Caro Nello Musumeci ti scrivo:  piantiamo alberi in Sicilia

Caro Nello Musumeci ti scrivo: piantiamo alberi in Sicilia

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Caro Nello 

Leggo con soddisfazione quanto dici, nella tua informativa alla Camera: “nel Meridione abbiamo registrato ondate di calore di assoluta eccezionalità sia nell’intensità sia nella persistenza, con temperature oltre i 40 gradi e con punte fino ai 46 e i 48, valori superiori ad ogni precedente record storico. Al netto di ogni sciocco negazionismo, bisogna prendere atto che questa nazione fragile e vulnerabile necessita di una cura per essere in condizione di affrontare eventi che sarebbe errato considerare eccezionali”.

Ebbene, proprio per lenire queste ondate anomale di calore, vorrei ricordarti, ma tu lo sai meglio di me, che nella Sicilia di Federico II di Svevia, di quell’illustre tedesco che fece della nostra Isola una sorta di paradiso, c’erano milioni di ettari di foreste, di boschi dove il nostro imperatore andava a caccia. E non già per i conigli o qualche anatra, ma per i cervi e i cinghiali che popolavano, per esempio, tutta la zona attorno al Lago di Lentini. Che le pendici dell’Etna erano coperte da pinete lussureggianti, da castagneti e querceti dove non solo la selvaggina trovava riparo ma anche circolava un microclima che bloccava sia le ondate di calore e sia di freddo.

A tale scopo di vorrei pure ricordare le relazione di viaggio di due illustri arabi che descrivano la nostra Sicilia come un paradiso: Ibn Jubayr e al-Idrīsī, ricca d’acque e di vegetazione, di animali e di boschi, acquitrini e laghi, ruscelli e torrenti, mentre fiumi fertilizzavano e le campagne ubertose. A tale riferimento, famosa rimane negli annali delle storie attribuite a Federico la foresta Birribaida che si estendeva da Campobello di Mazara fino a Menfi, abbracciando i territori del Trapanese e dell’Agrigentino.

“L’imperatore la volle come riserva per la caccia, ma anche per accogliere i diversi ordini monastici con i quali collaborava e che lo supportavano. Si trattava si una distesa di querce da sughero, alberi di carrubo e un sottobosco ricco e fitto. La natura incontrava la storia, tra latomie, l’attuale Parco Archeologico di Selinunte e la valle del fiume Belice, fino ad arrivare nell’agro di Menfi”.

Di quella foresta oggi rimane ben poco, come pochissimo rimane del Lago di Pergusa, sotto Enna, dove il mito di Proserpina si univa a quello delle divinità ctonie. 

Così cantava Ovidio: “…. non lontano dalle fortificazioni di Enna, si trova un lago denominato Pergo, dalle acque profonde. I rami donano frescura, la terra bagnata i fiori purpuri; è un’eterna primavera”
Ed ancora Aristotele nel  De mirabilibus auscultationibus:
“ In Sicilia nei dintorni della città chiamata Enna, si dice ci sia un luogo attorno al quale dappertutto dicono che cresca un’enorme quantità di diversi fiori per tutto l’anno, e molto tale luogo soprattutto sia pieno in maniera sterminata di viole che riempiono di soave odore la terra intorno, così che quando c’è la caccia, pur possedendo i cani un forte senso dell’odorato, divengono impotenti ad inseguire le orme delle lepri.”

Che incanto! 

Ti potrei ricordare, caro Nello, altre località siciliane magnifiche per la loro vegetazione e i loro alberi, ma ciò che soprattutto vorrei dirti è quello di impegnarti, se puoi, con tutte le tue forze in un  grande progetto che preveda il rimboschimento della Sicilia.

Non saprei quali fondi potresti utilizzare, se del Pnrr o altro, ma si dovrebbe ricoprire di alberi tutte quelle montagne rimaste brulle dopo gli incendi per farne terre coltivabili successivamente al 1300 e dopo i tagli indiscriminati per ricavarne navi da guerra da parte dei dominatori spagnoli. 

Ricostruire in qualche modo il microclima dei tempi di Federico in Sicilia, ricoprendo la nostra terra di alberi, ma di quelli importanti come i carrubi o le querce, i pini o i salici o i castagni

Dovresti dunque fare in modo, mentre sei alla Protezione civile, di riportare quel livello di civiltà per la Natura noto nel medioevo e ai nostri contadini che da tempo ormai hanno lasciato i campi.

Forse, riforestando le zone brulle e aride dell’ennese e del nisseno, del catanese del palermitano, comprese frange del messinese, riusciremo ad avare inverni meno tempestosi ed estati meno afose, senza quei picchi selvaggi che hanno messo in ginocchio una intera isola per troppo tempo. 

Riforestare la Sicilia vale più di cento monumenti disseminati in altrettante piazze della nostra bella ma martoria Isola  

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