di Roberto GressiLe mosse per costituire un gruppo che metta in sicurezza il governo. Riflettori anche su Forza Italia. La distanza di Carlo Calenda Quando l’allievo è pronto il maestro arriva. Siamo abituati ad associare questa massima Zen ai film di Kung Fu degli anni Settanta, ma in politica vuol dire qualcosa di più. Le elezioni amministrative, che tutt’ora oppongono centrodestra e centrosinistra, ci dicono però che le fibrillazioni sono tante e che è perlomeno improbabile che tutto finisca così come è cominciato, ma piuttosto che il volgere al tramonto della legislatura ci riservi delle sorprese, tanto più con il capitale elettorale dei Cinque Stelle in libera uscita. Un perno c’è giàTempo di grandi manovre al centro, con l’obiettivo di difendere l’ultimo anno al governo di Mario Draghi e fare in modo che non sia l’ultimo. Un perno c’è già, con Carlo Calenda e Emma Bonino, e intorno a loro orbita una galassia di liste civiche. Ma all’orizzonte appare un altro Beppe ad agitare la politica italiana. Tanto il primo (Grillo) è onirico o velleitario, a seconda delle letture, tanto l’altro (Sala) è pragmatico, e pare deciso a costruire una forza liberal democratica e ambientalista. Certo, non da solo. Il sindaco di Milano e Luigi Di Maio si parlano, oh se si parlano. Per Sala è fondamentale che si costituisca in Parlamento, qui e ora, un gruppo di deputati e senatori che metta in sicurezza il governo, al riparo dalle oscillazioni di Giuseppe Conte e Matteo Salvini. Perché il calo di consensi di Cinque Stelle e Lega ha fatto scoprire il nocciolo e i due partiti rischiano di esplodere. Un asseUn asse quindi tra il sindaco e il ministro degli Esteri, per calamitare non solo l’area non massimalista dei grillini ma anche l’arcipelago governista di Forza Italia, a cominciare da Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, e la componente Verde, oltre alle donne e agli uomini di buona volontà che volessero misurarsi con la sfida, ora e alle prossime elezioni. Anche Matteo Renzi parrebbe pronto a essere della partita, ma con autoironia si tiene distante per non danneggiare il tentativo. Ma ci sono delle condizioni, per Sala. La prima è che il sindaco non può e non vuole lasciare Milano, che lo ha scelto di nuovo meno di un anno fa, esposta all’instabilità del voto anticipato. L’altra è che non crede al fai da te, non pensa a un polo autonomo, ma a una formula che aiuti il centrosinistra contro populisti e sovranisti, alleandosi almeno nei collegi uninominali. La resistenza del PdBeppe Sala sa che il più duro da convincere è proprio il Pd, perché non capisce il senso dell’operazione, la vede come una sfida e non come un’occasione per allargare l’area del consenso. Altri stanno alla finestra. Mara Carfagna, si dice, osserva con piacere l’interesse di altri sulla sua persona, ma non si sente coinvolta in alcun altro progetto e resta concentrata sul suo lavoro di ministra in quota Forza Italia. Così come solo al governo pensa Mariastella Gelmini. M5S tra il 5 e l’8 per cento Ma eccolo Luigi Di Maio. È a un passo dall’aver perso ogni speranza che all’interno del Movimento ci sia ancora qualcosa da fare. È convinto che il partito del miracolo del 2018 navighi adesso tra il 5 e l’8 per cento, non ha ancora deciso se salpare per altri lidi ma per ora si prepara a combattere, in completa sintonia con Sala, quella che ritiene la madre di tutte le battaglie: il confronto in Parlamento sul sostegno all’Ucraina, cartina di tornasole della tenuta del governo. Ed è proprio in vista del 21 giugno che sta parlando con tanti deputati e senatori, per scongiurare colpi di testa e di mano di Giuseppe Conte e impedire la presentazione di un documento contro Draghi. Proprio Conte, che sotto il suo governo ha fatto crescere e di molto la spesa per gli armamenti. Proprio Conte, pensa Di Maio, che sta ripetendo gli errori che ha fatto lui ai tempi dell’alleanza con Salvini. Ma il ministro degli Esteri può rivendicare di aver scritto un libro per pentirsi e che ora ha capito. Mentre l’amico Giuseppe si sta radicalizzando. E la previsione di Di Maio è che sarà proprio Beppe Grillo a fermarlo e a impedirgli di strattonare il governo. Ma vede anche che il no dell’Elevato al doppio mandato lascia Conte in balìa delle Erinni, impossibilitato ad arginare la fuga dal Movimento. Bar di Guerre stellari Né Di Maio né Sala credono che il loro percorso entrerà in sintonia con Carlo Calenda, troppo egocentrico. Né Calenda fa mistero di considerare la loro operazione una roba da bar di Guerre stellari: «Vogliono aggiungersi? Benvenuti. Vogliono far da soli? Tanti auguri. Piena stima per Sala, così come per tanti altri: Carfagna, Gelmini, Gori, Del Bono, Tinagli, Cottarelli. Ma per Di Maio no, l’uomo che flirtava con i gilet gialli non è credibile. I suoi errori hanno fatto danni enormi al Paese. E se ora è pentito ne tragga le conseguenze e si faccia da parte». Non ci crede, Calenda, a operazioni che considera autoreferenziali. Chiede che fine abbia fatto l’altro centro, quello con Renzi, Toti, Brugnaro e Mastella. E soprattutto non crede a una lista alleata con il Pd, perché punta a destrutturare i poli e a cambiare la classe dirigente. E poi, insiste, «Sala resta a fare il sindaco, Carfagna e Gelmini stanno in Forza Italia, di che parliamo?». 19 giugno 2022 (modifica il 19 giugno 2022 | 07:48) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-06-19 11:29:00, Le mosse per costituire un gruppo che metta in sicurezza il governo. Riflettori anche su Forza Italia. La distanza di Carlo Calenda, Roberto Gressi