di Tommaso Labate
Il ruolo del figlio Pier Silvio nel ricucire il rapporto. Le «colombe» del partito rassicurate dalle ultime mosse Il segnale di Ronzulli. La fedelissima: «Il mio caso non è mai esistito All’Italia serve un governo al più presto»
ROMA – «Queste cose ce le lasceremo alle spalle. E tra pochi giorni avremo anche il governo, vedrete. Anche io vorrei che al Quirinale finissimo per andare tutti assieme, che cosa credete?». Alle sette e mezza di ieri sera, quando la telefonata con Giorgia Meloni è alle spalle e l’appuntamento per oggi nella sede di Fratelli d’Italia è fissato, Silvio Berlusconi avverte la necessità di tranquillizzare tutti quelli che attorno a lui stavano col fiato sospeso. Non i «falchi» del robusto fronte anti governista, pronti a non retrocedere rispetto alla situazione di stallo determinatasi dopo il caos della settimana scorsa. Ma gli altri, le «colombe», quelli che per quarantott’ore filate hanno lavorato a dipanare una matassa ingarbugliata e a rimuovere ostacoli che sembravano insormontabili.
Da Gianni Letta, rientrato nella tolda decisionale del berlusconismo, che si presenta a Villa San Martino sabato e non abbandona il fronte fino a che non si materializza la possibile via d’uscita dalla guerra con FdI; ai figli Marina e Pier Silvio, che si sono spesi perché il dialogo con la premier in pectore ripartisse da dove si era bruscamente interrotto prima che succedesse tutto, lo scontro di giovedì a Montecitorio, i voti mancanti per La Russa a Palazzo Madama, il foglietto con gli aggettivi riferito a Meloni, la risposta di lei «non sono ricattabile».
Addirittura, nel momento in cui sembrava che la trattativa non riuscisse a ripartire, ad alzare il telefono per contattare Meloni sarebbe stato l’ad di Mediaset, Pier Silvio, da sempre distante dalla politica attiva ma unito alla leader di FdI da una simpatia reciproca che in questo caso provoca malumori nel Pd («Perché i figli di Berlusconi entrano nella trattativa per la formazione del governo?», chiede il senatore dem Franco Mirabelli).
Nel tardo pomeriggio, quando il lavorio preliminare degli ambasciatori è andato a buon fine e Berlusconi accetta di sollevare una cornetta del telefono che gli sembra pesantissima, si inizia a intravedere la luce pure là dove tutto sembrava tremendamente complicato. «Anche io voglio chiarire con Giorgia», aveva ripetuto il Cavaliere a più riprese durante il weekend, forse ripensando alla durezza di quelle parole inserite in un appunto («Supponente», «prepotente», eccetera) finito nel teleobiettivo di un fotografo. Poi, però, c’è stato da inghiottire il boccone amaro di rinunciare persino al campo neutro di Montecitorio per dire sì alla condizione, voluta da Meloni, di ritrovarsi oggi nella sede di FdI, in via della Scrofa, in cui Berlusconi, in oltre un quarto di secolo, aveva messo piede sì e no mezza volta. Condizione accettata.
Dopo che Berlusconi e Meloni si sentono, i rispettivi staff danno il via libera all’annuncio. È la seconda partenza, tutto lascia presagire che sia quella buona ma non è affatto detto che lo sia per davvero. «È una vita che faccio trattative», s’era lasciato andare il Cavaliere nei giorni precedenti, prima che tutto precipitasse, prima che le pretese sull’assegnazione del ministero della Giustizia e su un ministero per Licia Ronzulli (che ieri dichiarava: «Il caso Ronzulli non è mai esistito e comunque non esiste più. L’Italia ha bisogno di avere un governo al più presto») si andassero a infrangere contro il niet di Meloni. Adesso si trova nelle condizioni di ricostruire il tavolo di cristallo andato in frantumi per poter, solo dopo, adagiarvi sopra l’ormai celebre carpetta di pelle.
C’è una regola d’ingaggio preliminare che gli ambasciatori dei due fronti hanno sottoscritto. Nessuna fuga in avanti da nessuno, niente dichiarazioni preliminari su pretese (lato Berlusconi) e veti (lato Meloni), caselle e ministeri. Per quello ci sarà spazio dopo, non prima. Berlusconi ha già dichiarato che la querelle sul ministero per Ronzulli è consegnata ormai al passato e che difficilmente riuscirà a imporre un esponente di Forza Italia per il ministero della Giustizia. Ma questa è la sostanza, che prenderà corpo solo se l’incontro di oggi andrà bene e potrà concludersi da una nota congiunta sottoscritta da entrambi i leader. Prima, ed è un terreno che il Cavaliere difficilmente abbandonerà, c’è la forma.
I bookmaker del centrodestra già scommettono sul possibile effetto speciale che l’ex presidente del Consiglio tirerà fuori come un asso dal taschino per regalare e regalarsi una photo opportunity che cancelli – o quantomeno oscuri – gli scatti della settimana scorsa, i foglietti con gli aggettivi, il «vaffa» affidato (ma non riferito) a La Russa. Più d’uno già lo immagina entrare con un mazzo di fiori a via della Scrofa, tanto per capirci. Per adesso resta l’ultimo messaggio, la notte prima dell’esame. «Queste cose ce le lasceremo alle spalle. E tra pochi giorni avremo anche il governo, vedrete».
17 ottobre 2022 (modifica il 17 ottobre 2022 | 07:36)
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, 2022-10-17 05:44:00, Il ruolo del figlio Pier Silvio nel ricucire il rapporto. Le «colombe» del partito rassicurate dalle ultime mosse Il segnale di Ronzulli. La fedelissima: «Il mio caso non è mai esistito All’Italia serve un governo al più presto», Tommaso Labate