di Andrea Camurani
Nelle valli dell’Alto Varesotto, in Valcuvia. In due frustati, legati agli alberi. A uno gli hanno tagliato l’orecchio e spezzato un braccio: non obbedivano ai capi
Secondo il capo della banda, quel giovane pusher di soli 25 anni, anche lui marocchino, non ascoltava abbastanza gli ordini. E andava punito in maniera esemplare. Così, pescando in un campionario che sembra attingere quasi in rituali simbolici fatti di violenze e brutalità gli hanno tagliato un orecchio, ma solo alla fine di sette ore di frustate, legato ad un albero, con le secchiate d’acqua in faccia per farlo rinvenire durante gli svenimenti. Poi, dopo altre botte e un braccio spezzato, è stato denudato e mandato in strada: qualcuno ha chiamato l’ambulanza e i carabinieri sono poi andati in ospedale a Varese per cominciare a mettere una tessera nel mosaico della guerra allo spaccio nei boschi, dove da tempo sembra essersi impennato il livello della violenza per il controllo dello spaccio.
Il fatto è avvenuto ai primi di giugno, il 4 per l’esattezza, nelle valli dell’Alto Varesotto, in Valcuvia. Sono le zone di quel turismo nato a inizio Novecento e rifiorito nei decenni seguenti al «boom», scelte soprattutto dalla borghesia milanese per costruire la seconda casa così da villeggiare in località scampate alla cementificazione selvaggia. Duno, Arcumeggia: paesini individuati ora dai pusher di eroina per non dare troppo nell’occhio e riuscire a controllare un territorio che ha poche vie d’accesso. Infatti per muoversi vengono scelte persone del posto cadute nella tossicodipendenza: in cambio della dose portano in giro i «cavalli» della droga, magari con auto che sfuggono ai sistemi di lettura targa così da non insospettire troppo le forze dell’ordine.
Proprio uno di questi «tassisti» dei pusher, verso la metà di giugno è stato violentemente punito dopo aver commesso un errore: aveva lasciato il telefono spento, diventando irraggiungibile per i capi. Per punizione, lo hanno legato a un ramo e tenuto appeso per tre ore, fintanto che l’albero non si è spezzato, facendolo cadere a terra. Poi, dopo aver caricato un fucile da caccia, gli hanno messo le canne dell’arma in bocca. La vittima, un quarantenne italiano che vive in un paese vicino, ha dovuto ricorrere alle cure mediche.
Per questi due episodi i carabinieri di Luino, agli ordini del capitano Alessandro Volpini, sono riusciti a ricostruire gli spostamenti della banda, trovata nel Pavese, e raggiunta all’alba di qualche giorno fa in un appartamento di Parona, centro tra Vigevano e Mortara: una caccia a cui hanno partecipato anche i militari del nucleo investigativo di Pavia e finita con un rocambolesco inseguimento sui tetti delle case e che ha portato al fermo dei tre marocchini trentenni accusati di rapina (a entrambe le vittime sono stati sottratti oggetti e soldi), detenzione di droga, e tortura.
Dopo l’arresto il gip ha disposto la custodia cautelare in carcere in attesa di accertarne le responsabilità durante il processo. Le indagini sul grande giro di droghe in tutto il Nord del Varesotto sono ancora in corso: un’area vasta difficile da controllare, con montagne in cui per chilometri capita di non incontrare nessuno e per questo, soprattutto durante la pandemia, scelte per lo spaccio «in quota». Lo racconta Marco Dolce, sindaco di Duno, 150 abitanti. «Durante i lockdown, il fondovalle era piuttosto presidiato dalle forze dell’ordine, così lo spaccio si è trasferito sulle alture. Vengono sfruttati i viottoli che si dipanano dalla strada asfaltata ed entrano nel bosco, spesso in concomitanza con segnali ben visibili». Nel caso dei due episodi legati alle torture, il segnale distintivo era un numero «9» dipinto con vernice rossa su di un grande masso: da lì si entrava nella piazza di spaccio.
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17 luglio 2022 (modifica il 17 luglio 2022 | 14:22)
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, 2022-07-17 12:22:00, Nelle valli dell’Alto Varesotto, in Valcuvia. In due frustati, legati agli alberi. A uno gli hanno tagliato l’orecchio e spezzato un braccio: non obbedivano ai capi, Andrea Camurani