Il ministro Giuseppe Valditara, nell’esprimere il cordoglio per la morte di Luigi Berlinguer, ha dichiarato, tra l’altro, che “ha lasciato una traccia importante”. Effettivamente l’ex-ministro dell’istruzione, Luigi Berlinguer, ha inciso notevolmente sul cambiamento della scuola italiana.
Tra i tredici ministri dell’istruzione che si sono succeduti nell’ultimo quarto di secolo al Palazzo della Minerva a Roma, Luigi Berlinguer è indubbiamente quello che, più di ogni altro, ha realizzato un sostanziale impianto riformatore nel nostro sistema d’istruzione.
Non tutte le sue proposte di riforma sono andate in porto, ma, di fronte a un paio di insuccessi, almeno tre riforme si sono concluse positivamente e tuttora, se pur con qualche integrazione sopravvenuta negli ultimi anni, caratterizzano il nostro sistema scolastico.
La prima riforma realizzata nel contesto della revisione istituzionale e costituzionale degli anni ’90 è quella dell’autonomia scolastica che trova tuttora nel DPR 275/1999 il suo Regolamento di attuazione e che Berlinguer aveva già anticipato con alcune brevi circolari emanate appena nominato ministro.
Una seconda riforma ha riguardato l’esame di maturità, introdotta dalla legge 425/1997, regolamentata con DPR 323/1998 ed entrata in vigore nel 1999.
Sostanzialmente la nuova struttura dell’esame di maturità (formalmente “esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore”) è quella attualmente in vigore, con le novità allora introdotte: crediti scolastici e crediti formativi, anticipo per merito, la votazione in centesimi, regole per i candidati esterni (privatisti).
Una terza riforma portata faticosamente a termine è stata quella della parità scolastica (legge 62/2000) che ha sancito, dopo mezzo secolo di dibattito culturale e ideologico, la nascita del sistema integrato di istruzione. Non indifferente per la riuscita della riforma è stato anche il contributo del sottosegretario Giovanni Manzini, ritenuto punto di riferimento delle scuole cattoliche.
Accanto a questi successi di considerevole portata, due proposte riformatrici non sono andate, invece a buon segno.
La prima ha riguardato il tentativo di ridurre la durata del percorso scolastico per consentire il conseguimento del diploma a 18 anni di età, come avviene nella maggior parte dei Paesi europei.
La scuola di base che avrebbe dovuto accorpare elementare e media (5+3=8 anni) prevedeva una durata di 7 anni, cioè un anno in meno. Venne osteggiata da famiglie e docenti e la proposta finì lì.
Una seconda riforma prevedeva congrui aumenti per la carriera dei docenti, assegnabili attraverso un particolare concorso, considerato da molti insegnanti astruso e iniquo, nonostante avesse trovato inizialmente il consenso dei sindacati. E la proposta non andò mai in porto.
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