Ultra pop, borderline, eticamente sgretolato. Superato lo sgomento e il raccapriccio, il film-uragano di Luca Guadagnino Bones and All, tratto dal romanzo di Camille De Angelis, merita un discorso a parte. Trattasi di evento, senza dubbio. Evento divistico, per la presenza nel cast di Timothée Chalamet, la rivelazione Taylor Russell e il veterano Mark Rylance. Evento mediatico, perché i film di Guadagnino da Chiamami col tuo nome in avanti non sono mai insignificanti. Evento tout court, perché il tema, Bonnie e Clyde cannibali, porta al confine del cinema, alla metafora estrema, mettendo nel mazzo temi come la precarietà esistenziale delle nuove generazioni, il bisogno d’affetto conseguente, la degenerazione dei comportamenti, gli istinti naturali da dominare. Laddove il significato dell’emancipazione, maschile e femminile, diventa «uccidi il padre e mangialo».
Ballad dantesca con inserti splatter, Bones and All è aiutato dalla cronaca: basta citare il caso di Armie Hammer, uno degli attori preferiti di Guadagnino, accusato proprio di cannibalismo e costretto a isolarsi alle Isole Cayman. Il titolo allude al «pasto completo» dell’antropofago: fino alle ossa, è allora che si raggiunge la vetta del piacere. Guadagnino ha il coraggio di confrontarsi in chiave di road movie horror con il cinema dei mostri per raccontare una love story malatissima tra due teneri, ammaccati ragazzi della provincia americana, feriti da traumi profondi, incapaci di reagire di fronte al male che portano dentro, condannati a un percorso che sa di tragedia shakespeariana e, si capisce subito, non porterà a nulla di buono.
I cannibali, a quanto pare, sono una comunità fluida, senza tracce apparenti. Si riconoscono a distanza dall’odore, «un misto di fango, metallo e sangue». Maren (Taylor Russell), 18 anni, è una di loro. La madre, simile a lei, l’ha abbandonata bambina e ora vive, scopriremo più avanti, in un manicomio dall’altra parte dell’America. È in fuga dalla propria natura malvagia nel Paese dell’edonismo reaganiano. Tenta di resistere, ma quando arriva l’impulso fatale diventa una furia. Scappando via, crede di poter trovare un riparo, una redenzione, una speranza.
Invece, il destino la mette di fronte a Sully (Rylance), anziano riparatore di apparecchi televisivi e «mangiatore» dissennato con treccia Cheyenne. Lui sostiene: «Cerco di non uccidere». Invece, nella camera da letto al piano di sopra ha un «pasto caldo» servito. Maren tiene le distanze ma cede all’invito e la notte lascia il passo a un’alba di orrore.
La piccola scappa di nuovo, nonostante l’omaccio cerchi di trattenerla e poi la insegua. Sulla sua strada si pone Lee (Chalamet), ossessionato dalla sorella, con un padre ubriacone e manesco. Il contatto è immediato, ma le distrazioni sono tante. I due si mettono in viaggio, divorano, incontrano altri cannibali, trovano una vittima gay, con famiglia e figli, tentano di recuperare le radici. Arrivano persino a una sorta di felicità, ma il ritorno sulla scena di Sully riporta l’orologio all’ora zero.
Guadagnino sviluppa il racconto con una precisione emotiva che rende il film da un lato un’esperienza irripetibile e dall’altro una prova di sopravvivenza anche per gente di stomaco forte. È radicale, sa commuovere e far trasalire. Fino a trasformare il codice estremo della storia in un elemento espressivo. Bones and All non è Twilight e talvolta zoppica finendo per scambiare romanticismo con anticonformismo. La coppia alterna tenerezze e ferocia, sguazzando nel sangue, cedendo alle tentazioni, cercando contatti salvifici, prigioniera di una solitudine che assomiglia al nostro mondo sull’orlo della follia. Tutto è esplicito, disfatto, senza speranze. Certo, farci provare compassione per un cannibale è un risultato a cui solo un campione come Guadagnino poteva arrivare.
BONES AND ALL di Luca Guadagnino
(Italia-Usa, 2022, durata 130’)
con Timothée Chalamet, Taylor Russell, Mark Rylance, Michael Stuhlbarg, André Holland, Chloë Sevigny, David Gordon Green, Jessica Harper
Giudizio: *** ½ su 5
Nelle sale
26 novembre 2022 | 07:38
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