Un carro armato per i Vespri alla Scala

Un carro armato per i Vespri alla Scala

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di Giuseppina Manin

L’opera ambientata durante la Seconda guerra mondiale. Il regista: una metafora dei conflitti di oggi

Forse non sar un Leopard, ma il carro armato che avanza sulla scena della Scala potrebbe, far gola, con il suo realismo minaccioso, persino a Zelensky. E cos pure il cannone che sputa fuoco dalla bocca oscura. L’arsenale del Piermarini schierato al gran completo per I vespri siciliani, opera di Giuseppe Verdi sulla rivolta di un popolo contro i suoi oppressori. In quel caso i francesi che, siamo nel 1282, avevano occupato l’isola. Ma un’invasione un’invasione, cambiano solo tempi e modi avvisa Hugo de Ana, ideatore di regia, scene e costumi del nuovo allestimento che, 32 anni dopo l’ultima e contestata edizione Muti-Pizzi, torna il 28 gennaio con Fabio Luisi sul podio, nel cast Luca Michieletti (Monforte) Piero Pretti (Arrigo) Marina Rebeka (Elena) Simon Lim (Procida).

E come de Ana, doveva pensarla anche Verdi che prese a prestito quei lontani moti per incitare i suoi contemporanei alla ribellione contro altri stranieri, gli Austriaci nel Lombardo Veneto, i Borboni nelle Due Sicilie. Cos che l’opera, debutto trionfale a Parigi in versione francese nel giugno 1855, quando arriva in Italia costretta dalla censura a cambiare titolo e luoghi per smorzare l’effetto patriottico. A Parma andr in scena, nel 1855, come Giovanna de Guzman, di remota ambientazione portoghese. Stessa versione per la prima scaligera del 1856, mentre al San Carlo fu ribattezzata Batilde di Turenna. Solo nel 1861, a unit d’Italia compiuta, torner alla Scala con il titolo originario.

Ma oggi, lontane le istanze risorgimentali e tanto pi l’insurrezione siciliana di mille anni fa, per ridare ai Vespri quel segno di attualit che tanto premeva a Verdi necessario spostare l’azione in realt a noi pi vicine prosegue il regista argentino che alla Scala firma il suo quinto titolo dopo Lucrezia Borgia, La forza del destino, Sansone e Dalila, Trovatore. Ripensando al fattore scatenante della rivolta siciliana, 12 spose rapite e violentate dai francesi nel giorno delle nozze, mi venuto in mente il romanzo di Moravia, La ciociara, poi trasferito al cinema da De Sica. Un sopruso emblematico di tanti altri. Le “ciociare” sono state purtroppo tantissime, a fine guerra donne, uomini e bambini sono stati dati in premio alle truppe coloniali francesi che hanno potuto fare di loro quel che volevano. Stupri di gruppo la cui memoria la storia tende a rimuovere perch compiuti con il placet degli alleati. In guerra la distinzione tra buoni e cattivi solo di comodo. Crudelt e brutalit imperano su tutti i fronti.

E allora, se carri armati e costumi alludono alla fine della Seconda, i riferimenti sulla guerra in corso non saranno casuali. L’ulivo avvolto nel finale da rosse fiamme, unico tocco di colore di uno spettacolo in severo bianco e nero, il tragico segno di una pace ormai remota. Come la Morte, sempre in scena, impegnata in una partita a scacchi con un cavaliere. Un omaggio al Settimo sigillo di Bergman ma anche alla musica di Verdi, che qui crea un leitmotiv “sul ritmo di morte”, due note di durata brevissima e una pi lunga, presenti fin dall’ouverture e che ricompaiono in quasi ogni pagina. Il finale resta sospeso. I rivoltosi irrompono in scena, ma quel che accadr dopo Verdi non ce lo dice. Come in una serie ci sar un seguito… E anche noi, come Verdi, restiamo in attesa di un finale. Che forse non sar lieto.

23 gennaio 2023 (modifica il 23 gennaio 2023 | 20:24)

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