Centomila migranti lanno: la forza lavoro che manca (nonostante gli sbarchi)

Centomila migranti lanno: la forza lavoro che manca (nonostante gli sbarchi)

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di Goffredo Buccini

Per la Fondazione la legge Bossi-Fini da superare. L’Ocse stima in Italia 6,3 infermieri ogni mille abitanti, mentre nel resto dell’Ue sono 8,3. E l’agricoltura ha bisogno di braccia

Potremmo chiamarlo il paradosso dei centomila. Servono almeno centomila immigrati stagionali l’anno per non far morire la nostra agricoltura e per difendere la nostra sovranit alimentare, ha sostenuto ancora di recente Ettore Prandini, presidente di Coldiretti non certo ostile al governo Meloni: una cifra persino al ribasso (c’ chi ne vorrebbe il doppio) che torna da tempo nelle valutazioni di parecchi imprenditori come salvagente per settori diversi dell’economia italiana. E tuttavia i centomila migranti sbarcati da noi nel 2022 sono considerati una soglia d’allarme dall’esecutivo di centrodestra e da non pochi analisti dell’accoglienza (allarme accentuato dai primi giorni del 2023 che hanno visto decuplicare gli arrivi). Il meccanismo inceppato.

Leggi, ideologia, burocrazia

Un racconto senza sconti del disequilibrio tra domanda e offerta, di cifre che non quadrano e di leggi pigre o tardive, di occasioni perdute e di talenti sprecati si pu trovare in un prezioso Libro Bianco della Fondazione Ismu (sul governo delle migrazioni economiche) a cura della sociologa Laura Zanfrini. Da uno scenario demografico penalizzante alla grande fuga dei nostri giovani meridionali (pi di un milione in vent’anni, la vera migrazione che dovrebbe preoccuparci), dalla competizione difficile per un’immigrazione qualificata alla sua contaminazione con una subcultura dell’illegalit che strangola il mercato del lavoro, fino a un quadro normativo e burocratico che rende poco attrattivo il Belpaese per la meglio giovent extracomunitaria: non rassicurante il ritratto di un’Italia ancora in parte prigioniera di miti nazionalistici fasulli come l’omogeneit etnica, culturale e religiosa.

L’11% della popolazione attia

Le forze lavoro immigrate sono ormai il 10,7% della popolazione attiva e il loro contributo al nostro bilancio decisivo (144 miliardi di euro di valore aggiunto pari al 9% della ricchezza nazionale, secondo l’ultimo report annuale della Fondazione Moressa). Tuttavia, l’Italia non smette di comportarsi da trent’anni come se l’immigrazione fosse un’emergenza, continuando a percepirla, di volta in volta come un fenomeno indesiderabile e da contenere nelle sue dimensioni, oppure come un serbatoio di manodopera flessibile e a buon mercato, estraneo alle strategie di riposizionamento competitivo e di rafforzamento dell’internazionalizzazione del sistema produttivo, osservano Zanfrini e i suoi collaboratori. la stessa normativa a coltivare la confusione tra rifugiati e migranti economici, spingendo i secondi verso quella porta laterale che spesso l’unica via per il nostro mondo del lavoro: la clandestinit in attesa di una sanatoria.

Meccanismi obsoleti

tempo, fuori da polemiche di fazione, di registrare come la legge Bossi-Fini, varata vent’anni fa in pieno furore anti-immigrazionista, abbia introdotto un meccanismo del tutto irrealistico nella filiera migrante-datore di lavoro: l’abolizione dell’ingresso tramite sponsor con relativo accesso regolare solo dopo l’intera procedura d’assunzione. Risulta sostanzialmente impossibile al datore di lavoro verificare le capacit professionali e le qualit “umane” di un lavoratore la cui assunzione richiede, tra l’altro, di accollarsi impegni professionali particolarmente onerosi, si osserva nel Libro Bianco. Le quote d’ingresso si sono trasformate cos in uno strumento di regolarizzazione dei migranti gi presenti, facendo venir meno il carattere premiale della scelta di un percorso legale. A ci si aggiunga che, sempre per motivi meramente ideologici, l’Italia diventata paladina dell’opzione zero sui flussi proprio mentre, per effetto delle crisi, altri Paesi europei la accantonavano. Il risultato pi evidente di questa afasia politica incentivare quel business illegale di ingresso che, a parole, si sostiene di voler stroncare.

L’espansione del lavoro povero

Questo contesto opaco si sposa con la cattiva qualit del lavoro italiano e la forte espansione del lavoro povero, con una spinta al ribasso che si nutre dell’assioma della complementarit, lo schema duale per il quale i migranti fanno i lavori che noi non vogliamo pi fare, generando una struttura etnico-castale del mercato del lavoro, giocata sulla contrapposizione noi e loro. Se dunque la prima ricetta pi dignit e diritti nel lavoro di tutti, la seconda rendere meno respingenti i confini europei, e segnatamente i nostri, a chi ha le carte in regola, specie ai profili sanitari. Per dire: l’Ocse stima in Italia 6,3 infermieri ogni mille abitanti mentre nel resto dell’Ue sono 8,3. La Corte dei conti italiana parla di personale infermieristico pesantemente sottodimensionato e solo per ottenere i soldi del Pnrr dall’Europa noi dovremmo assumerne trentamila nei prossimi tre anni: da dove?

Un’occasione mancata

Per motivi ideologici nel 2018 ci siamo tagliati fuori dal Global Compact for Migration, l’accordo intergovernativo nato sotto l’egida delle Nazioni Unite, smarrendo cos un quadro di intese con Paesi terzi interessati sia a formare propri professionisti sia a esportarne una parte. Rincorriamo braccianti immigrati che diano respiro al settore agricolo ma abbiamo bisogno di misure ad hoc come il nullaosta pluriennale e le garanzie di alloggio per incentivarli.

Le nuove direttive europee

Siamo chiamati a recepire le nuove direttive europee pi accoglienti sulla Carta Blu, il lavoro altamente qualificato. Con alcuni paletti di sicurezza e le dovute garanzie di rientro allo scadere di un permesso di soggiorno non convertito, si potrebbe introdurre un dispositivo di ingresso in Italia per la ricerca di lavoro. Fino alla regolarizzazione individuale, quando il lavoro l, via d’uscita in fondo al tunnel della clandestinit.

Il monito di Jerry Masslo

Ci vuole coraggio, visione del futuro. A chi gli chiedeva quale fosse il suo principale problema qui da noi, Jerry Masslo rispondeva: Il problema economico! Immagina un uomo di trent’anni che vive senza nemmeno diecimila lire in tasca per un mese. Come pensi che si possa resistere?. Era il 1989, lui scappava dal Sudafrica, mor nelle baracche di Villa Literno. L’Italia sembra ancora sorpresa come allora dal mondo in marcia a cui Jerry apr la strada.

23 gennaio 2023 (modifica il 23 gennaio 2023 | 23:25)

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