Dagli stipendi equiparati per maestre e docenti delle scuole superiori fino all’utilizzo del cellulare in classe. In una lunga intervista a Orizzonte Scuola, Maria Elena Boschi, deputata di Italia viva e Azione e membro della Commissione Istruzione alla Camera, commenta i primi mesi del nuovo governo e in particolare le prime azioni del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara.
Cosa pensa dell’introduzione della parola “Merito”? Pensa che il governo attuale saprà declinarla nel modo giusto?
“La parola “merito” non deve spaventare. È un concetto che trova fondamento anche nella nostra Costituzione proprio con riguardo al diritto allo studio. Per me, merito non è una parolaccia se si accompagna a pari opportunità. Tutti abbiamo diritto ad avere le stesse condizioni di partenza, rimuovendo le cause di discriminazione e disuguaglianza, ma ciascuno deve provare a fare il proprio meglio, parametrato alle sue capacità e talenti. Non sono una sostenitrice del famoso “18 politico”. Solo così la scuola potrà tornare ad essere un vero ascensore sociale. Quante storie di riscatto e di emancipazione sono iniziate proprio sui banchi di scuola? Dobbiamo spronare tutti a fare del proprio meglio, non a rassegnarsi, o giocare alla meno. Questo vale per gli alunni, ma anche per gli insegnanti. Il vero problema del governo Meloni non è aver cambiato nome al ministero. Il vero dramma è aver deciso di tagliare subito sulla scuola con la prima legge di bilancio, in particolare proprio sul fondo 0-6 che corre in aiuto di comuni e famiglie per aiutarli a sostenere i costi di gestione, che poi sono le rette. Tanto o poco che sia il taglio, non è un bel segnale: non si investe nella scuola dei più piccoli.
Per noi, su tutto si può risparmiare, ma non sulla scuola, specie con il gap da recuperare post pandemia. L’investimento in educazione è l’unico che ha un moltiplicatore certo: una comunità di cittadini più consapevoli”.
Stipendi dignitosi per il personale scolastico: alla fine saranno poco più di 70 euro netti in busta paga in media. Perché la professione insegnante è così poco valorizzata?
“Dividerei i due temi. Da un lato, c’è la giusta rivendicazione degli insegnanti ad essere pagati di più. E questo vale soprattutto durante la loro carriera, perché è lungo il percorso professionale che aumenta il divario rispetto agli altri paesi europei. Per questo, quando siamo stati al Governo, abbiamo previsto aumenti stipendiali di oltre 1000 euro l’anno, oltre alla nuova contrattazione. Ma anche una valutazione legata al merito e un sostegno alla formazione. Da questo punto di vista aver trovato proprio nei fondi per la valorizzazione della professionalità docente, ben 300 milioni messi dal governo Draghi, le risorse per l’aumento contrattuale mi è sembrato contraddittorio. Sul tema delle retribuzioni c’è anche una questione nella questione, che mi sta particolarmente a cuore: è giunta l’ora di equiparare le buste paga dei docenti di scuola primaria a quelle degli altri”.
E il secondo tema a proposito di valorizzazione?
“L’autorevolezza del ruolo dei docenti non è legata solo allo stipendio ma anche alla loro considerazione sociale. Non possiamo minare la loro legittimazione come educatori. Questa responsabilità riguarda le famiglie, certo, ma anche la comunità tutta. Il ministro ha espresso più volte la volontà di intervenire su questo punto, utilizzando una terminologia che non condivido, ma che coglie un punto che non dobbiamo sottovalutare”.
Quale punto?
“Le rispondo partendo dalla mia esperienza personale. Mia mamma è stata insegnante prima di diventare preside, mia cognata è insegnante. Ecco, dal confronto dei loro racconti capisco che la loro esperienza di insegnanti anche nel rapporto coi ragazzi e con le famiglie è molto cambiata. Non è accettabile che un’alunna o un alunno non accetti il giudizio degli insegnanti, quando addirittura non arriva a mancare loro di rispetto. A scuola si deve imparare anche il senso del dovere e l’impegno. L’alleanza educativa scuola famiglia non può essere solo evocata, ma va coltivata. E lo si fa con la formazione là dove serve, ma anche fornendo agli operatori della scuola strumenti adeguati”.
Sull’orientamento il ministro Valditara parla dell’introduzione di un docente tutor che sia di affiancamento ai ragazzi più in difficoltà, magari pagato anche di più. Siete d’accordo?
