Black Friday, una «festa» per chi soffre di shopping compulsivo: è una vera malattia?

Black Friday, una «festa» per chi soffre di shopping compulsivo: è una vera malattia?

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di Laura Cuppini

Non è riconosciuto come patologia psichiatrica a sé stante ma rientra nella categoria dell’accumulo seriale. Come riconoscere i segnali e i consigli per evitare di arrivare a conseguenze drammatiche, come il fallimento economico

«Black Friday», il venerdì nero. Soprattutto per i nostri portafogli. L’espressione indica originariamente il venerdì successivo al Giorno del ringraziamento («Thanksgiving day»), che si celebra il quarto giovedì di novembre negli Stati Uniti. Dagli anni ‘50 il Black Friday è considerato la data di inizio delle compere natalizie, ma solo negli anni ‘80 ha assunto l’accezione attuale e si è man mano diffuso in tutto il mondo grazie soprattutto alla possibilità di fare acquisti online. Il «venerdì nero», così come gli altri periodi di saldi, è un’occasione per risparmiare e (a volte) fare buoni affari, ma può rappresentare anche un forte incentivo al cosiddetto «shopping compulsivo». Ovvero la versione patologica del gesto (normale) di acquistare qualcosa di cui si ha bisogno. Il compratore compulsivo non è spinto dalla necessità di un oggetto, ma da una pulsione emotiva che tende a diventare ossessione. Si stima che in Italia ne soffra il 5,5% della popolazione (soprattutto donne giovani), ma è difficile arrivare a una diagnosi perché il disturbo può manifestarsi a diversi livelli di gravità, provocando un disagio senza sfociare in patologia conclamata.

I campanelli d’allarme

«Quando diventa compulsivo lo shopping non è più un piacere, perché è collegato a tensione, disagio — spiega Paola Mosini, psicoterapeuta di Humanitas Psico Medical Care —. I pazienti che arrivano da noi presentano spesso situazioni economiche e familiari significativamente compromesse: hanno speso tutti i soldi (a volte quantità esorbitanti), mentito ai parenti, fatto acquisti di nascosto. Riconoscono il problema solo quando i danni sono irreversibili, per esempio i legami affettivi spezzati. E ci sono pazienti che non possono pagarsi le cure perché sono rimasti senza denaro. È difficile che riescano a trovare aiuto nei servizi territoriali (medici di medicina generale, Centri di salute mentale), che hanno situazioni più gravi da seguire. Lo shopping compulsivo non è riconosciuto come malattia psichiatrica, ma ha una sua dignità clinica che merita attenzione. I problemi iniziano quando il nostro sistema per trovare appagamento, consolazione e gratificazione (“raddrizzare la giornata” o anche solo sentirci meglio), passa spesso, se non regolarmente, dall’acquisto. Quindi un campanello di allarme è la frequenza. O quando ci si ritrova, quasi senza deciderlo, con un oggetto acquistato. Anche la perdita di volontarietà è un segnale da non sottovalutare. Poi c’è l’eccesso, la tendenza a comprare cose con prezzi superiori a quelli che effettivamente ci potremmo permettere. Ma soprattutto va considerato il significato emozionale: quando lo shopping si collega a un bisogno, necessità di appagamento, senso di astinenza (quindi una necessità quasi fisica) è il caso di cominciare a preoccuparsi».

Non è classificato come malattia

Lo shopping compulsivo non è considerato dalla comunità scientifica internazionale una categoria diagnostica a sé stante, ovvero una malattia psichiatrica. Nell’ultima versione del DSM-V («Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali») è presente invece la disposofobia (accaparramento compulsivo), ovvero la patologia da accumulo, all’interno della quale vi è il sottotipo con acquisto eccessivo, che riguarda circa il 64% dei casi: questi pazienti hanno una forma di disturbo più grave (esordio precoce, sintomatologia più marcata, maggior probabilità di altre patologie come ansia, depressione, dipendenze). Se lo shopping compulsivo non è una vera malattia, come si può riconoscere? «La persona può provare a rispondere ad alcune domande per capire se è a rischio — afferma Mosini —: quanto spesso compri cose che poi non usi? Quanto spesso ti capita di dire “ma sì, lo compro perché è un’occasione ma poi basta, è l’ultima volta”? Quanto spesso fai acquisti per sentirti meglio? Spendi più tempo/soldi del voluto facendo shopping? Quanto spesso acquisti in modo impulsivo per poi pentirti?». Gli oggetti tipici dello shopping compulsivo sono abiti, scarpe, borse, gioielli, prodotti di bellezza. Sono cose di cui non vi è un reale bisogno o che magari si possiedono già, che non corrispondono ai gusti personali o che sono al di fuori delle proprie possibilità economiche. Talvolta gli oggetti acquistati perdono rapidamente di interesse tanto da essere restituiti, nascosti o regalati.

