Bobo Maroni, il mio compagno di banco della III C: quando Wilson Pickett non credeva fossi ministro

Bobo Maroni, il mio compagno di banco della III C: quando Wilson Pickett non credeva fossi ministro

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di Elio GirompiniGli studi insieme, la nostra band. Andavi in giro per Varese vestito da Babbo Natale. E poi la scena in barella con il collarino: era una sceneggiata e me l’hai confessato Roberto Maroni è morto oggi: aveva 67 anni ed era malato di tumore. Qui un ricordo personale di Elio Girompini, già giornalista al Corriere della Sera e vecchio amico d’infanzia dell’ex ministro leghista. Nella foto in alto ci sono i Distretto 51, la band di blues di Varese in cui Maroni (il secondo in basso da sinistra) faceva il tastierista. «Ciao Bobo, se puoi gira queste righe a Monza 500: Non sapevo che il ministro dell’Interno abitasse nel mio quartiere e avesse avuto lo stesso prof che amava le poesie di Emily Dickinson. Firmato: un ammiratore dei Beyond Varese». È tardi ora per inviarti questo messaggio, lo so, ma già quando ho finito di leggere Il Viminale esploderà era troppo tardi per te, per noi, per scherzarci sopra, per ricordare Silvio Raffo che in quinta C, fuori programma, recitava Per fare un prato. E te l’avrebbe fatta ripetere all’infinito a ogni incontro di classe fino a poco tempo fa. Non una gran fatica, ammettilo: quattro righe, dai. Guardo la dedica, A ELIO CON AMiCIZIA, scritta a fatica in stampatello con la mano sinistra, perché con la destra tra medicazioni e altre difficoltà avresti fatto ancora peggio. Non è scoppiettante come quelle dei libri precedenti, di più non potevi. Ma c’è tutto. Anche ciò che in tutti questi anni, dal ginnasio al Cairoli fino a oggi, non avevamo mai pensato. Per esempio, quello che avremmo saputo dire o scrivere l’uno dell’altro in un momento così. Un amico, e che amico, ministro (più volte), presidente di Regione, segretario di partito nel momento più duro, saggista e romanziere, autore di rubriche pungenti su Il Foglio. E poi altro ancora, ma queste cose le sanno tutti o possono saperle se vogliono. E poi invece compagno di scuola, uno di quelli bravi e che passavano la versione di greco e latino. E di università. Avevo già deciso per Giurisprudenza, tu invece per Scienze Politiche, salvo poi cambiare idea davanti al portone di via Festa del Perdono, tirando fuori i fogli d’iscrizione dalla tasca dell’eskimo. Non sono rimasto sorpreso, eri così. E perciò ancora stessi libri, stessi treni, ore di ripasso in giardino ridendo insieme di un paio di fuoricorso ai seminari che chiamavi, con finto rispetto, “senatori”. Senza immaginare che un giorno avresti usato quel termine in altri contesti. Poi uffici legali uno, giornali l’altro. E vacanze in barca. E la band, che prova nella taverna di casa tua prima ancora che ci entrassi con tua moglie. Di Bossi, della Lega, dei cartelli sui ponti dell’autostrada non avevi detto nulla a nessuno. Noi, quelli con cui avevi fatto la maturità della III C (dopo aver strappato insieme le pagine di quasi tutti i libri a causa di ciò che avevamo battezzato “il morbo di Kruber”) , quelli con cui suonavi l’Hammond nel Distretto 51, non ne sapevamo nulla, avevamo dovuto leggerlo sulla Prealpina. «Ma dai, Bobo, segretario? La Lega? Che roba è?». «Eh, vedrete..» abbozzavi, con quel mezzo sorriso che non capivi mai se crederci o aspettarti lo scherzone. Non c’era ancora niente davanti e, appunto, si scherzava. Come sempre. Tanto che nel ’92, la notte prima delle elezioni, avevamo affisso in piazza a Lozza un finto manifesto elettorale: “Sei hai i co… vota Maroni”. Naturalmente non c’erano i puntini. E lì un po’ ti eri arrabbiato. Perché c’era ancora tua mamma e abitava proprio di fronte. Comunque, visto abbiamo visto, e più tardi non è stato facile spiegare, ai colleghi e al direttore, che non potevo essere da solo a farti la prima intervista da ministro dell’Interno sul Falcon da Malpensa a Roma. Tu volevi farla soltanto con me, grazie, ma sapevamo entrambi che sarebbe stato impossibile rimanere davvero