Carlo Smuraglia, il partigiano-avvocato che per una vita ha difeso la Costituzione

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di Antonio Carioti Uomo di legge, parlamentare, già presidente dell’Anpi. È morto a 98 anni. Spirito libero, si è detto favorevole all’invio di armi in Ucraina. Nel 2016 sfidò Renzi sul no alla legge Boschi per la riforma costituzionale Era un uomo di legge, un fine giurista, vedeva nella Costituzione repubblicana la sua stella polare. Ma Carlo Smuraglia, scomparso all’età di 98 anni (ne avrebbe compiuti 99 ad agosto), era anche uno spirito ribelle, che aveva conservato fino all’ultimo la capacità d’indignarsi e il desiderio d’impegnarsi che lo avevano spinto a imbracciare le armi, ventenne, per partecipare alla guerra partigiana. Esponente comunista, avvocato di spicco, membro del Consiglio superiore della magistratura, senatore della Repubblica, Smuraglia era stato a lungo presidente dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, contribuendo a farne un soggetto molto attivo nella vita pubblica, tutt’altro che neutrale rispetto ad alcune importanti contese politiche. Non era uno che rimanesse alla finestra, neanche in tarda età. Nato ad Ancona il 12 agosto 1923, studente modello, Smuraglia aveva vinto il concorso per entrare alla Scuola Normale di Pisa e frequentare i corsi di Giurisprudenza, ma dopo gli eventi dell’8 settembre 1943 era tornato nelle Marche allo scopo di partecipare attivamente alla lotta contro l’occupazione tedesca. Alla chiamata di leva della Repubblica sociale fascista aveva risposto dandosi alla macchia, poi si era arruolato nel gruppo di combattimento Cremona, un reparto militare del Regno del Sud aggregato all’8ª armata britannica, con il quale aveva partecipato tra il 1944 e il 1945 alla liberazione dell’Emilia-Romagna e del Veneto. Per lui la Resistenza, di cui andava spesso a parlare nelle scuole con i ragazzi, era stata un’esperienza centrale, il momento in cui tanti italiani spesso privi di ogni preparazione politica, nello sfacelo delle istituzioni statali dopo la fuga del re e del governo da Roma a Brindisi, avevano deciso di prendere in mano il proprio destino e di costruire per tutti un futuro migliore, di libertà e di pace. Una caratteristica di quella svolta storica che Smuraglia sottolineava sempre con forte convinzione era il contributo che le donne avevano dato alla lotta partigiana, punto di partenza per un autentico processo di emancipazione femminile. Considerava importante anche il ruolo dei sacerdoti nel proteggere le popolazioni e sostenere i resistenti. Aveva una visione corale del movimento di Liberazione, ne richiamava con orgoglio lo spirito unitario, anche se non metteva certo tra parentesi le proprie idee di sinistra. Da ricordare a tal proposito che all’epoca, con i suoi commilitoni del gruppo Cremona, aveva contestato nel 1945 Umberto di Savoia, il futuro «re di maggio», che era venuto a passare in rassegna alcune unità a conflitto terminato. Per Smuraglia alla sconfitta del fascismo doveva seguire come logico complemento la fine della monarchia, nel quadro di un radicale processo di cambiamento. Aveva gioito per il risultato del referendum istituzionale del 2 giugno 1946. Ovviamente poi, a Repubblica conquistata, la stabilizzazione moderata del centrismo lo aveva deluso, ma non aveva certo intaccato lo slancio del suo impegno pubblico. Dopo la laurea ottenuta a pieni voti, Smuraglia aveva intrapreso la professione di avvocato e aveva in più occasioni assunto la difesa di partigiani messi sotto accusa per atti compiuti durante la Resistenza. Rivendicava con una certa fierezza di aver ottenuto numerose assoluzioni: non c’era da stupirsene, considerando la sua arte dialettica e la sua conoscenza approfondita delle leggi. Tuttavia l’impegno principale di Smuraglia come avvocato aveva riguardato il mondo del lavoro e in particolare l’esigenza di far rispettare anche nelle fabbriche e negli uffici, tra notevoli difficoltà, i principi della Costituzione. Eloquente a tal proposito il titolo di uno dei suoi libri più importanti, Indisponibilità e inderogabilità dei diritti del lavoratore (Cedam, 1970). In virtù di questa sua specializzazione, Smuraglia si era occupato nella sua carriera forense di vari processi concernenti la sicurezza e l’igiene sul lavoro, temi purtroppo di grande attualità ancora oggi per la frequenza degli incidenti, delle malattie professionali e anche delle morti. Inoltre aveva ricoperto per oltre trent’anni la cattedra di docente di Diritto del lavoro all’Università degli Studi di Milano. Nel contempo era stato eletto consigliere regionale per il Pci in Lombardia e tra il 1978 e il 1980 era stato presidente del Consiglio regionale. Quindi era entrato come membro laico nel Consiglio superiore della magistratura (1986-1990) e dal 1992 al 2001 era stato senatore del Pds e poi dei Ds, sempre con incarichi prestigiosi. In tutti questi suoi ruoli si era prodigato per l’attuazione della nostra Carta fondamentale. Dissentiva dall’idea che la Costituzione fosse stata il frutto di un «compromesso»: gli sembrava che una definizione del genere sminuisse ingiustamente il valore di quello che reputava «un grande accordo sui fondamenti della convivenza civile, con un alto contenuto di socialità». Così, quando era stata approvata la legge Boschi di revisione del dettato costituzionale, Smuraglia aveva guidato l’Anpi in una convinta battaglia di opposizione nel referendum confermativo tenuto nel dicembre 2016. Ultranovantenne, si era misurato in un dibattito faccia a faccia con l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, dimostrando lucidità e conoscenza di causa. Era per certi versi diventato il simbolo di coloro che si opponevano alla proposta di riforma da posizioni di sinistra. E gli elettori gli avevano dato ampiamente ragione. Nel 2017, dopo sei anni, aveva lasciato la testa dell’Anpi e ne era diventato presidente emerito, ma era rimasto una voce autorevole, forse la più autorevole nel campo dell’antifascismo militante. Persona cortese e disponibile, non si sottraeva mai alle opportunità d’intervenire. Lo ha fatto anche di recente, sostenendo l’idea di un invio di aiuti militari all’Ucraina, ma rifiutando di essere considerato in contrapposizione con l’attuale presidente Gianfranco Pagliarulo, contrario al sostegno bellico, spiegando di condividere con lui «valori, principi, visione politica nonché la grave preoccupazione per la prospettiva di un allargamento del conflitto in corso». Aveva subito anche gravi delusioni, ma la sua anima di combattente, nel foro come nell’arena politica, non si era mai piegata. 31 maggio 2022 (modifica il 31 maggio 2022 | 11:28) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-05-31 08:39:00, Uomo di legge, parlamentare, già presidente dell’Anpi. È morto a 98 anni. Spirito libero, si è detto favorevole all’invio di armi in Ucraina. Nel 2016 sfidò Renzi sul no alla legge Boschi per la riforma costituzionale, Antonio Carioti

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