“Leggeremo le linee guida quando usciranno nella loro versione definitiva. C’è un tema di risorse e di non caricare le scuole dell’ennesimo adempimento. Da quello che ho letto nelle anticipazioni l’intenzione del ministero non sembra questa. Me lo auguro perché se c’è un ambito che più di altri non dobbiamo trasformare in adempimento è proprio questo: da un buon orientamento dipende il successo formativo prima e lavorativo poi dei nostri ragazzi. È troppo importante non fallire. Quello che ho letto mi sembra convincente sul piano del docente tutor, sul fatto che si è deciso di andare oltre gli impegni presi con il Pnrr, partendo dalla scuola media e non dalla terza superiore e sull’impianto generale. Peraltro questa impostazione potrebbe aprire a una cosa che come Italia Viva sosteniamo da tempo: la necessità di riconoscere le cosiddette figure intermedie, il middle management. Figure come il docente tutor, ma anche i collaboratori del dirigente o altre figure di sistema che nella scuola dell’autonomia esistono ma non sono né formalizzate né è codificata la loro valorizzazione anche economica e il loro inquadramento professionale. Se si vuole pensare a carriere per i docenti, con ruoli specifici noi ci siamo.
Mi lasci però aggiungere una cosa…”
Dica.
“Quando si parla di valorizzazione della professionalità docente troppo spesso si dimentica un segmento importantissimo del nostro corpo docente, quello degli insegnanti di sostegno. Per noi è fondamentale partire dalla loro formazione e valorizzazione, come abbiamo iniziato a fare con la “buona scuola”. Va fatto ancora di più anche per garantire la continuità agli alunni e alunne con disabilità. Una scuola per tutti e di tutti, è stata una delle conquiste della nostra democrazia di cui dobbiamo essere più orgogliosi ma va attuata e rinforzata giorno dopo giorno”.
L’autonomia differenziata rischia di portare di acuire le differenze territoriali: non crede che ci possa essere una scuola di Serie A e una di Serie B?
“Se il governo Meloni andrà avanti con l’autonomia differenziata, noi saremo assolutamente contrari all’idea che possa contemplare anche la scuola. Un conto è valorizzare le regioni nel loro ruolo programmatorio dell’offerta formativa come è oggi o la gestione degli aspetti amministrativi, un altro è dimenticare che la scuola ha contribuito a costruire il nostro Paese, a unificare gli italiani. È vitale per la democrazia e non possiamo pensare di creare dei solchi nella scuola. Anzi, dobbiamo lavorare per ridurre i divari territoriali che oggi purtroppo rappresentano il principale problema della scuola”.
La Carta Docente è stata introdotta dal governo Renzi, non tema che possa fare la fine del bonus Cultura, altra misura inserita dall’esecutivo di cui faceva parte?
“Quando introducemmo la carta docenti incontrammo molte critiche. Poi, si è capito che era uno strumento utile per gli insegnanti. Ha funzionato così bene che oggi non solo noi, ma i docenti sono preoccupati che possa essere cancellata. Sarebbe un errore e ci batteremo perché non avvenga, anche se il governo Meloni purtroppo ha bocciato un mio emendamento al bilancio con il quale chiedevamo di scongiurare i tagli.
I fondi andrebbero aumentati e non ridotti per far fronte alla estensione anche agli insegnanti precari (peraltro iniziano a arrivare anche sentenze che vanno in questa direzione), senza che venga ridotto l’importo. Le dico solo questo: il taglio a partire dal 2024 previsto attualmente per la carta si mangerebbe da solo quasi tutto l’aumento contrattuale dell’ultimo rinnovo”.
Lei è d’accordo sull’utilizzo del cellulare in classe? Più fonte di distrazione o ausilio per la didattica?
“La circolare del ministro mi pare equilibrata. Non mette in dubbio che si possa continuare a usarlo per finalità inclusive, didattiche e formative, secondo le valutazioni dei docenti. Tuttavia, suggerisce, peraltro senza prevedere nuove sanzioni, un maggior rigore sull’utilizzo in classe. È chiaro che debbano essere gli insegnanti a valutare concretamente, essendo in classe e potendo verificare come usato dai ragazzi. Ma è innegabile che i ragazzi dovrebbero farne a meno in classe e anche mentre fanno i compiti, se diventa elemento di distrazione. Del resto, nessuno si sarebbe mai immaginato di guardare un film in classe durante una lezione, ma questo non vuol dire non si possa fare un’ottima lezione dopo aver visto tutti insieme un film. È l’annosa distinzione tra mezzo e fine, applicata all’uso delle tecnologie”.
, 2022-12-22 06:30:00, Dagli stipendi equiparati per maestre e docenti delle scuole superiori fino all’utilizzo del cellulare in classe. In una lunga intervista a Orizzonte Scuola, Maria Elena Boschi, deputata di Italia viva e Azione e membro della Commissione Istruzione alla Camera, commenta i primi mesi del nuovo governo e in particolare le prime azioni del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara.
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