizzata, si tratta di forme di ansia che prima restavano sotto traccia. Ora invece esplodono. L’ansia è cresciuta in maniera esponenziale ed è legata alla paura della perdita, della morte dei genitori ad esempio. Il distanziamento ha amplificato tutto questo. Senza contare le manifestazioni più insolite“, racconta a Il Messaggero la psicologa Mirella Rossi.
Ci sarebbero fra i vari sintomi degli alunni, ad esempio, “quella del bolo isterico: i ragazzi sentono come un blocco in gola, all’altezza della mandibola, che non gli permette di deglutire. Oppure c’è chi non sopporta la sciarpa, si sente soffocare e non la vuole indossare per non sentirsi fasciato“.
Certamente la situazione risente “dell’effetto della mascherina, vogliono sentirsi liberi senza più niente sul viso. I ragazzi in classe sono stati anche 8 ore con la mascherina. Ora hanno bisogno di recuperare le vecchie abitudini con serenità“.
Secondo l’esperta, dunque, molti bambini ed adolescenti sono depressi: “sono tutte forme depressive e riguardano anche i ragazzi più grandi. Vivono purtroppo l’ansia con atti di autolesionismo: si procurano delle ferite, dei tagli per entrare in contatto con il loro corpo. Inoltre hanno perso la socialità“.
Tanto che, aggiunge Mirella Rossi, “manifestano una forte resistenza ad uscire di casa. I ragazzi delle scuole medie e superiori sono stati bloccati in casa nel momento in cui, invece, dovevano iniziare ad uscire, praticamente nella fase del gruppo dei pari. Quel momento è stato castrato“.
E qui si intreccia il ruolo sempre più invadente dei social: “Hanno usato il computer per studiare e fare scuola ma anche per giocare con i social e i videogiochi. Prima andava bene ma purtroppo questa abitudine è rimasta. Molti di loro devono ancora recuperare“.
Tutto ciò ha anche evidenziato, ovviamente, ripercussioni anche a livello didattico: “Studiare da soli, a distanza, non è la stessa cosa. E’ cambiata anche l’ acquisizione delle competenze cognitive. Andrebbero letti diversamente anche i test per i bambini con i disturbi cognitivi perché l’apprendimento non è stato regolare“.