Difficile arrivare a una diagnosi

Quando una persona sospetta di essere un «compratore compulsivo» cosa può fare? «Prima di tutto va sottolineato un aspetto: raramente chi soffre del disturbo ha un’autentica consapevolezza — puntualizza l’esperta —. È fondamentale imparare a gestire in modo più adeguato l’emotività e l’impulso all’acquisto, e trovare la giusta motivazione per decidere di privarsi di una cosa che è comunque gratificante e consolatoria. Peraltro nella letteratura scientifica lo shopping compulsivo è spesso associato ad altri disturbi come depressione, disturbo ossessivo compulsivo, ansia, disturbi del comportamento alimentare, gioco d’azzardo patologico, cleptomania. Non esistono però test specifici per diagnosticare lo shopping compulsivo: sono stati messi a punto dei questionari, ma si è visto che producono troppi falsi positivi. Il fenomeno è complesso e sfumato e c’è chi, fra gli studiosi, lo associa più a un disturbo d’ansia, chi più a impulsività, chi a una vera e propria dipendenza. Quindi c’è poco accordo sui criteri per giungere a una diagnosi».

I fattori predittivi e i consigli

Esistono però dei fattori di rischio riconosciuti. «Per il 95% i compratori compulsivi sono donne fra i 20 e i 30 anni, persone che hanno o hanno avuto un disturbo della sfera emozionale come ansia, fobie, depressione — dice Mosini —. Sembra esserci un’alta frequenza di eventi stressanti nella storia di queste persone. Il disturbo da deficit dell’attenzione (Adhd) è un altro fattore predittivo. Ci sono poi dati a supporto di bassa autostima e basso livello culturale come elementi di rischio. Ancora: le persone che vivono le emozioni con poca consapevolezza sono maggiormente predisposte all’acquisto compulsivo. Non si è ancora ben capito il ruolo della rete sociale (la cerchia di amici e conoscenze): potrebbe rendere la gratificazione da acquisto meno necessaria, ma allo stesso tempo può essere correlata a una bassa capacità di astrarsi da meccanismi di conformismo e bisogno di apparire». Quali sono i consigli pratici per chi vive lo shopping come un problema, pur senza arrivare a comportamenti patologici? «Non utilizzare carte di credito — risponde l’esperta —, evitare di acquistare online. Internet infatti può attivare il meccanismo compulsivo e la dipendenza-astinenza dal gesto. Online c’è una costante esposizione a qualsiasi prodotto, con “offerte a tempo” e richiami di ogni genere all’affare. La possibilità di pagare con un click rende il tutto molto veloce e la valutazione razionale viene facilmente tralasciata. Per questo ai pazienti consiglio di rinunciare a Bancomat e carte di credito e utilizzare di volta in volta solo una piccola quantità di contanti. Mettere una persona con problemi di shopping compulsivo davanti a un sito di e-commerce è come portare un alcolista in enoteca. Usando i contanti è più facile stabilire preventivamente (e rispettare) un determinato budget».

Psicoterapia e farmaci

Per chi soffre del disturbo in modo grave quali cure sono possibili? «In generale l’approccio è psicoterapico e farmacologico — spiega Mosini —. I riscontri di maggiore efficacia suggeriscono come prima scelta la terapia cognitivo-comportamentale; poi l’uso di farmaci ad azione anti-ossessiva e anti-impulsiva possono essere di aiuto per gestire alcuni aspetti specifici del quadro clinico, come l’impulsività spiccata, la tossicofilia (dipendenza) per l’acquisto e la tendenza all’accumulo. La terapia farmacologica va pensata come un elemento da inserire in un progetto più ampio, che deve prevedere un coinvolgimento della famiglia e un supporto psicologico. Anche alcune tecniche meditative, come la mindfulness, possono essere utili per migliorare l’autocontrollo». Un consiglio in vista del Natale? «Chi ha dei figli deve anche in questo periodo cercare di insegnare loro il valore delle cose e del denaro— conclude la psicoterapeuta —. Il “tutto e subito” anestetizza bambini e adolescenti, per buona pace degli adulti, ma può rivelarsi fonte di problemi nella loro vita futura».

25 novembre 2022 (modifica il 25 novembre 2022 | 17:51)

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, 2022-11-25 18:39:00, Non è riconosciuto come patologia psichiatrica a sé stante ma rientra nella categoria dell’accumulo seriale. Come riconoscere i segnali e i consigli per evitare di arrivare a conseguenze drammatiche, come il fallimento economico, Laura Cuppini

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