di Marco Imarisio
Le frasi contro Usa, Ue e Nato servono a costruire una narrazione eroica in cui la guerra non è un conflitto locale ma una battaglia contro tutte le grandi potenze
All’ingresso, i pochi visitatori venivano accolti in una sala buia dal rumore sinistro di un aereo in avvicinamento seguito da quello delle bombe che cadevano. Benvenuti alla mostra «Nato, cronaca della crudeltà», che dopo essere stata ospitata per oltre un mese al Museo moscovita di Storia moderna, adesso diventa itinerante.
Ci siamo stati due volte, e in realtà non c’era molto da vedere. Una teca che conteneva un elmetto nero con simboli nazisti e accanto la targa del battaglione Azov, «unità dell’esercito ucraino che utilizza contro i nostri soldati le armi fornite dall’Alleanza atlantica», una bandiera americana. Alle pareti i poster e fotografie di Hiroshima e Nagasaki, e per altro all’epoca la Nato ancora non esisteva, quelle più recenti di alcuni palazzi in fiamme a Belgrado e Kabul, intervallate da immagini di bambini che piangono disperati sotto la bandiera dell’Unione europea.
Sembrava una iniziativa estemporanea, una pezza d’appoggio improvvisata all’Operazione militare speciale, è diventata invece un segno dei tempi, con le didascalie ogni volta rimaneggiate in senso peggiorativo, fino a suggerire una similitudine tra Hitler e la Nato simbolo dell’Occidente. Adesso questa esposizione verrà replicata in ogni regione della Russia, così hanno detto gli organizzatori, spiegando come il «suggerimento» sia arrivato dalle autorità, fino a diventare permanente.
Poco importa quindi che Dmitry Medvedev sia ormai da tempo motivo di imbarazzo per il Cremlino. Un anonimo canale Telegram che da mesi pubblica notizie verosimili sulla politica russa ha fatto sapere lunedì, un giorno prima della sua esternazione su «bastardi e degenerati» che lo stesso Vladimir Putin sta valutando l’uscita di scena definitiva del suo ex pupillo, nonostante gli sforzi fatti da quest’ultimo per riguadagnare le posizioni perdute indossando i panni del falco estremista. La prossima destinazione potrebbe essere l’ambasciata di un Paese del Sud Est asiatico, non prima di avere svolto il ruolo di capro espiatorio per il calo di popolarità di Russia Unita, il partito personale di Putin del quale Medvedev è presidente, previsto per la fine del prossimo autunno, quando la crisi economica morderà più forte. Al suo posto potrebbe andare una donna. Forse proprio la figlia minore di Putin, Katherina Tikhonova, che scalpita per avere un futuro politico.
Quel che oggi conta sono le parole di odio verso l’Occidente. Per quanto sconnesse, le frasi di Medvedev danno comunque voce a un sentimento sempre più diffuso, che ormai ha intriso di sé l’intera verticale del potere putiniano. Quindi è lecito chiedersi quale può essere il possibile punto di caduta di questo clima da Guerra fredda. Il portavoce aggiunto della Duma Piotr Tolstoj, deputato di Russia Unita, non ha dubbi. «Questa volta non torneremo indietro. I nostri elettori sono i primi a chiederci di creare una Grande Russia con l’Ucraina i nostri alleati bielorussi. Solo così potremo diventare la trave portante di un polo alternativo a quello occidentale».
Aleksej Fenenko, titolare della cattedra di Sicurezza Internazionale all’università Lomonosov di Mosca, propone una analisi più strutturata. «Ogni grande conflitto militare cambia, anche se non necessariamente distrugge, l’ordine mondiale. Le dichiarazioni ostili all’Occidente concorrono a rimodellare la coscienza di massa. Alla fine, la Seconda Guerra Mondiale finirà di essere percepita dai russi come la loro prova più estrema. L’Operazione militare speciale verrà ricordata non come un conflitto locale, ma come l’ultima guerra in cui la nostra Federazione ha combattuto contro tutte le altre grandi potenze. Soli, contro il mondo a ostile. A cominciare dall’Ucraina, presentata come una appendice delle altre potenze, dove gli eventi del 2022 diventeranno a loro volta un mito nazionale sul quale cresceranno intere generazioni che sognano una rivincita contro la Russia. Comunque vada a finire per noi, sarà una narrazione eroica».
C’è un metodo, in questo continuo alzare l’asticella dell’avversione verso Usa, Ue e Regno Unito. Ma tutto nasce proprio dalla consapevolezza che ogni ponte è stato bruciato. Pur essendo favorevole all’intervento dello scorso 24 febbraio, il generale a tre stelle Vladimir Shamanov, uno dei più alti comandanti durante la guerra in Cecenia, ora deputato della Duma, è molto ascoltato da quel poco di opposizione ancora possibile. Sostiene che l’unico fattore che ancora conta, è il tempo. «Ci vorranno anni per convincere la nostra gente della bontà di quel che stiamo facendo. L’Ucraina non è un nemico tale da giustificare quel che sta accadendo e servirà almeno un decennio per demilitarizzare Kiev. Ne serve uno più grande, più temibile. A questo serve il rombo di quegli aerei della Nato».
8 giugno 2022 (modifica il 8 giugno 2022 | 12:41)
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