Chi era Vittorio Vallarino Gancia, il re degli spumanti tra battute di caccia e il tifo per la Juve

Chi era Vittorio Vallarino Gancia, il re degli spumanti tra battute di caccia e il tifo per la Juve

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A Vittorio Vallarino Gancia, morto ieri a 90 anni, piaceva viaggiare per portare nel mondo il suo spumante. Organizzava battute di caccia per far divertire importatori e distributori. E alla fine firmava contratti per carichi delle bottiglie come quella che servì per il varo del mitico transatlantico Rex. Partiva da Canelli, uno dei paesi che «anche quando non ci sei resta ad aspettarti», come scrisse Cesare Pavese nella Luna e i falò, il romanzo in cui parla del vermouth Gancia. I Gancia sono stati così forti e moderni da finanziare Walt Disney e il suo Biancaneve e i sette nani. Vittorio, imprenditore tenace che rappresentava la quarta generazione della dinastia, puntò molto sull’export, Cina compresa. «Mio padre dette vita in particolare a due spumanti molto interessanti — ha raccontato il figlio Lamberto a Civiltà del bere —. Il primo era il Gran Spumante, diventato poi Gran Dessert e quindi Gran Reale, accessibile a tutti i palati; il secondo, nato negli anni Ottanta, il Pinot di Pinot, selezione dei tre vitigni Pinot (bianco, grigio e nero), che ha insegnato agli italiani a bere lo spumante come aperitivo».

Il rapimento e la nascita del metodo classico italiano

Quando, nel giugno del 1975, venne rapito da un commando delle Brigate Rosse, Vittorio Vallarino Gancia era il capo dell’azienda che per 125 anni era stata saldamente in mano alla famiglia. L’esordio con il vermouth, che aveva come testimonial i Savoia e Giuseppe Garibaldi. Poi l’intuizione di Carlo Gancia, bisnonno di Vittorio, commerciante di vini di Chivasso: creare qualcosa di simile allo Champagne, di cui si era innamorato dopo aver lavorato nella maison Piper-Heidsieck. Così è nato il primo Metodo classico italiano, con regole che ancora oggi vengono seguite. Scelse le uve Moscato, Carlo Gancia. Uno spumante dal sapore morbido e dolce, che per decine di anni tutte o quasi le famiglie italiane stappavano soprattutto durante le feste natalizie, accompagnandolo a panettone e pandoro. Un successo straordinario. Vittorio, dal castello di Villanuova, alto su Canelli, scrutava una cantina con 350 dipendenti. Restò al timone dell’azienda in cui era entrato con il primo incarico all’Ufficio Esportazione, fino al 1996, ma già sotto la sua guida il dominio famigliare cominciò a dare qualche segno di cedimento. Dall’entrata di Martini&Rossi, proprio nell’anno del rapimento. Fino alla cessione definitiva, 11 anni fa, alla Russian Standard Corporation, società russa leader nella produzione di vodka, con a capo Roustam Tariko.

I ruoli istituzionali e il tifo per la Juve

Dopo che i carabinieri lo liberarono dai sequestratori (nell’operazione morirono l’appuntato dell’Arma, Giovanni D’Alfonso e la brigatista Margherita Cagol, moglie di Renato Curcio), Vittorio si rimise a lavorare con sempre nuove idee, puntando anche sulla trasformazione tecnologica della cantina e sulle nuove aperture, come la cantina in Puglia con vitigni bianchi internazionali. È stato presidente di Federvini, di Unione italiana vini e della Camera di commercio di Asti. Con il padre Lamberto si è impegnato nel lancio del primo spumante secco, Rocca de Giorgi, con il nome della tenuta nell’Oltrepò pavese che forniva le uve. Laureato in Scienze politiche e grande tifoso della Juve (a un pranzo troppo lento alla fiera del tartufo d’Alba, si alzò e disse: sbrigatevi, alle 3 c’è la partita), il «dottor Vittorio» era conosciuto e riverito in paese per la sua semplicità. Fino a quando le condizioni di salute e il Covid lo hanno costretto a ritirarsi in casa. Con la moglie Rosalba, che gli è stata vicina fino all’ultimo giorno.

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, 2022-11-13 18:35:00, È mancato a 90 anni il patron dell’azienda di Canelli che ha ideato il primo metodo classico italiano. Una vita dedicata all’esportazione delle bollicine piemontesi. Nel 1975 fu rapito dalle Brigate Rosse, Luciano Ferraro

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