di Gaia Piccardi, inviata a Malaga
Il romano a Malaga prima della semifinale col Canada: «Ci tenevo a partecipare. Sento un’energia speciale, vogliamo l’Insalatiera». Dal gioco a carte «Sequency» alla scaramanzia a cena e in doccia, tutti i segreti della Nazionale
MALAGA Se il segreto dell’Italia semifinalista in Coppa Davis dopo otto anni è nei dettagli, uno dei dettagli è alto 196 centimetri per 95 kg, non passa inosservato e ha intuizioni preziose per il gruppo. Matteo Berrettini, 26 anni, numero 6 del mondo lo scorso gennaio, oggi sceso in 16esima posizione dopo una stagione costellata di imprevisti (il Covid a Londra) e infortuni, è il quinto uomo all’inseguimento della forma che gli permetta di cominciare con il piede giusto (il problema nato a Napoli è proprio lì, sotto la pianta del piede sinistro) il 2023. Nel frattempo è qui a Malaga, tifa in panchina come il primo degli ultrà della compagnia dei celestini, si allena e dimostra di essere vivo, e di lottare insieme a noi. Del gruppo solido e coeso costruito in breve tempo da capitan Filippo Volandri, il c.t. fratello maggiore dei suoi ragazzi («So essere serio e scherzoso, autorevole e amichevole: mi relaziono con ciascuno di loro in modo diverso ma il minimo comun denominatore è la presenza costante nella vita tennistica di ciascuno» ci tiene a precisare), Berrettini è un perno prezioso anche quando non gioca titolare.
«Un anno e mezzo fa Filippo mi ha chiesto di far parte del nuovo progetto di Davis — racconta Matteo a Malaga —, alla cui base c’era un passaggio fondamentale: la creazione del gruppo. Quel gruppo è nato e cresciuto in breve tempo, contro gli Usa nei quarti lo abbiamo dimostrato, io ero in ritardo di preparazione per giocare le finali di Davis ma ci tenevo comunque a partecipare». Ragazzi, se mi volete vorrei esserci, ci tengo, ha scritto sulla chat comune. «Fare squadra è anche questo». Spiega che sta recuperando, che ogni allenamento va un po’ meglio, che il morale cresce giorno dopo giorno. Ma l’obiettivo di Berrettini è down under, dove paga subito una cambiale pesantissima agli Australian Open (a gennaio arrivò in semifinale): necessario sbarcare a Melbourne preparato. Qui a Malaga, se la forma sta tornando, manca la condizione agonistica: «E poi c’è una squadra forte, che sta benissimo e che ha battuto gli Usa. Io giocherei sempre, anche su una gamba sola, ma bisogna essere lucidi e pratici». Avanti contro il Canada, sabato in semifinale, Musetti, Sonego, Fognini e Bolelli, dunque, squadra che vince non si cambia, però Matteo aiuterà a preparare la sfida forte della sua esperienza: «Felix Auger Aliassime lo conosco benissimo, con Shapovalov ho sempre giocato match combattutissimi e il loro doppio, Pospisil e Shapovalov, è fortissimo: fanno coppia sin da bambini». Ci saranno anche le sensazioni di Berrettini, insomma, nella sfida che vale la finale di Davis. Una coppa riveduta e corretta, ma sempre Davis.
Cosa vuol dire fare squadra in uno sport individuale? Il Vangelo del gruppo secondo Matteo: «Siamo abituati a stare per conto nostro, la nostra indole ci impone di pensare a noi stessi. Fare gruppo richiede uno sforzo, ma quello sforzo vale sempre la pena farlo perché fa bene a tutti». E allora si scopre che Musetti è il deejay della squadra («Viaggia con la cassa, dove c’è musica c’è Lorenzo: la cosa buffa è che, pur essendo nato nel 2002, ascolta canzoni degli anni Settanta!»), che la sera si gioca a carte («Il gioco di chiama Sequency, io non sono capace, me lo stanno insegnando…»), che «Notte prima degli esami» di Venditti è stata usata come inno prima dell’inno vero, che la scaramanzia regna sovrana: si cena ciascuno al suo posto di combattimento e le medesime postazioni vengono mantenute in bus, nello spogliatoio, se è libera si usa anche la stessa doccia al palazzetto. «Squadra è mettere le proprie necessità in secondo piano rispetto a quelle della squadra» è la sintesi dell’ex leader, che non vede l’ora di riprendersi il ruolo.
In questo concetto così inclusivo di gruppo, nel tentativo di far sentire parte del team anche chi non c’è, pure Jannik Sinner (che a Malaga non è venuto nemmeno da spettatore, a differenza di Berrettini) è presente: «Abbiamo due chat — spiega Matteo —, una allargata a tutto lo staff e una più intima. Jannik scrive, si fa sentire, partecipa. Soffre a non essere qui, so per esperienza che a tifare da casa si sta da cani, sta recuperando dall’infortunio anche lui. D’altronde ha giocato la Davis in Slovacchia a marzo, il girone a Bologna arrivando direttamente da New York, dove aveva appena perso quella partita pazzesca con Alcaraz. Jannik è qui con noi». E non è detto che, in caso di finale domenica (contro Australia o Croazia), non possa fare un blitz da Montecarlo, dove vive, a Malaga.
Senti una magia nell’aria, Matteo? «Sento un’energia, più che una magia. La formula di questa Davis è diversa e più rapida, il doppio ha acquisito il 50% dell’importanza. Come Italia stiamo lavorando per il futuro: Musetti ha 20 anni, Sinner ne ha 21… È un percorso lungo, non so se siamo già pronti. Ma la voglia di portare a casa l’Insalatiera c’è, eccome!». Poi bisognerà spiegare che la vecchia Davis, quella di Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli in Cile nel ’76, l’unico successo (fin qui) della nostra storia, era un’altra cosa, che avevamo eliminato l’Inghilterra di Taylor e Lloyd sull’erba di Wimbledon, l’Australia di Newcombe, Alexander e Roche al Foro Italico, che capitan Pietrangeli aveva dovuto dribblare la politica che non voleva mandare la Nazionale a Santiago, nel cuore della dittatura di Pinochet. C’erano i tre set su cinque, le partite in casa e fuori. Altri tempi, altro pathos, altra Davis. Ma vincere va sempre bene, non è questo il momento di sottilizzare.
25 novembre 2022 (modifica il 25 novembre 2022 | 15:27)
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, 2022-11-25 16:34:00, Il romano a Malaga prima della semifinale col Canada: «Ci tenevo a partecipare. Sento un’energia speciale, vogliamo l’Insalatiera». Dal gioco a carte «Sequency» alla scaramanzia a cena e in doccia, tutti i segreti della Nazionale, Gaia Piccardi, inviata a Malaga