Carlini, l’amico-medico di chef Bartolini: «Enrico? Per me come un figlio. La dieta non gli serve»

Carlini, l’amico-medico di chef Bartolini: «Enrico? Per me come un figlio. La dieta non gli serve»

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l’intervista

di Chiara Amati

Discreto, riservatissimo, umile. E di grande cultura, anche gastronomica. Carlo Carlini, l’amico-guru di Enrico Bartolini, svela chi è realmente lo chef più stellato d’Italia. E da dietologo qual è confessa: «Non l’ho mai messo a dieta, non ne ha bisogno»

« Guru io? Chef Bartolini è un uomo generoso, lo ringrazio per avermi definito tale, sono lusingato. Ma se devo essere sincero questo epiteto mi spaventa un po’. Sa, nel suo significato primigenio “guru” indica una persona degna di rispetto, e fin qui ci siamo, ma anche venerata dai discepoli. Mi sembra eccessivo. A me basta pensare di essere una presenza rasserenante, capace di alleviare le preoccupazioni e stemperare le difficoltà».

Di Carlo Carlini, classe 1951, non si sa moltissimo. È una persona molto discreta e altrettanto riservata, lui. A Piacenza, dove vive solo — la moglie, Rosanna, è un’imprenditrice di successo in Francia, mentre il figlio, Lorenzo, anche lui imprenditore nel settore farmaceutico, sta di base a San Marino —è per tutti il medico-amico, specializzato in dietologia, colui che ha trascorso la vita a spendersi per gli altri. E continua a farlo. Senza mai fare rumore: il bene non si grida, si fa e basta. Per dirla alla Tolstoj, il bene è al di fuori della catena delle cause e degli effetti. Non importa a chi e come, purché si faccia. Ne sa qualcosa Enrico Bartolini, lo chef più blasonato d’Italia, dodici stelle Michelin su otto ristoranti, l’ultima delle quali, fresca fresca di assegnazione, lo cristallizza nella storia in qualità di mentore.

Dottor Carlini, sapeva di essere un faro per chef Bartolini?

«Sapevo e so di essere una persona molto importante per lui, come lui lo è per me. Ci conosciamo da tempo: siamo l’uno il sostegno dell’altro soprattutto nei momenti del bisogno che entrambi abbiamo. E non è così scontato. Siamo sempre attorniati da molte persone, ma quando la difficoltà incalza o la solitudine prende il sopravvento, spesso le persone diradano come la nebbia. Enrico no, lui ha sempre la mano tesa».

Dietologo nel senso che cura l’alimentazione dello chef?

«No, no: non l’ho mai messo a dieta se è quel che mi sta chiedendo, non ne ha bisogno. Enrico è salutista e pratica molto sport: sa regolarsi benissimo da solo. Io, casomai, gli fornisco qualche piccolo consiglio, ma solo se richiesto. Le faccio un esempio: il lavoro che fa lo porta a viaggiare spesso e a degustare anche lontano dai pasti. Diritti e doveri di uno chef. Io mi limito a suggerire come affrontare le giornate più impegnative. Nessuna regola fissa: molto dipende dal tipo di giornata, appunto. E dallo stato d’animo».

Dottore, come vi siete conosciuti?

«Enrico lo vidi per la prima volta in televisione a una trasmissione del Gambero Rosso: proponeva uno dei piatti tipici del suo ristorante. All’epoca aveva appena aperto Le Robinie. Mi colpì l’eleganza con cui cucinava: la presentazione fu impeccabile. Ma a sorprendermi, casomai, fu l’atteggiamento proprio di una persona più che competente, eppure umile. Di una modestia che mantiene ancora oggi, nonostante sia una stella della ristorazione mondiale. Se non ho sbagliato a fare i calcoli, mi risulta essere il solo chef al mondo ad avere dodici stelle nel suo stesso Paese. Gli altri le hanno sparse. Persino Gagnaire e Ducasse, che vantano qualche macaron in più, non le possiedono tutte in Francia. Straordinario».

Quando vi siete visti per la prima volta?

«Nel 2005. Di ritorno dalla Francia, prenotai presso il ristorante dove lavorava: ero con mio figlio Lorenzo, da sempre inseparabile compagno di itinerari gastronomici. Ci accolse con un garbo e una attenzione rari. Mi resi subito conto di avere davanti un uomo di grande spessore culturale e professionale, a tratti poetico. Tra noi l’affinità fu immediata. Ho il dono di comprendere le persone dall’apparenza: difficilmente sbaglio. Di Enrico colsi la sincerità. E il piacere che provava ad averci tra i suoi commensali. Fu l’inizio della nostra amicizia».

Che cosa ordinò?

«Del riso al latte con schienale che è il midollo spinale del vitello. Una preparazione molto antica: il riso me lo cucinava nonna. Mi emozionò. Poi una millefoglie di patate con dell’oca cotta a temperature basse: oggi la normalità, allora una tecnica innovativa. Ma Enrico mi sorprese anche perché era uno dei pochi chef a tenere sempre il Patanegra Joselito».

