di Paolo Tomaselli, inviato a Doha
I c.t. «a sorpresa» agli ottavi: Bento (Corea del Sud), Moriyasu (Giappone), Berhalter (Usa) e Arnold (Australia). Squadre da prendere sul serio
Arrivano da ogni angolo del mondo, ma hanno una cosa in comune: nessuno li ha mai presi veramente sul serio. Adesso però sarà meglio non sottovalutare questo piccolo contingente di gregari che si affaccia in terre sconosciute. Nessuno ci credeva, loro sì: il coreano Kim Young-gwon a Russia 2018 aveva fatto fuori la Germania, ma non era servito per passare il turno. Stavolta sì. Il suo c.t. Paulo Bento, ha battuto il Portogallo che aveva allenato con esiti rivedibili per quattro anni: con questa qualificazione riscatta una carriera da giramondo in cerca di un perché.
Arrivare agli ottavi, inutile girarci attorno, per molti è un punto di arrivo. Certo, ci sono giocatori affermati, come il coreano Son del Tottenham di Conte e il suo compagno Kim del Napoli; i senegalesi del Chelsea, Koulibaly e Mendy e i loro compagni di squadra Pulisic, stella degli States e Ziyech del Marocco, così come Hakimi del Psg. La maggior parte gioca in Europa e anche per questo lo scarto con le presunte grandi nazionali si assottiglia sempre di più.
Tutti e sei gli allenatori di Stati Uniti, Australia, Senegal, Giappone, Marocco e Corea — le squadre che hanno riscritto la geografia del Mondiale più globale di sempre — sono ex calciatori e a parte il giapponese Moriyasu tutti hanno giocato o allenato all’estero, assorbendo altre culture calcistiche. Anche se tutto il mondo è paese, perché se non avesse superato il turno dopo il successo iniziale con la Germania, Moriyasu sarebbe stato cacciato senza troppe cerimonie (il sogno a Tokyo resta Bielsa). A inizio Mondiale si era fatto notare perché aveva detto di temere Thiago Alcantara della Spagna, che però non era stato convocato: la Ro ja però l’ha battuta lo stesso e ora se la vedrà con la Croazia.
Gregg Berhalter (Usa) oggi sfida l’Olanda, dove arrivò a 28 anni (giocando per sei stagioni) «come uno studente» ha detto ieri, in vista della sfida agli Oranje di stasera, il vero esame per la sua squadra di giovani rampanti, un po’ naif come sempre, ma dalle spalle larghe. Tra di loro c’è anche il 19enne Musah, oggi al Valencia di Gattuso e seguito dall’Inter: è nato nel Bronx, ma è cresciuto a Castelfranco Veneto e poi ha spiccato il volo verso l’Arsenal, senza dimenticare l’italiano.
Graham Arnold, c.t. australiano, è rimasto orfano di entrambi i genitori a 24 anni e per seguire il percorso del padre allenatore si è costruito una corazza mentale che lo ha portato a giocare 54 partite in Nazionale e a farsi scivolare di dosso tutte le critiche e le richieste di dimissioni durante l’avventurosa qualificazione, arrivata ai rigori con il Perù.
È un eroe nazionale e alle ore 20 di sabato 3 dicembre proverà a fermare Messi con la sua truppa di attivisti (Irvine del St Pauli), ex elettricisti (Duke, autore del gol alla Tunisia, gioca nella B giapponese), rifugiati (Mabili, nato e cresciuto nel campo profughi di Kakuna in Kenia) e anche gente che in Australia non aveva mai messo piede prima di scoprire la Nazionale (Souttar).
Poi ci sono i due opposti africani: Walid Regragui del Marocco è arrivato da neanche tre mesi, ma è riuscito a gestire le grandi aspettative riposte sui figli della diaspora (14 nati all’estero, compreso Cheddira del Bari). Del resto in patria lo paragonano a Zidane, forse per la pelata. Cissé, gloria del Senegal, invece è il più longevo, capo allenatore dal 2015 dopo tre anni da vice. I suoi dreadlocks non sono casuali: «Mi ispiro a Bob Marley quando alleno, lo ascolto da sempre». Anche senza Sadio Mané, gli inglesi sono avvertiti: qui c’è gente che conosce la fatica, ma sa come divertirsi.
3 dicembre 2022 (modifica il 3 dicembre 2022 | 07:36)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, 2022-12-03 17:15:00, I c.t. «a sorpresa» agli ottavi: Bento (Corea del Sud), Moriyasu (Giappone), Berhalter (Usa) e Arnold (Australia). Squadre da prendere sul serio, Paolo Tomaselli, inviato a Doha