Benedetta Tobagi: «Che fate senza di noi? E le donne presero le armi»

Benedetta Tobagi: «Che fate senza di noi? E le donne presero le armi»

Spread the love

di Alessandra Sarchi

La scrittrice e storica, figlia del giornalista assassinato dai terroristi dalla Brigata XXVIII marzo, rievoca la Resistenza, quando per la prima volta germogliò l’idea collettiva di «poter essere qualcuno» e le donne pretesero di partecipare alla lotta partigiana

Con La resistenza delle donne, Benedetta Tobagi affronta, con la medesima intima partecipazione e lo stesso rigore storico applicato al racconto dello stragismo dei suoi precedenti libri, la presenza femminile dopo l’8 settembre, quando «nello sconquasso dell’Armistizio con gli alleati sulle macerie del Ventennio, il paese si spacca e le donne irrompono sulla scena».

Qual è la portata di questa irruzione?

«È una cesura epocale. Anche se molte protagoniste — col tipico understatement femminile!—ripetono per decenni di non aver fatto nulla di speciale, “solo quel che c’era da fare”, con la Resistenza le donne entrano in massa, da protagoniste, nella grande Storia. Il primo atto è il cosiddetto maternage di massa, quando si impegnano spontaneamente a nascondere, rivestire emettere in salvo i soldati che rischiano di finire nei lager se rifiutano di combattere coi nazifascisti: la più grande operazione di salvataggio collettivo della nostra storia, e le donne, a differenza degli inglesi a Dunkirk, non le aveva convocate nessuno. Le donne si impegnano poi nella Resistenza in moltissimi modi e ruoli, anche se non hanno veri e propri modelli alle spalle. Fa sorridere che una partigiana, Wilma De Paris, dicesse all’amica Tina Merlin, quasi per farsi coraggio: “Non siamo matte e non siamo le prime, hai presente Anita Garibaldi?”».

«QUELLO DELLE DONNE NELLA RESISTENZA È UN PASSATO NUTRIENTE, UN ANTIDOTO ALLA RASSEGNAZIONE. QUELL’ENERGIA RIVOLUZIONARIA LA VEDIAMO ANCORA»

La partecipazione delle donne alla vita politica e alla Resistenza non nasce dal nulla. Che cosa l’aveva preparata e che cosa rese possibile che l’aggregazione diventasse trasversale tra classi sociali e livelli di istruzione diversi?

«Le radici di un impegno femminile popolare, se non ancora di massa, si trovano nella tradizione di lotte politiche e sindacali di matrice anarchica, socialista e poi comunista, che da fine Ottocento coinvolsero molte donne tra le operaie e le mondine soprattutto, su cui s’innesta la militanza antifascista in clandestinità. Accanto a dirigenti straordinarie come Camilla Ravera e Teresa Noce, troviamo una schiera di donne che spesso non hanno nemmeno la licenza elementare, ma si rivelano straordinarie alla prova dei fatti, e dopo il ’43 portano in dote alla Resistenza il loro patrimonio d’esperienze; Bianca Guidetti Serra raccolse le testimonianze di molte di loro nel volume Compagne, pubblicato nel 1977: sono storie pazzesche!».

Dedica il libro alle antenate, alle partigiane e alle migliaia di donne che contribuirono alla Resistenza, ma anche alle studiose che ne hanno raccolto le memorie. Quali sono stati i modelli e la tradizione di studi di riferimento?

«La resistenza delle donne è stata anche uno scontro tra il silenzio e la voce, e la sua stessa storia, nel Dopoguerra, sprofonda in larga parte nell’oblio, come se la guerra di Liberazione fosse stata solo una faccenda di maschi in armi. Il suo recupero sarà un’impresa condotta in larga parte dalle donne per le donne. Ci si dedicano le stesse ex partigiane e poi diverse generazioni di studiose. Gli Anni Settanta sono un punto di svolta, la diffusione della storia orale, che vuole dar voce ai senza voce, e la crescita del movimento femminista si traducono in opere come La Resistenza taciuta, del ’76, che è appunto quella delle donne, basata sul racconto antiretorico e senza peli sulla lingua delle protagoniste. Poi studiose come Anna Bravo che hanno “fatto scuola”, i grandi programmi di ricerca degli Anni Novanta che raccolgono centinaia di testimonianze: un patrimonio prezioso a cui ho potuto attingere per questo mio lavoro. L’attenzione e l’empatia di giovani ricercatrici fa sì che donne stuprate dai nazisti, dopo decenni di silenzio, ne parlino per la prima volta con loro… Volevo rendere omaggio a queste studiose».

Riguardo al maternage, al sentirsi madri di una nazione anche senza magari esserlo dal punto di vista biologico, dal libro emerge l’ambiguità del ruolo materno esteso su vasta scala e una sua marginalizzazione una volta terminata la guerra. Cosa è successo a queste “madri” dopo la Liberazione?

«Scanso equivoci, chiariamo che il maternage è solo un aspetto. Le donne si conquistano il diritto di portare le armi, stare in banda, e anche quando coi Gruppi di difesa si occupano di logistica o cucine, dicono ai compagni: “Voi senza di noi non fate niente”. In quei venti mesi quindi “scardinano” i ruoli tradizionali, ma dopo il 25 aprile, se il fascismo è finito, il patriarcato invece è ancora in gran forma e, anche se le donne conquistano il diritto di voto, cerca subito di ricacciarle indietro, tra le mura di casa. Come disse Ada Gobetti: “Incominciava un’altra battaglia: più lunga, più difficile, più estenuante, anche se meno cruenta”. E non è finita».

La Resistenza fu un momento in cui le donne acquisirono a livello collettivo una consapevolezza nuova di ciò che potevano essere?

«Da innumerevoli testimonianze affiora l’esperienza entusiasmante di una libertà mai vissuta, un senso di liberazione e riscatto personale, dentro quello collettivo, mentre germoglia il sentimento di poter “essere qualcuno”, come dice Rosa Biggi, la staffetta Nuvola: un soggetto con un’identità e un valore, a prescindere dai ruoli di madre, moglie o figlia. Maturano una consapevolezza e un uso del corpo del tutto nuovi: per esempio ostentando ad arte seduttività, fragilità o isteria per far fessi i nazifascisti, facendo leva sugli stereotipi in cui erano ingabbiate da secoli. Scoprono la fisicità degli uomini, sperimentano l’eros: eccitante e perturbante, per la loro educazione repressiva e pudibonda!».

A chi vuole parlare questo passato così recente eppure già lontano?

«È un passato “nutriente”, un antidoto al cinismo e alla rassegnazione. Le donne sanno essere portatrici di un’energia rivoluzionaria, lo vediamo in tutti gli angoli del mondo, dall’Iran all’America Latina, lo vediamo in queste nostre “antenate”: lasciamoci ispirare!».

23 novembre 2022 (modifica il 23 novembre 2022 | 07:23)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-11-24 08:28:00, La scrittrice e storica, figlia del giornalista assassinato dai terroristi dalla Brigata XXVIII marzo, rievoca la Resistenza, quando per la prima volta germogliò l’idea collettiva di «poter essere qualcuno» e le donne pretesero di partecipare alla lotta partigiana, Alessandra Sarchi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.