Blonde, storia di Marilyn tra scandali sessuali e solitudine. De Armas: io non adatta perché cubana? Poco importa

Blonde, storia di Marilyn tra scandali sessuali e solitudine. De Armas: io non adatta perché cubana? Poco importa

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di Valerio Cappelli, inviato a Venezia

Arriva in Laguna l’attesissimo biopic di Andrew Dominiq sulla grande attrice

Una donna che nasce Norma e diventa Marilyn. Ma cosa vuol dire essere Marilyn Monroe, intendiamo, non diventare Marilyn: esserlo? Blonde è un viaggio crudo, lungo 2 ore e 40, nella mente di una diva senza tempo. Un’anima esposta, ingenua, volenterosa, nuda, non la superstar nata bruna e divenuta famosa con un colore di capelli non suo. Visioni, allucinazioni, incubi, in una California dove non si sa cosa è reale e cosa è dentro di lei. Non è certo il seno nudo ad aver imposto il divieto in USA sotto i 17 anni (da noi è disponibile senza censura dal 28 settembre su Netflix).

Il regista Andrew Dominiq, che voleva fare questo film dal 2008, non era un fan dell’attrice: «avevo un’idea superficiale di lei. Ora vado regolarmente alla sua tomba. Sapevate che Hugh Hefner, il fondatore di Playboy, ha pagato 75 mila dollari per essere sepolto accanto?». Dominiq è rimasto affascinato dal fluviale libro di Joyce Carol Oates, ne ha catturato «la distorta realtà allucinatoria con occhio femminile, è una storia dalla parte di una donna ma non è un film femminista, anche se è difficile non pensare a tutte le ingiustizie, le violenze, i fraintendimenti che le sono stati imposti. Non è un biopic ma un lavoro di fiction».

Dice che Marilyn è stata «una brillante invenzione» di Norma Jeane Baker, com’era all’anagrafe: «Norma le ha salvato la vita inizialmente, poi l’ha sopraffatta. Volevo mostrare come i traumi infantili possono condizionare la vita adulta. Vediamo il mondo dal suo punto di vista». Il mito esplode e i nostalgici hanno già il dito sulla tastiera dei social: «L’hanno distrutta». E poi protestano, criticando a prescindere: «Come si può prendere una cubana?». Ana de Armas, 34 anni, splendida: «Le critiche? Non ho partecipato a questo film per far cambiare le idee su di me…Sarà quel che sarà. Ho sentito sulle mie spalle tutto il peso e la tristezza di Marilyn e forse non volevo liberarmene, era come se fosse successo a me, non volevo proteggermi. La maggior parte del film è concentrata su Norma, ma Marilyn è presente, è la stessa persona, ho trovato un equilibrio, credo che l’una avesse bisogno dell’altra. Non è stato difficile il passaggio, non è stata una decisione consapevole, è successo. Sono stata al suo servizio, l’ho sognata, era con me».

Ana, cosa ha imparato dell’industria di Hollywood, così decisiva nel costruire e distruggere vite umane? «…Avere più empatia e rispetto degli attori, il danno che possono provocare i media, ho imparato a proteggermi un po’ di più evitando di mettermi in certe situazioni».

E come sono andati i provini? «Mi sono presentata con una orrenda parrucca bionda, e senza badare all’accento».

E’ un film cupo (si alterna il colore al bianco e nero, il coproduttore è Brad Pitt) che prende allo stomaco. «L’abbiamo cominciato il 4 agosto di qualche anno fa, giorno della morte di Marilyn, non è stato pianificato. Abbiamo girato nella vera casa in cui ha vissuto con sua madre, e nella stanza in cui è morta. A Los Angeles ci sono tracce di lei ovunque». Marilyn presa a cinghiate dal suo secondo marito, l’eroe del baseball Joe DiMaggio, per essere apparsa nuda su riviste patinate; Marilyn che masturba e poi fa sesso orale all’amato leader del mondo libero, il presidente USA John Fitzgerald Kennedy.

