Ieri è esploso il caso relativo alla proposta, a quanto pare presunta, fatta dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, di Fratelli d’Italia, di insegnare a sparare a scuola. Nonostante il numero due di Giorgia Meloni abbia smentito di aver detto le parole che gli sono state attribuite da La Stampa, si è generato un forte dibattito sul tema.
Ad intervenire, oggi, è stato qualcuno che di tiro a segno se ne intende eccome: Niccolò Campriani, ex tiratore a segno italiano, vincitore di tre medaglie d’oro e una d’argento ai Giochi Olimpici, che ha scritto una lettera pubblicata su La Repubblica.
Dibattito confuso
“Ho speso sedici anni della mia vita a fare tiro a segno ad alto livello, sviluppando sia la parte mentale sia quella tecnica di questo sport e scoprendo me stesso. Mi ritengo un conoscitore della materia e proprio per questo mi fa effetto vedere la superficialità con cui, in questo caso, viene trattata”, ha esordito, sentendosi ovviamente chiamato in causa.
Ecco cosa ne pensa della proposta: “Parliamo dell’ipotesi di insegnare il tiro a segno a scuola. Secondo me si rischia di equiparare, agli occhi dei ragazzi, il tiro sportivo olimpico com’è ad esempio quello con le pistole e la carabina ad aria compressa, con i fucili d’assalto stile Rambo che vediamo purtroppo nei mass shooting negli Stati Uniti. Mescolare le due cose non permette di fare un dibattito sensato”.
Come conciliare studio e sport?
“Il dibattito che si è scatenato attorno alla presunta proposta del senatore Fazzolari si è subito incentrato sulle armi. È sbagliata la prospettiva: bisognava partire dall’importanza di integrare il curriculum scolastico con attività che sviluppano intelligenza emotiva, e il tiro sportivo, così come tante altre attività, può farlo”, ha detto Campriani, che invoca un cambio di prospettiva.
“Si è finiti a parlare di armi a scuola, quando invece è da troppi anni che si rimanda la discussione su come combinare percorso accademico e attività sportiva, e si forza la stragrande maggioranza di ragazzi in giovane età a scegliere tra diventare campioni olimpici o in alternativa ingegneri o architetti. E poi il gergo che sento usare non mi piace. Si dice tirare, non sparare. Le parole sono importanti, e tante volte tradiscono gli intenti”, ha concluso, spiegando su cosa si dovrebbe, invece, intervenire.