Lei è un intenditore.

«Sono solo un medico di base con la passione per tutto ciò che è nutrizione. Alle persone suggerisco cosa mettere in tavola per godere di buona salute oggi e invecchiare meglio domani. Con gusto e raffinatezza. E poi amo mangiare bene. Ho frequentato per cultura personale ristoranti di chef tristellati prima ancora che fossero tali. In Italia, ma anche all’estero. Negli anni Settanta, per divertissement, compilai un questionario proposto dalla autorevole Gault&Millau, la guida degli omonimi critici gastronomici francesi. Rimasero colpiti. Mi proposero un impiego, declinai».

Una occasione persa, non crede?

«Se l’avessi pensato, avrei accettato. No, non credo. Mi piace andare al ristorante in libertà, non per dovere. Un po’ come è capitato, fin da subito, con Enrico. L’affinità del primo incontro ha aperto la strada a una frequentazione che si è fatta via via assidua. Con Enrico che nel tempo mi ha invitato più volte a mangiare da lui. Ho conosciuto l’allora fidanzata, diventata poi moglie, sono stato il loro testimone di nozze, ho visto i figli nascere e crescere. Nutro un affetto profondo per ciascuno di loro. Li sento parte della mia famiglia, io che l’avrei voluta numerosa. E che invece ho un ragazzo soltanto, neppure così vicino a casa. Di pranzo in cena l’amicizia è cresciuta. Potere (anche) della cucina».

Ce la descriva.

«Difficile a parole: è una questione di sensi. Ci provo. Quella di Enrico è una cucina concreta, comunque emozionale, di grande profondità gastronomica e tecnica. I piatti sono belli agli occhi e gustosi al palato, con combinazioni e abbinamenti mai scontati o già visti. Quel che più sorprende è che chef Bartolini non cucina per stupire i commensali, come ci si potrebbe aspettare da un fuoriclasse qual è. Il suo obiettivo è far felici gli ospiti con il sorriso pronto e l’umiltà dei grandi. Semplicemente».

Mai una défaillance?

«Beh, le debolezze capitano a tutti: è fisiologico. Però di Enrico posso dire che è un uomo corretto. Fuori la cucina, ma anche dentro. Ad esempio, non l’ho mai sentito fare considerazioni negative sui suoi colleghi dei quali ha molta considerazione e stima».

Per la Michelin Italia 2023 è chef mentor dell’anno. Come lo vede in questo ruolo?

«Gli calza perfettamente. Lui è caparbio, talentuoso, preparato, concreto e sempre disponibile all’ascolto. La sua spiccata sensibilità gli consente di gestire anche le situazioni più complesse».

Ma un difetto l’avrà.

«Sì, certo. Fatica a tollerare la cattiveria gratuita o capziosa. Anche in questo siamo molto simili: abbiamo imparato a gestirci. Ci sosteniamo. Così quando lui cede a momenti di emotività negativa io lo riporto alla razionalità. Quando io pecco di razionalità lui dispensa emozioni».

Chef Bartolini ha tre figli. Come concilia il suo essere padre con un lavoro tanto sacrificante?

«La risposta la trova osservando i ragazzi: splendidi, educati, mai un capriccio e sempre felici della sua presenza. D’altra parte lui è un genitore dedito. Il suo sistema educativo è simile a quello che adopera con la brigata: mai coercitivo o imposto, ma sempre discusso e spiegato. Mi auguro che un giorno, crescendo, i suoi figli si rendano conto di quale fortuna abbiano avuto nel godere dell’amore e delle attenzioni di un uomo come Enrico, che riesce a conciliare una vita complessa e faticosa come quella professionale con quella di padre, senza mai far loro mancare la sua presenza».

Come lo vede in futuro?

«Sempre più in alto perché, oltre a essere un perfezionista appassionato, è un uomo che ha fatto della normalità una filosofia di vita. Enrico ha talento, cuore, generosità. E tanto da dare ancora. Sono orgoglioso della sua riuscita, come lo è un padre del proprio figlio. Non ne ho mai dubitato e spero di avere ancora molti anni davanti per godere della sua amicizia e della sua cucina. A proposito, avrei da chiedergli una cosa».

Cioè?

«I paccheri al crudo di gamberi. La prima volta li ho assaggiati nel 2005: mio figlio aveva solo quindici anni. Oggi non li prepara più, delittuoso. Se lo conosco bene, adesso starà sorridendo».

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, 2022-11-13 07:22:00, Discreto, riservatissimo, umile. E di grande cultura, anche gastronomica. Carlo Carlini, l’amico-guru di Enrico Bartolini, svela chi è realmente lo chef più stellato d’Italia. E da dietologo qual è confessa: «Non l’ho mai messo a dieta, non ne ha bisogno», Chiara Amati

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