di Paola Di Caro L’ex premier: «Non comanda Salvini, nessuno mi impone nulla. Chi lascia il partito? Ingrati senza seguito. Riposino in pace» «Non abbiamo nessuna colpa per quello che è successo, nessuna». Il giorno dopo, Silvio Berlusconi racconta al telefono la sua verità sul terremoto che in una settimana ha portato alle dimissioni di Mario Draghi che «non erano necessarie, perché noi non abbiamo votato contro, ci siamo solo astenuti. E abbiamo anche detto a lui, ancora nella mattinata di giovedì, che eravamo disponibili a riaprire alla Camera una discussione sul da farsi. Ma lui è stato irremovibile. E sa perché? Perché, diciamolo, si era stufato. Non ne aveva più voglia e ha colto l’occasione per andarsene…». Non vuole, il leader di Forza Italia, usare le parole che pure in tanti gli hanno sentito pronunciare nei lunghissimi vertici a Villa Grande che hanno partorito la decisione di non votare la fiducia al governo, come «ingrato, dopo tutto quello che ho fatto per lui, in questi mesi non faceva mai una telefonata. Solo quando gli serviva…». Al telefono, preferisce tagliare corto: «Non voglio dare giudizi su Draghi, non mi appartiene dare giudizi sulle persone. La questione è politica». E la freddezza dice molto. La responsabilità della crisi, insomma, è stata tutta, assicura il Cavaliere, nelle mani di Draghi. Oltre al M5S naturalmente, che «a differenza di noi che abbiamo responsabilità e che l’abbiamo sempre dimostrato, sono irresponsabili. Noi non siamo né populisti, né sovranisti, siamo liberali, siamo un partito che sta nel blocco atlantista e occidentale». «Il presidente del Consiglio — continua nella sua ricostruzione il leader azzurro — si è dimesso anche se non era stato sfiduciato, e tutti noi lo abbiamo pregato di ripensarci. Io ho sempre detto che sarebbe stato bene che il governo proseguisse nel suo lavoro fino a marzo, aprile… E per uscire dalle secche avevamo fatto la nostra proposta, poi presentata sotto forma di risoluzione che gli abbiamo anche letto: un nuovo governo senza il M5S e con alcuni nuovi ministri. Quali? Semplice, i 3 ministri e i 6 sottosegretari del partito di Conte». Insomma, nessuna richiesta sarebbe stata avallata da FI di un cambio radicale, che coinvolgesse ministri come Lamorgese e Speranza, quello che invece nel colloquio con Draghi aveva proposto Salvini. Ma appunto, il tentativo è caduto nel vuoto «e non per nostra colpa». E tantomeno per la pressione del leader leghista, del quale in tanti dicono sarebbe al traino: «Io non sono al traino di nessuno, mai». In alcune interviste concesse ieri ha usato toni duri contro l’alleato, come «io sono molto meglio di lui», ma ora sorride: «Ma no, ma no…». Poi si fa serio: «No guardi, non comanda lui. Con Salvini esiste sempre un colloquio franco, sincero, ma si decide insieme, nessuno mi impone nulla». E la decisione è stata appunto presa, giura Berlusconi, per l’intransigenza di Draghi. E le pressioni ignorate di Confalonieri e Letta perché non si provocasse la caduta del governo? «Io parlo sempre con tutti e tutti danno un contributo con il loro parere. Ma poi si decide, si fa una sintesi». E la sintesi, è la sostanza, la fa lui. Ora si guarda già al futuro, che già vede addii pesanti, come quelli di Gelmini e Brunetta: «Ingrati, irriconoscenti. Riposino in pace. Non sono abituato a commentare le decisioni di chi tradisce ed è senza prospettive e futuro, senza alcun seguito. Chiunque abbia lasciato FI non ha certo avuto un futuro politico, vadano dove vogliono». È tranchant il Cavaliere, in attesa dell’ufficializzazione dell’uscita anche di Mara Carfagna, e si dice invece pronto a spalancare le braccia a «chi vorrà venire con noi, se condivide i nostri valori». Quello che gli interessa, assicura, adesso è costruire il futuro. Tutti insieme, anche con «la signora Meloni», come la chiama. E racconta che non c’è stata concertazione con la leader di FdI per arrivare alla decisione di non votare per Draghi: «Con lei ci siamo sentiti quando Draghi ha deciso di non accettare la nostra risoluzione e ci vedremo presto per mettere a punto il programma, sul quale sto già lavorando da tempo e che sarà avveniristico, ma dovrà essere presentato tra il 12 e 14 agosto, c’è poco tempo», è un po’ il suo cruccio. Ma l’incontro servirà anche per decidere come presentarsi e con quale leader. E qui arriva una sorpresa. Alla domanda se potrebbe essere proprio la Meloni la leader della coalizione, e quindi la candidata premier se il centrodestra vincerà le elezioni, Berlusconi prima dice che «ne parleremo insieme, è una delle cose da decidere». Poi rivela: «L’idea che sta emergendo è che il leader venga votato da un’assemblea degli eletti. Una volta votato, potrebbero essere gli stessi parlamentari che sono stati eletti a riunirsi in Assemblea e votare il leader…». Un’ipotesi mai uscita finora, non esattamente tipica di FI dove le decisioni assembleari sarebbero una vera novità, un’idea tutta da valutare, che supererebbe quella finora adottata della candidatura alla premiership per il partito più votato. E dunque cambiare gli equilibri, perché non è detto che sommando i voti di FI e Lega non si superino quelli di FdI. In ogni caso una cosa la assicura l’ex premier: «Non ci sarà alcuna federazione tra noi e la Lega, Forza Italia correrà con il proprio simbolo, come il partito di Salvini e quello della Meloni, e ci saranno anche due liste di centro. E i sondaggi ci dicono che vinceremo la maggior parte dei collegi». Berlusconi lascia ancora un piccolo dubbio sulla sua candidatura. È tentato? «Vedremo, vedremo… È vero che in tanti mi dicono che vorrebbero che mi candidassi, continuano a chiedermelo… ». Se non è un annuncio, poco ci manca. Anche perché assicura che si spenderà in prima persona in campagna elettorale, che sarà in tivù, che tornerà pienamente sulla scena. Per «illustrare il programma». E dimostrare che FI — nonostante il passaggio drammatico vissuto — ha ancora un ruolo centrale nel centrodestra. 22 luglio 2022 (modifica il 22 luglio 2022 | 09:46) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-22 07:47:00, L’ex premier: «Non comanda Salvini, nessuno mi impone nulla. Chi lascia il partito? Ingrati senza seguito. Riposino in pace», Paola Di Caro