Nell’intento di combattere la criminalità minorile e l’evasione scolastica, l’approccio del Governo ha suscitato parecchio dibattito. Una mossa controversa, con la previsione di incarcerazione dei genitori dei giovani che evadono l’obbligo scolastico, pare indicare una visione punitiva, ma non necessariamente risolutiva.
Le zone in cui spiccano tassi elevati di abbandono scolastico sono spesso quelle in cui la criminalità è dilagante. Confrontati con la microcriminalità, questi giovani diventano, loro malgrado, parte di un ciclo negativo che potrebbe esporre l’intera comunità a rischi maggiori. Ma è giusto puntare il dito contro i genitori?
Secondo lo psicoterapeuta Alberto Pellai, la soluzione non è punitiva, ma piuttosto basata sull’intervento. I genitori che non riescono a garantire l’istruzione dei propri figli spesso sono quelli che vivono in situazioni di fragilità, mancanza di risorse e isolamento dal mondo esterno. La questione centrale non è se punire o meno questi genitori, ma come aiutarli.
Il vero problema è un “analfabetismo educativo” che pervade intere comunità, lasciando i giovani senza guida. L’abbandono scolastico, per Pellai, non è indicativo di colpevolezza penale, ma piuttosto di una crisi educativa alla quale la comunità nel suo insieme dovrebbe rispondere.
Tuttavia, c’è una luce in fondo al tunnel: mentre il Governo ha adottato misure punitive, ha anche stanziato fondi per combattere la dispersione scolastica e rafforzare il corpo docenti. Questo tipo di interventi, se ben implementato, potrebbe ridurre significativamente il tasso di evasione scolastica.
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