Dopo il no di Laura Pausini, e la posizione di Matteo Salvini, ricostruiamo la storia di un motivo simbolo dei partigiani. Che però, forse, non fu mai cantato durante la guerra.
Bella ciao è una canzone comunista? E Laura Pausini è una cantante di destra? Domande apparentemente oziose, se non fosse che una nazione si nutre anche della propria storia e dei suoi simboli, come insegna la lezione di Carlo Azeglio Ciampi, che rilanciò l’inno di Mameli e la bandiera tricolore. La questione è nota. La cantante, in una trasmissione spagnola, blocca i colleghi che vogliono omaggiare l’Italia cantando Bella Ciao: «No, no, no, no. Es una canción muy política y yo no quiero cantar canciones políticas».
Detto che Pausini può liberamente cantare quello che preferisce (anche per questo sono morti i partigiani), è interessante la motivazione che adduce poi su Twitter, dopo le polemiche: «Io non canto canzoni né di destra né di sinistra». Ancora più interessante l’intervento di Matteo Salvini, che va in sua difesa: «Io adoro Laura Pausini, non è che se uno non canta Bella ciao è un reietto, è una canzone che viene strumentalizzata, ed è sbagliato: la Liberazione dall’occupazione nazifascista è una conquista di tutti. A me piacciono coloro che non si allineano al politicamente corretto, lei fa la cantante, non è che deve schierarsi, deve essere ammirata per la sua voce».
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Torniamo alla domanda iniziale: Bella ciao è una canzone comunista? La storia della canzone è controversa. Non ci sono notizie certe sul fatto che venne effettivamente cantata durante la guerra. Giorgio Bocca disse che in venti mesi di guerra partigiana non la sentì mai (ma la cantarono al suo funerale). Fino agli anni ‘50 non ci sono citazioni scritte. La prima è del 1953, sulla rivista La Lapa, a cura di Alberto Maria Cirese. La vera notorietà arriverà solo nel 1959, quando venne cantata al festival di Spoleto. La canzone sarebbe una rielaborazione di una canzone popolare, ottocentesca, Fior di tomba. Ci sono storici come Cesare Bermani che sostengono che Bella Ciao ebbe una limitata diffusione anche durante la guerra, in particolare in Emilia, nella repubblica partigiana di Montefiorino (Modena), e fu adottata anche dalla brigata abruzzese Maiella. Ma ci sono solo testimonianze orali, senza alcuna controprova definitiva.
Detto questo, la percezione contemporanea di Bella Ciao è quella di un canto partigiano, molto frequentato a sinistra. La cantò Francesco Guccini, esplicitamente contro Meloni e Salvini. La cantò in tv Michele Santoro, in polemica contro Silvio Berlusconi. E proprio le dimissioni del Cavaliere furono salutate da canti di piazza con quella canzone. Dunque ha ragione Pausini? Sicuramente ha ragione quando dice che è una canzone «politica». Ma «politica» nel senso più alto del termine. Bella Ciao è stata adottata dall’Anpi, l’associazione nazionale partigiana, e da tutto l’arco democratico, per il 25 aprile, come simbolo della lotta contro il fascismo e della Liberazione.
Non è sempre stata una canzone di sinistra, vicina al Pci. Anzi. Il motivo più vicino ai «rossi» era Fischia il vento, con il Sol dell’Avvenire. Per molti anni è stata percepita come la canzone della resistenza tout court. Come scriveva su Famiglia Cristiana Orsola Vetri: «Chi scrive ricorda che in pieni anni ‘70 la insegnavano le maestre a scuola insieme ad altre canzoni regionali (Romagna mia) o storiche (La leggenda del Piave). La si cantava con i nonni durante le passeggiate in montagna. Oppure la si urlava accompagnata dalla chitarra con i capi scout dell’Agesci intorno al fuoco di bivacco».