seri, anche se avremmo dovuto. Già da qualche mese ci trovavamo ancora una volta insieme ma in ruoli diversi, da tenere separati. E così è stato, senza favori, senza nemmeno doverlo spiegare. Ho invidiato la tua passione, non il tuo lavoro. Ho visto il tuo dolore alla morte di Biagi, visto lo smarrimento in tv alla prima trappola, quella sul decreto Biondi. La stanchezza per gli attacchi personali e il peso dei processi, la fatica per mettere insieme ciò che non andava, nel partito, nei ministeri. Una bella fetta di vita sotto scorta anche per venire a casa mia. Ma ho riso di gusto quando ti ho visto in barella con il collarino e il volto sofferente dopo l’irruzione in via Bellerio: una sceneggiata, lo sapevo già ma me l’hai poi confessata. La passione, comunque, era davvero forte. Che si trattasse di pensioni, del lavoro delle forze dell’ordine contro la mafia, di vertici internazionali o di beni confiscati, tornavi come a scuola, quando mostravi a tutti come fosse possibile finire anche la versione più ostica. O come quando parlavi del Milan. Divisi a volte sulle idee, lo eravamo da sempre sul tifo: l’ultimo Juve-Milan insieme allo Stadium, con quel rigore di De Sciglio, ancora rossonero, me lo hai contestato fino all’altro ieri. Nonostante impegni e viaggi, per noi della III C c’eri sempre. Hai fatto tanto per Massimo, coinvolgendolo nel tuo lavoro prima che se ne andasse, proprio come te ora, tanti anni fa. Ed eri sempre il primo a buttare lì la sfida: «Cena di classe, quando?». Quando potevi. Come con il Distretto 51. All’inizio sempre, o quasi, perché alla prima uscita (privata), non ti sei presentato: bloccato dalla morte di Calvi al tuo posto di lavoro, all’Ambrosiano. Ma insomma, alle prese con la lana di roccia per insonorizzare il garage diventato sala prove ti abbiamo visto solo noi. Al volante del Ford Transit con il quale si andava a suonare stracarichi di strumenti o in “gita sociale” nelle Langhe pure. In giro per Varese (ora si può dire) vestito da Babbo Natale, a suonare White Christmas alla fisarmonica con i Capric Horns, i fiati della band, ti hanno visto di sicuro in tanti ma nessuno ti ha mai riconosciuto. Quando eri sul palco del Festival Soul di Porretta, in giubbotto jeans e occhiali scuri, invece, lo sapevano tutti tranne i grandi sopravvissuti della Soul Music venuti dall’America. Quando hanno detto a Wilson Pickett che eri un ministro, non ci ha creduto. Logico. Prima Springsteen poi il soul. Nell’83, rimessa insieme la band, serviva un tastierista. Ho detto agli altri: «Fidatevi, suonava in chiesa». Ti sei messo al vecchio piano che era lì e hai convinto tutti. Abbiamo anche alla Siae qualche canzone con le nostre firme come autori. Una la suoneremo ancora una volta, per te. Più avanti ci hai autorizzati a portare con noi un cartonato a grandezza naturale della tua immagine. Perché non si sapeva mai se ci saresti stato. Come la sera in cui stavamo per salire sul palco al Politeama di Varese, ma arrivò la notizia di Berlusconi colpito al volto dal souvenir del Duomo: «Non che la mia presenza a Milano sia necessaria, ma non posso essere qui a suonare mentre tutti parlano di quel che è successo». Oggi il tuo racconto pubblico è in tv, sul web, sui giornali. Ognuno giudicherà, per quel che conta. Io posso dire soltanto che a volte l’amicizia diventa un vero privilegio. Leggo l’amore di Emi e dei tuoi figli in un post dove (anche loro!) citano Emily Dikinson: per caso c’entri tu? Comunque, se dove sei non c’è connessione o hai dimenticato la password, ti mando due righe del post che il Distretto 51 ha pubblicato sulla pagina Facebook: Oh, come take my hand, we’re ridin’ out tonight to case the Promised Land. Io lo sapevo che eri nato per correre. 22 novembre 2022 (modifica il 22 novembre 2022 | 16:51) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-22 15:14:00, Gli studi insieme, la nostra band. Andavi in giro per Varese vestito da Babbo Natale. E poi la scena in barella con il collarino: era una sceneggiata e me l’hai confessato, Elio Girompini

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