In quella scena Ana si fa voce narrante: «Il nostro è un incontro di anime, il sesso c’entra poco». Mr President accompagna quell’incarnato luminoso sul suo ventre e le vomita: «Sei una brutta sporcacciona»; lei risponde: «Non sono una bambina, non devi preoccuparti per me»; Marilyn e la gravidanza interrotta, «la maternità riguardava sua madre, Norma è stata abbandonata, quando la sua vita diventa instabile affiora la sua infanzia», dice il regista; Marilyn a inizi carriera violentata da un produttore corpulento con l’accappatoio che fisicamente ricorda Weinstein. E’ come se si fosse messa al mondo da sola. Almeno sullo schermo era libera di reinventarsi. «Abbiamo passato in rassegna ogni dettaglio della sua vita – racconta l’attrice – e discutevamo cosa stesse avvenendo quando una foto era stata scattata».

Cosa stava provando, lì, Norma Jean?«Marilyn era la persona più famosa al mondo, ma Norma, proprio per questo, divenne la persona più invisibile del mondo. E questa è la storia che abbiamo voluto raccontare». Nel suo kit di sopravvivenza non c’era la rabbia: «Ha doveva trovare un altro modo per uscire dai suoi traumi». Ana è l’«ennesima» attrice che riporta in vita sullo schermo l’Icona del cinema.

Aveva già fatto le capriole in 007 (No Time to Die). «Volevo un ruolo drammatico che allargasse la mia gamma espressiva. Ho cercato una connessione con la vulnerabilità di Marilyn. Siamo molto diverse, col regista non ho mai smesso di parlare». «Norma non era costruita per vincere, al contrario di Ana, che ha una fervida immaginazione». Ha parlato tantissimo con Andrew, ogni giorno per nove mesi, prima che la macchina da presa emettesse la lucetta rossa: «L’ultima cosa che volevamo fare, era di essere superficiali o di sfruttare Marilyn». Ana ha studiato «migliaia di foto, visto tutto quello che c’era da vedere»; riproduce con abilità la vocina un po’ stridula di Marilyn, ogni dettaglio al posto giusto, ha il neo sulla guancia. Ai provini per i ruoli drammatici, a Marilyn viene chiesto: cosa pensi? «Non penso, forse sto ricordando». Occhi spaventati, occhi languidi, occhi splendidi e distanti. «Se la guardi con attenzione – dice Ana – capisci che Norma Jeane è lì, le scivola addosso, capisci la felicità e l’infelicità. Tutti la volevano, la desideravano, l’amavano. Lei come affrontava tutto questo?».

C’è appena qualche sequenza della stella sotto i riflettori. Sprazzi di scene leggendarie: la gonna sollevata sulla grata dal vento della strada sotterranea, e sembra la conchiglia della Venere di Botticelli, la dea della bellezza, simbolo dell’amore, l’amore che Marilyn non ha mai conosciuto; il ballo in Gli uomini preferiscono le bionde per cui Jane Russell ottenne da Hollywood 100 mila dollari e Marilyn 5000, «come da contratto»; e poi ecco Ana in un montaggio con il vero Tony Curtis in A qualcuno piace caldo. Ma il cuore del film è Norma Jeane, che da piccola dormiva in una cassettiera col suo tigrotto di peluche, la bambina non voluta da una madre che le dice «nessuno ti amerebbe, maledetta», che la sveglia nella notte mentre un incendio brucia Los Angeles illuminando la scritta Hollywood sulla collina, che tenta di annegarla nella vasca da bagno «per risparmiarti il dolore». Le rimprovera che il marito se n’è andata a causa sua.

Verrà rinchiusa in un ospedale psichiatrico, per la figlia si aprono le porte dell’orfanotrofio, dove rimase fino a 16 anni: «Ma io non sono orfana, ho un padre e una madre», grida. Il padre è in una foto appesa alla parete, nelle sporadiche lettere che le invia: «Non ho mai smesso di pensarti». Quando entra in scena lo scrittore e terzo marito Arthur Miller (Adrien Brody) siamo quasi già nel tunnel dell’autodistruzione. «E’ stato difficile allontanarsi dalle paure e dai desideri di Marilyn». E’ morta a 36 anni, nel 1962. Miss Sogni d’oro ci ha lasciati sdraiata sul suo lettone bianco per una overdose di barbiturici, almeno così dice la versione ufficiale. E’ l’ultima immagine di un film destinato a dividere.

8 settembre 2022 (modifica il 8 settembre 2022 | 15:08)

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, 2022-09-08 13:09:00, Arriva in Laguna l’attesissimo biopic di Andrew Dominiq sulla grande attrice , Valerio Cappelli, inviato a Venezia

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