Se Bella Ciao è da considerare di sinistra perché negli anni è sempre più stata cantata in quegli ambienti, allora Il cielo è sempre più blu, adottata dai comizi salviniani e meloniani, deve essere irrimediabilmente considerata di destra? Rino Gaetano, come abbiamo scritto in questi giorni, non sarebbe affatto d’accordo. Ma la sua canzone, con la sua storia e le sue parole («Chi mangia una volta, chi vuole l’aumento / Chi cambia la barca, felice e contento»), resta lì a dimostrare l’apartiticità: regalarla a destra non avrebbe senso.
Non solo. Il reuccio Claudio Villa la inciderà nel 1974. E l’anno successivo sarà cantata al XIII congresso della Democrazia cristiana, per la conferma alla guida del Partito del partigiano Benigno Zaccagnini. Nel frattempo nel mondo viene cantata da Yves Montand, Pete Seeger, Mercedes Sosa, Manu Chao, Goran Bregović, Tom Waits. In Spagna era già famosa, anche perché la traduzione spagnola fu usata dalla rivoluzione cubana e tornò di moda nel 2017 con la serie La casa di Carta. Nel mondo diventa una canzone usata come inno alla libertà, contro ogni deriva autoritaria. Scriveva sul Corriere Aldo Cazzullo a luglio: «Va detto che quando da ragazzi sulle Langhe cantavamo Bella ciao, non eravamo neppure sfiorati dall’idea di fare un gesto politico, tanto meno ideologico. Bella ciao non era «una cosa di sinistra. Era un canto di liberazione, quindi di libertà. La guerra era finita da non molto tempo, la memoria era viva, ascoltavamo i ricordi dei nonni. Prima si bruciavano i paesi, si mandavano gli ebrei ad Auschwitz, si fucilavano i partigiani contro il muro del cimitero per fare prima; poi i paesi si ricostruivano, nascevano industrie di successo mondiale, si pubblicavano libri come «La tortura di Alba e dell’Albese»; l’autore non era un comunista, era il vescovo. Non solo abbiamo un’idea sbagliata del Duce, abbiamo un’idea sbagliata anche della Resistenza».
Ma quando è successo che Bella Ciao è diventata di sinistra? Quando l’Italia ha cambiato direzione. Durante gli anni ‘60-’70 e ‘80 i due grandi partiti, Dc e Pci, condividevano un’impostazione antifascista. Nel ‘94, quando nacque il primo governo Berlusconi, Forza Italia aveva un’inclinazione liberale e la Lega di Umberto Bossi, che si proclamava né di destra né di sinistra, aveva una forte impronta antifascista. Poi qualcosa è cambiato. Il centro si è dissolto. Forza Italia ha abbandonato la sua impostazione liberale. Il centrodestra è diventato destra. Bella Ciao è finita nelle ridotte della sinistra. Raccontava qualche tempo fa Cisco, dei Modena City Ramblers: «Nel 2002, con Berlusconi al governo, al concerto del Primo Maggio ci hanno chiesto di non suonare Bella ciao. L’abbiamo fatta lo stesso».
A meno di non pensare che l’antifascismo sia una cosa di sinistra, che i partigiani fossero tutti comunisti, che il fascismo abbia fatto comunque cose buone, non c’è ragione per non cantare tutti insieme Bella Ciao. Naturalmente nessuno è obbligato a farlo e, come scrive Massimo Gramellini nel suo Caffè, è sempre sbagliato mettersi a misurare il tasso di ideologia degli interlocutori. Ma spiegare di non farlo perché è una canzone «politica», significa non volersi schierare tra antifascismo e fascismo. Se non è un riposizionamento elettorale, è comunque l’equivoco di chi, cercando di raggiungere l’equidistanza tra i partiti alle urne, finisce per non scegliere simbolicamente tra libertà e tirannia.
Questo testo è stato pubblicato per la prima volta sulla newsletter del Corriere dedicata alle elezioni: si intitola Diario Politico, è gratuita, e ci si iscrive qui
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15 settembre 2022 (modifica il 15 settembre 2022 | 14:35)
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, 2022-09-15 12:50:00, Dopo il no di Laura Pausini, e la posizione di Matteo Salvini, ricostruiamo la storia di un motivo simbolo dei partigiani. Che però, forse, non fu mai cantato durante la guerra. , Alessandro Trocino