Capogrossi «Dietro le quinte», mostra alla Galleria Nazionale

Capogrossi «Dietro le quinte», mostra alla Galleria Nazionale

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di Edoardo Sassi

Esposizione con trenta dipinti, venti opere su carta e materiale documentario nel cinquantenario della scomparsa dell’artista che passò dal figurativo all’informale

Trenta dipinti, venti opere su carta e un’ampia sezione documentaria per ripercorrere, con taglio antologico (ma non cronologico) il cammino di Giuseppe Capogrossi (1900-1972), uno dei pittori più rappresentativi dell’arte italiana del XX secolo, nonché uno dei più riconoscibili. A ospitare la rassegna, organizzata in occasione del cinquantenario della scomparsa dell’artista (il 20 settembre la ricorrenza), la Galleria nazionale d’arte moderna, che l’ha promossa in collaborazione con la Fondazione Archivio Capogrossi affidandone la cura a Francesca Romana Morelli.

E in mostra c’è tutto Capogrossi: quello figurativo e quello astratto-segnico, autore all’epoca di una radicale trasformazione «linguistica» che apparve come una vera e propria rivoluzione. Rivoluzione, però, in cui la critica (per non dire dello stesso artista) seppe intravedere, da quasi subito, molti elementi di continuità: quegli stessi su cui oggi punta la selezione dei lavori proposti, che tende a includere tanto il Capogrossi tra le due guerre, quanto l’inventore di quelle che con termine derisorio vennero definite, dai tanti che non apprezzarono la svolta, «forchette» o «pettini». In realtà segni moltiplicabili all’infinito, per altrettante infinite combinazioni, con cui il pittore romano seppe creare, a partire dal bienni 1949-50, un suo personalissimo alfabeto, da tempo riconosciuto come una delle massime espressioni «informali» dell’arte europea.

Dietro le quinte il titolo scelto da Morelli — nel 2012 autrice del primo tomo del Catalogo ragionato sull’opera dell’artista — a sottolineare anche il taglio di indagine relativo ai materiali proposti, scelti in parte nella collezione permanente (assai ricca) del museo e in parte provenienti da altre raccolte pubbliche e private. Tra le prove del «primo» Capogrossi, quello figurativo, opere enigmatiche e affascinanti come Il vestibolo. Donna bendata, lo spogliatoio degli uomini (1932), il precedente Autoritratto con Emanuele Cavalli (1927 circa), in cui Capogrossi raddoppiò sé stesso con l’effige dell’amico e sodale del tempo, o Paesaggio invernale (1935), una veduta ripresa dalla terrazza del suo atelier, all’epoca nel quartiere Prati.

Tante le Superfici proposte (tra cui quelle appartenute agli amici architetti Luigi Moretti e Vincenzo Monaco, con cui Giuseppe collaborò a lungo), quasi sempre contrassegnate dallo stesso titolo, ripetuto, e d un numero in progressione. E alla fase «segnica» appartiene anche il grande arazzo (Astratto, 1963) — sei metri di larghezza — che Capogrossi creò per il Michelangelo, transatlantico costruito dai cantieri Ansaldo in pieno boom. Simbolo artistico e di costume di un mondo perduto l’opera — che a bordo era affiancata da quelle di altri nomi in voga al tempo e oggi riproposta distesa a terra — si trovava nel Salone delle Feste di prima classe della lussuosa turbonave.

Info: «Capogrossi. Dietro le quinte», Galleria Nazionale d’Arte Moderna, viale delle Belle Arti 131, fino al 6 novembre. Orari: da martedì a domenica 9-19 (ultimo ingresso 45 minuti prima). Biglietto intero: 10 euro. Tel. 06.32298221, www.lagallerianazionale.com

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21 settembre 2022 (modifica il 21 settembre 2022 | 07:16)

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, 2022-09-21 05:24:00, Esposizione con trenta dipinti, venti opere su carta e materiale documentario nel cinquantenario della scomparsa dell’artista che passò dal figurativo all’informale, Edoardo Sassi

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